In caso di plurime aperture di credito garantite da pegno per l’azione revocatoria ex art. 2901 del Codice Civile, la consistenza patrimoniale del debitore giammai va valutata in relazione alle sole poste attive, ma anche e forse specialmente a quelle passive, considerato che il requisito dell’eventus damni postula il compimento di un atto che renda anche solo più difficile la soddisfazione del credito. E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione Sez. III civile, con la sentenza N. 21807 del 9 settembre 2015 (data di pubblicazione 27/10/2015) che ha respinto i ricorsi presentati da due Istituti di Credito nei confronti dei quali era stato dichiarato inefficace, ex art. 2901 cod. civ. l’atto di pegno costituito in loro favore a garanzia delle aperture di credito concesse ad una Società per azioni. La Corte di Cassazione con questa pronuncia ha avvalorato quanto già stabilito dalla Corte di Appello di Bologna la quale aveva ritenuto sussistenti le condizioni per l’esperimento della azione revocatoria. A giudizio degli ermellini va pertanto confermata, la sentenza del giudice d’appello con cui, accertati l’erogazione di un finanziamento da parte di diverse banche con costituzione di pegno ed il protesto di cambiali avvenuto pochi giorni dopo, il mancato pagamento delle retribuzioni dei dipendenti, la deliberazione di messa di liquidazione nonché l’istanza di ammissione alla procedura di concordato preventivo, il pegno venga dichiarato inefficace in accoglimento della domanda di revocatoria ordinaria. Ad avviso della Corte di Cassazione in tale fattispecie l’ apertura di nuove linee di finanziamento garantite dal pegno concesso da persona che, rivestiva in quel momento, la carica di legale rappresentante della stessa società garantita era finalizzata al salvataggio della stessa Società debitrice principale. La Corte ritiene sussistente la consapevolezza del pregiudizio delle ragioni creditorie sia in capo al debitore principale sia in capo alle banche finanziatrici che hanno accettato la garanzia. Segnatamente la consapevolezza da parte degli istituti coinvolti si desume dalla operazione di finanziamento in pool che per il suo carattere straordinario si pone come indice di una “ineludibile anomalia della situazione sottostante”.
Il Fatto
Il legale rappresentante e fideiussore di una s.p.a. riceveva aperture di credito da diverse banche, a garanzia di detti finanziamenti costituiva in pegno le proprie collezioni di quadri in favore dei tre istituti bancari eroganti. Poco tempo dopo, la stessa s.p.a. che era stata finanziata subiva il protesto, da parte di una s.r.l., di quattro cambiali, non versava le retribuzioni dei dipendenti, deliberava la propria messa di liquidazione e chiedeva l’ammissione alla procedura di concordato preventivo. La s.r.l. creditrice agiva successivamente per la dichiarazione di inefficacia di tale atto di pegno nei confronti degli istituti di credito, la domanda veniva rigettata in primo grado ed accolta in secondo grado, tale ultima pronuncia veniva poi confermata dal giudice di legittimità.
La normativa
Ai sensi dell’articolo 2901 del codice civile: “Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni quando concorrono le seguenti condizioni:
1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;
2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio, e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.
Agli effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito.
Non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto.
L’inefficacia dell’atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione”.
Su tale istituto occorre soffermarsi brevemente.La ratio dell’istituto della revocatoria ordinaria è la conservazione della garanzia patrimoniale generica sui beni del debitore, dunque essa ha finalità cautelare e non recuperatoria (Cass. n. 7172/2001 e n. 1804/2000)poiché l’atto revocato conserva comunque in capo all’acquirente la sua efficacia traslativa o costitutiva del diritto.
Si tratta dello strumento offerto dall’ordinamento per impugnare gli atti deliberatamente posti in essere dal debitore in danno alle ragioni di credito vantate da terzi nei suoi confronti. L’effetto giuridico che ne discende è l’inefficacia dell’atto di disposizione nei confronti di chi ne fa istanza onde consentirgli il fruttuoso esperimento della successiva azione esecutiva.
La dottrina qualifica tale inefficacia come relativa e parziale in quanto l’esito dell’azione giova solamente al creditore che l’ha esercitata e non ostacola l’acquisto del diritto in capo all’acquirente ma impedisce che il bene alienato venga sottratto all’azione esecutiva dei creditori chirografari dell’alienante.
Le condizioni che devono sussistere per l’esercizio dell’ azione revocatoria, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, consistono: nella sussistenza di un valido rapporto di credito tra il creditore, che agisce in revocatoria, ed il debitore disponente, e in un elemento oggettivo consistente nel danno effettivo (eventus damni), ricorrente non soltanto quando l’atto di disposizione determini la perdita della garanzia patrimoniale del creditore ma anche quando tale atto comporti una maggiore difficoltà ed incertezza nella riscossione del credito ( cfr. tra le alre Cass. Civ. n. 2792/2002 e n. 4578/1998).
Altro presupposto necessario all’esercizio dell’ azione revocatoria è di tipo soggettivo e consiste nel consilium fraudis ossia nella consapevolezza, da parte del debitore, e quando si tratti di atti a titolo oneroso, anche del terzo (scientia damni) che, mediante l’atto di disposizione, il debitore diminuisca la consistenza della garanzia patrimoniale (Cass. Sez. III Civ. n. 3546/2004),tale requisito può essere dimostrato anche con il ricorso a presunzioni; Trattandosi quest’ultimo di apprezzamento espresso al riguardo dal giudice del merito, lo stesso è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.
In tale ambito è necessario però distinguere se l’atto di disposizione è anteriore o posteriore al sorgere del credito perché in base a tale dato la norma richiede una diversa misura dell’intento fraudolento. Se l’atto viene compiuto prima del sorgere del credito, il creditore ha l’onere di dimostrare che l’attuale debitore, alla data della stipulazione, era intenzionato a contrarre debiti allo scopo di precludere o rendere più difficile al creditore la riscossione del credito. Al contrario quando l’atto dispositivo è successivo al sorgere del credito, è necessaria e sufficiente la prova, anche per presunzioni, della consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore nonché quella del terzo contraente, consistente nella generica conoscenza del pregiudizio arrecabile dall’atto oneroso posto dal debitore, non essendo dunque necessaria la collusione tra il terzo ed il debitore. (Cass. Civ. n. 1068/2007 e n. 10430/2005). La giurisprudenza costante ritiene che sia l’eventuale mancanza di un titolo esecutivo sia la mancanza di un accertamento definitivo del credito in sede giudiziaria non costituisca ostacolo alla proponibilità dell’azione revocatoria ordinaria.
Conclusioni
La sentenza della Corte di Cassazione qui esaminata si pone sulla scia già tracciata da altre pronunce della stessa Corte a tenore delle quali: in tema di azione revocatoria ordinaria, non viene richiesta la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito; la Cassazione, nel caso in esame, ritiene dunque di dover considerare la complessiva esposizione debitoria del garante e della società e non il singolo atto di conferimento della garanzia.
L’onere di provare l’insussistenza del rischio per i creditori, in ragione di ampie residualità patrimoniali, incombe, secondo i principi generali, sul convenuto nell’azione di revocazione che eccepisca la mancanza, per questo motivo, dell’eventus damni (Cfr.: Cass sez II civile, 3 febbraio 2015 n. 1902;Cass., Sez. 1^, 24 luglio 2003, n. 11471; Cass., Sez. 1^, 6 agosto 2004, n. 15257; Cass., Sez. 3^, 14 ottobre 2005, n. 19963; Cass., Sez. 3^, 18 ottobre 2011, n. 21492).
Inoltre per quanto concerne il requisito dell’elemento soggettivo, la Corte ha ricordato che quando l’atto di disposizione risulta successivo al sorgere del credito condizione per l’esercizio dell’azione revocatoria ex art 2901 cod. civ. è che il debitore sia a conoscenza del pregiudizio delle ragioni del creditore e come lui ne sia consapevole anche il terzo. Ad avviso della giurisprudenza non é necessario che il creditore revocante dimostri la conoscenza in capo al terzo del credito specifico a tutela del quale egli agisce, né la conoscenza della sua collusione con il debitore (Cass., 18.3.2005, n. 5972; Cass., 23.3.2004, n. 5741; Cass., 4.11.1995, n. 11518).La prova di questo atteggiamento soggettivo può essere fornita tramite presunzioni soggette all’apprezzamento del giudice di merito. A mero titolo esemplificativo, occorre osservare che la giurisprudenza ha in passato ravvisato elementi indiziari rilevanti in tal senso nel pagamento di un prezzo inferiore a quello di mercato, nell’acquisto contestuale di una pluralità di beni da parte di un unico soggetto esercente l’attività di notaio, nel grado di parentela fra il debitore e gli acquirenti.
Nel caso sub judice la Corte ha ritenuto corretta la valutazione operata dalla Corte di Appello di Bologna la quale ha considerato dirimente per l’accertamento della condizione della scientia damni in capo al terzo che il finanziamento fosse stato effettuato in pool dalle banche ricorrenti, ritenendo tale dato indice di una ineludibile anomalia della situazione sottostante. Al fine di meglio comprendere la decisione della Corte occorre soffermarci un attimo su tale tipo di finanziamento, esso, per l’elevata entità del fido da accordare, normalmente coinvolge non una sola banca, ma una pluralità di banche organizzate in consorzio. La linea di fido è quindi accordata da tutte le banche che partecipano al pool, ciascuna per un importo pro-quota, e l’organizzazione dell’ operazione, nonché la delineazione delle modalità del prestito, sono attribuite ad una banca capogruppo. Tecnicamente il finanziamento in pool può configurarsi come: prestito stand-by, in cui l’utilizzo della linea di credito da parte del beneficiario avviene in modo ripetuto nel tempo, anche per cifre parziali, ma entro un certo termine previamente stabilito, oppure come prestito evergreen, in cui l’utilizzo del fido avviene, sempre in modo ripetuto nel tempo, ma senza una scadenza e quindi fino all’atto di revoca. Normalmente questo tipo di finanziamento viene accordato ad imprese di grandi dimensioni oppure ad un ente pubblico per la realizzazione di grandi opere infrastrutturali. A monte di tale operazione del tutto straordinaria la Corte di Cassazione dunque ha ritenuto che vi sia stata la consapevolezza da parte degli istituti di credito della pesante compromissione del patrimonio della società e di quello del suo fideiussore.