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Note

Appunti e spunti in tema di usura contrattualizzata nei contratti di mutuo (e non solo) a margine dell’Ordinanza del Tribunale di Milano del 28/01/2014

20 Marzo 2014

Michele Rondinelli

1. Premessa (*)

Il tema è noto. Le conseguenze pure.

Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi. Il contratto dunque resta in piedi e da oneroso diventa gratuito.

Tutto semplice… apparentemente. Gli è che da tempo si dibatte se alcune voci debbono, o meno, considerarsi ai fini della verifica del costo effettivo dell’operazione finanziaria e dunque ai fini del raffronto con il tasso soglia usura vigente al momento della stipula: si tratta, senza giri di parole, degli interessi di mora.

Il campo è diviso (2) e la giurisprudenza recente non aiuta (3).

Nell’ultimo anno, la Cassazione 350/13 (4) è stata da più parti interpretata, ma per lo più s’è trattato di interpretazioni pelose.

Esiste poi un mercato del contenzioso bancario cresciuto in maniera esponenziale proprio a causa (o, a seconda dei punti di vista, grazie…) alla pronuncia degli Ermellini.

Il passo incriminato è il seguente: la censura relativa all’usurarietà dei tassi “è fondata in relazione al tasso usurario perché dalla trascrizione dell’atto di appello risulta che parte ricorrente aveva specificamente censurato il calcolo del tasso pattuito in raffronto con il tasso soglia senza tenere conto della maggiorazione di tre punti a titolo di mora, laddove, invece, ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del codice penale e dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori (Corte cost. 25 febbraio 2002 n. 29: “il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”; Cass., n. 5324/2003)” (5).

In assenza del contratto di mutuo, di tale escerto possono darsi almeno due interpretazioni, entrambe coerenti con quanto statuito dalla Corte ed entrambe sostenibili da un punto di vista logico-giuridico:

– è ammessa la sommatoria (in tal senso dovrebbe intendersi il termine maggiorazione) tra interessi corrispettivi e interessi moratori ai fini della verifica di pattuizioni usurarie, per cui se la somma da un valore superiore al tasso soglia vigente al momento della stipula il contratto deve intendersi affetto da usura genetica con conseguente applicazione dell’art. 1815 c. 2;

– la maggiorazione cui si fa riferimento riguarda esclusivamente la mora, recte le modalità di calcolo della mora; ciò in quanto diversi contratti prendono il TAN come base di riferimento ai fini della quantificazione degli interessi di mora cui viene aggiunto uno spread determinato da contratto; peraltro, anche se così fosse, troverebbe comunque applicazione – ed in ciò la Cassazione è in equivoca – l’art. 1815 c. 2.

A mio avviso, l’interpretazione da preferire è la prima – e di ciò, nel prosieguo, cercherò di convincere il lettore – per il fatto che la legge n. 108 del 1996 ha individuato un unico criterio ai fini dell’accertamento del carattere usurario degli interessi (6): il momento della pattuizione è quello rilevante e con riguardo a tale momento vanno considerati tanto i costi certi tanto i costi potenziali (come i costi per l’estinzione anticipata o gli interessi di mora).

2. Sommatoria dei tassi in due ordinanze pilota: Tribunale di Rovereto e Tribunale di Milano a confronto

La prima interpretazione è evidentemente quella propugnata da associazioni di consumatori e da società di consulenza che promuovono azioni contro istituti bancari; essa peraltro, è stata fatta propria dal Tribunale di Rovereto in una ordinanza in materia di opposizione a d.i. del 30 dicembre 2013 dove si legge: “rilevato in fatto, chel’opposizione si fonda essenzialmente su un unico e assorbente argomento, rappresentato dal fatto che, in relazione ad entrambi i mutui ipotecari, sarebbero stati pattuiti interessi usurari: nel relativo conteggio la parte opponente fa rientrare, sulla scorta di quanto statuito nella recente sentenza della Corte di Cassazione n. 350/2013, anche gli interessi di mora contrattualmente previsti ritenuto che in ordine agli interessi applicati dalla Banca sussista effettivamente un dubbio non prontamente risolvibile: in realtà, dai conteggi effettuati dall’opponente il tasso soglia – considerando solo interessi convenzionali e moratori – parrebbe senz’altro essere stato sforato nel secondo contratto . mentre nel primo contratto parrebbe essersi rimasti sotto la soglia, salva l’ulteriore valutazione di tutti gli altri importi – diversi da imposte e tasse – incamerati dalla Banca in relazione a quel mutuo”.

La seconda interpretazione – oltre ad essere propugnata dai patrocinatori delle banche quando la mora non supera il tasso soglia usura – parrebbe viceversa essere seguita dall’ordinanza del Tribunale di Milano del 28/01/2014 che ha occasionato questi appunti.

Nell’ordinanza di Milano si legge: “nel condividersi il principio affermato dalla Corte secondo cui la verifica del rispetto soglia d’usura va estesa alla pattuizione del tasso di mora, ne consegue che, ove detto tasso risultasse pattuito in termini da superare il tasso soglia rilevato all’epoca del stipulazione del contratto, la pattuizione del tasso di mora sarebbe nulla, ex art. 1815 comma 2 c.c. (e quindi non applicabile), con l’effetto che, in caso di ritardo o inadempimento, non potrebbero essere applicati interessi di mora, ma sarebbero unicamente dovuti i soli interessi corrispettivi (ove pattuiti nel rispetto del tasso soglia)”. Per il Tribunale di Milano dunque la verifica dei tassi va fatta partitamente con riguardo al tasso corrispettivo e al tasso mora con conseguenze differenti a seconda del tasso che dovesse risultare eccedente la soglia usura: se usurari sono gli interessi corrispettivi il contratto andrà qualificato come gratuito; se usurari sono gli interessi moratori, in caso di ritardo la mora non sarà dovuta.

Pur non condivisa, la valutazione parcellizzata del contratto in relazione alle singole voci di interesse considerate, desta meno sorpresa rispetto all’altra – certamente più innovativa – che vorrebbe sostanzialmente “rendere gratuito il ritardo”.

Si tratterebbe ovviamente di un paradosso… in quanto alla parte mutuataria non sarebbe comunque concesso di scegliere “quando” adempiere stante la previsione di clausole risolutive espresse oltre che la possibilità per la parte mutuante di invocare la risoluzione per inadempimento; ma di un paradosso che svuoterebbe di senso tutta la disciplina antiusura dal momento che renderebbe di fatto non operativa la disposizione dell’art. 1815, c. 2, c.c. la quale – è stato detto – «sanziona nella maniera più negativa possibile, dal punto di vista civile, la pattuizione di interessi usurari» (7).

3. Limiti logico-giuridici della soluzione ambrosiana

La soluzione ambrosiana è fondata sulla diversa natura che connota gli interessi corrispettivi e i moratori – diversità peraltro nota anche a chi ritiene che si debba procedere alla loro sommatoria –: i primi avendo natura di corrispettivo per le somme mutuate, i secondi essendo una vera e propria penale per un ritardo nell’adempimento che viene ricondotto ad un fatto solo eventuale e comunque imputabile al mutuatario.

Soluzione apparentemente logica ma che pone diversi problemi.

Una valutazione di un contratto di mutuo (ma il tema è ben noto anche con riguardo ad altre categorie di operazioni per le quali vengono resi noti i tassi soglia usura: es. apercredito e CMS) clausola per clausola rischia di avere conseguenze elusive della disciplina antiusura in quanto difficilmente una singola clausola – da sé sola considerata – presenta condizioni usurarie… la valutazione va, viceversa, fatta con riguardo al contratto nel suo insieme, considerando tutte le clausole che comportano un costo per il cliente (ad eccezione, ovviamente, di imposte e tasse) e va fatta, ovviamente, al momento della stipula.

Né potrebbe obiettarsi che nel TEGM non risulta ricompresa la mora e dunque, come comunemente si sente dire “non si possono confrontare le mere con le pere…” in quanto non si possono completamente sovrapporre la finalità di rilevazione del TEGM con le finalità dell’art. 644 c.p. Argomentare in tal senso condurrebbe al paradosso di escludere dal calcolo del TEG per la verifica dell’usura, oltre agli interessi di mora, ogni nuovo onere, non contenuto nel TEG impiegato per la determinazione del TEGM (8), agevolando, fra l’altro, comportamenti sperequativi, stigmatizzati dalla giurisprudenza di merito, come la ridefinizione e la sostituzione di alcuni oneri al mero fine di escluderli dal calcolo del tasso. Non solo. Anche i tentativi di invocare il principio della c.d. ignoranza inevitabile, e quindi scusabile della legge penale, a fronte dell’algoritmo di calcolo suggerito dalla Banca d’Italia nella Circolare 2 dicembre 2005 non hanno trovato riscontro in giurisprudenza (9). La Cassazione penale con sentenza 24 giugno 2010, n. 24241 ha rilevato che la legge in questione determina con sufficiente specificazione il fatto cui è riferita la sanzione penale.

Va poi considerato che le Istruzioni della Banca d’Italia, di cui alla disciplina dell’usura, non sono dettate al fine di come debba essere conteggiato il TEG, ossia il tasso effettivo globale applicato dalla banca sulla singola operazione con il cliente, ma sono rivolte alle banche e agli operatori finanziari per rilevare il TEGM, ossia il tasso effettivo globale medio applicato per operazioni omogenee in un determinato periodo. Tali istruzioni non hanno alcuna efficacia precettiva nei confronti del giudice nell’ambito dei suo accertamento del TEG applicato alla singola operazione, né debbono essere osservate dagli operatori finanziari quando stabiliscono il tasso di interesse di un determinato rapporto; e ciò sia perché le stesse non sono finalizzate a stabilire il TEG, sia perché sono disposizioni non suscettibili di derogare alla legge (10).

Il procedimento per pervenire alla fissazione del tasso soglia trimestrale con D.M. del Tesoro non prevede l’automatica assunzione dei dati rilevati dalla Banca d’Italia, la quale ha funzione semplicemente consultiva, e stabilisce pure un «correttivo», come riferito al tasso ufficiale di sconto, per pervenire all’indicazione del tasso soglia. Non può dunque affermarsi un’automatica equiparazione tra le risultanze delle rilevazioni della Banca d’Italia e il TEGM, sia dal punto di vista formale, atteso che questo è stabilito con decreto solo «sentita la Banca d’Italia», sia dal punto di vista sostanziale perché la norma prevede comunque ipotesi di correttivi da apportarsi dal ministero competente (Corte di Appello di Torino 20.12.2013 in www.ilcaso.it).

Infine, è ben vero che la mora è solo eventuale ma è altrettanto vero che vi sono solitamente altre clausole che prevedono dei costi – talvolta qualificati come penali o come compensi – anch’essi solo eventuali e che a tutti gli effetti vanno sommati al tasso corrispettivo per la verifica dell’usurarietà del contratto: si pensi, ad es. al costo per l’estinzione anticipata o, ancora, in alcuni contratti di leasing alla commissione per l’esercizio dell’opzione di riscatto che va ad aggiungersi al prezzo del riscatto, etc.

La clausola relativa all’estinzione anticipata viene solitamente formulata nel senso di prevedere il pagamento di una somma commisurata percentualmente al capitale restituito anticipatamente.

Seguendo lo schema fatto proprio dal Tribunale di Milano, ragioniamo per ipotesi.

Si ipotizzi, dunque, quanto segue:

– Tizio in data 01/01/2011 stipula un mutuo a tasso variabile di € 1.000.000,00;

– il contratto prevede il pagamento di x rate semestrali posticipate;

– il contratto prevede altresì una penale per anticipata estinzione nella misura del 2 % del capitale restituito anticipatamente;

– il tasso corrispettivo pattuito è pari al 2,5 % mentre l’ISC è pari al 2,75 %;

– il tasso soglia usura al momento della stipula risulta pari al 4,02 % (ovvero 2,68 % aumentato della metà).

Si tratta di dati frutto di fantasia (ad eccezione del tasso soglia usura) ma tutti coerenti con il normale andamento dei tassi nel gennaio 2011, periodo questo scelto non a caso… come si vedrà.

Ipotizziamo poi che Tizio tra il gennaio e il 30 giugno 2011 (data di scadenza della prima rata) erediti una ingente somma dal fantomatico zio d’America e decida di ripianare tutti i suoi debiti, estinguendo anche tale mutuo. E’ evidente che per l’estinzione egli dovrà corrispondere una penale pari al 2 % dell’intero capitale erogato così come evidente che il costo secco di tale penale – ancorché potenziale al momento della stipula – debba essere ricompreso nella valutazione dell’operazione di finanziamento.

In base alle ipotesi date, il contratto è indubbiamente affetto da usura originaria e ciò senza considerare neppure la pattuizione di interessi moratori.

Poco male per l’istituto di credito; al peggio, in un eventuale contenzioso, dovrà restituire gli € 20.000,00 che ha ricevuto a titolo di estinzione anticipata.

Ma cosa sarebbe successo se, in costanza di rapporto, Tizio avesse agito in giudizio per vedere riqualificare il contratto come gratuito? L’esito non poteva che essere l’applicazione dell’art. 1815 c. 2 in conseguenza di una clausola contrattuale che, in potenza, avrebbe determinato effetti usurari e non poteva essere altrimenti dal momento che – tutti sono d’accordo sul punto – ciò che rileva è la pattuizione e non la dazione di somme.

In un certo qual modo, mora e penale per estinzione anticipata possono essere tra loro equiparate:

– entrambe sono solo eventuali;

– entrambe dipendono da un fatto del mutuatario.

– entrambe non risultano ricomprese nelle voci prese in considerazione dalla Banca d’Italia ai fini della determinazione del TEGM.

Ciò che le differenzia sono le modalità di applicazione:

– la penale si applica sulle somme restituite anticipatamente, in ipotesi su tutto il capitale;

– la mora si applica sulla rata non pagata alla regolare scadenza e sulla base dei giorni di effettivo ritardo (cd. dietim), per cui dato il tasso mora annuale pattuito lo stesso va diviso per 365 e moltiplicato per i giorni di ritardo.

Tuttavia, la solo differenza evidenziata non è – come si vedrà – dirimente… Non si vede dunque per quale ragione non si possa trattare allo stesso modo tanto la penale per l’estinzione anticipata, tanto la mora e cioè non si vede per quale ragione non si possa attualizzare al momento della stipula l’effetto – solo eventuale – del ritardo nell’adempimento della parte mutuataria.

4. Aperture – probabilmente inconsapevoli – a favore di una sommatoria dei tassi nell’ordinanza di Milano

Tornando alla nostra ordinanza di Milano, la stessa richiama – asserendo di condividerne gli assunti – la Cass. 350/13 precisando che “la circostanza che poi, nella fattispecie all’esame della Corte, il tasso di mora fosse stato pattuito in termini di maggiorazione percentuale del tasso corrispettivo (pattiziamente individuato aumentando di 3 punti percentuali il tasso corrispettivo del 10,50%, da cui un tasso di mora del 13,50%, oltre la soglia del 12,43% rilevata all’epoca della pattuizione), non equivale di certo ad affermare che tasso corrispettivo e tasso di mora vadano comunque e sempre cumulati, al fine della verifica del rispetto tasso soglia, essendo palese che la maggiorazione cui si riferisce la Corte riguardava unicamente la modalità di pattuizione di quel tasso di mora che, così calcolato, risultava usurario” (enfasi nostra).

E’ dunque il Tribunale di Milano ad affermare che tasso corrispettivo e moratorio possono, seppur – a suo dire – a date condizioni, essere sommati tra loro; ma – a me pare – nella relativa ordinanza si confonde la fase genetica con la fase esecutiva del contratto, ovvero l’usura contrattualizzata con l’usura sopravvenuta; solo con riguardo a quest’ultima figura si valorizzano gli interessi di mora e solo nella misura in cui gli stessi siano effettivamente applicati. Ciò, evidentemente, richiede che il presupposto per l’applicazione degli interessi di mora si sia verificato; ma questa interpretazione va contro il senso e la lettera della legislazione antiusura e dell’interpretazione che ne è stata data dalla legge 108/96 in avanti.

Nell’ultimo escerto si afferma la seguente regola (che, chiaramente, non si condivide): tasso corrispettivo e tasso moratorio non vanno tra loro sommati. Immediatamente dopo viene individuata un’eccezione: “un possibile cumulo di tasso corrispettivo e tasso di mora potrebbe invero rilevare, non già con riferimento a una teorica somma numerica di detti tassi, da raffrontarsi al tasso soglia, ma con riferimento alla concreta somma degli effettivi interessi (corrispettivi e di mora) conteggiati a carico del mutuatario; in altri termini potrebbe parlarsi di cumulo usurario di interesse corrispettivo e interesse di mora nel solo caso in cui, in presenza di ritardato pagamento, il conteggio dell’interesse di mora sull’intera rata, comprensiva d’interessi, sommato all’interesse corrispettivo, determinasse un conteggio complessivo d’interessi che, rapportato alla quota capitale, si esprimesse in una percentuale superiore al tasso soglia”.

Tuttavia le clausole contrattuali generalmente contenute nei contratti di mutuo prevedonoche la mora sia calcolata su tutte le somme scadute e non pagate… In effetti, i contratti di mutuo – e sulla loro falsa riga anche di leasing – generalmente prevedono che su tutte le somme non pagate alla regolare scadenza maturano interessi di mora; ma, com’è noto, ciascuna rata si compone di una quota capitale, di una quota interessi, delle spese di incasso rata, delle spese assicurative (se le stesse sono frazionata sul numero delle rate, etc.).

La presenza nei contratti di mutuo (e di leasing) di clausole del genere comporta, da un punto di vista prasseologico, un’inversione del rapporto tra regola (non sommatoria) ed eccezione (sommatoria a date condizioni); ciò in tanto è possibile in quanto la regola affermata dal Tribunale di Milano non è “vera” in quanto frutto di una errata impostazione.

Ad ogni modo, se pacificamente il momento che rileva è quello della pattuizione ciò vale anche per quelle clausole che – in potenza – determinano effetti usurari.

La mora pattuita presuppone, per essere applicata, un ritardo da parte del mutuatario. Al momento del ritardo si assiste ad un consolidamento della rata – recte – di tutte le somme che compongono la rata, a prescindere dal titolo per cui esse sono dovute; tali somme diventano un tutto indistinto (11) su cui vengono applicati gli interessi moratori in sostituzione degli interessi corrispettivi.

Per il mutuatario, è stato osservato (12), ciò vuol dire la nascita di una obbligazione a latere rispetto al contratto di mutuo che prosegue naturalmente verso la sua scadenza. La rata scaduta comporta dunque la debenza di un diverso interesse, generalmente più alto dell’interesse corrispettivo anche per espressa pattuizione delle parti, in ragione della funzione compensatoria della mancata disponibilità della rata alla scadenza (13).

Anche a voler aderire alla regola della non sommatoria, in presenza di clausole contrattuale che espressamente specificano che la mora vada applicata su tutte le somme scadute e non pagate… non si può non procedere alla sommatoria tra i due tassi e, ovviamente, tutte le altre voci di costo, eccetto imposte e tasse, poste a carico della parte mutuataria.

Tornando ancora alla ordinanza dello scorso gennaio, nella stessa il Tribunale di Milano si lancia in calcoli astrusi che sarebbe stato meglio lasciar fare a dei consulenti tecnici.

Illuminante è, in questo senso, il seguente passaggio: “ipotizzando invero l’inadempienza del mutuatario già a decorrere dalla prima rata, ed anche applicando, per la prima rata d’interessi sull’intero capitale mutuato di L. 170.000.000, non già il contenuto tasso di preammortamento ma il più elevato tasso di ammortamento, pari a 1/12 del 7,50% (TAEG conteggiato dalla banca, come infra sub 9), si avrebbe una rata d’interessi per L. 1.062.500 (7,50 : 12 = 0,625 x 170.000.000%), e di rimborso capitale per L. 344.930 (170.000.000 x 0,2029% – come da piano ammortamento, All.C mutuo); decorso il primo mese di ritardo, su detta rata, pari a un totale di L. 1.407.430, decorrerebbero interessi pari a 1/12 del pattuito tasso di mora del 9,50% (9,50 : 12 = 0,79166 x 1.407.430%), ossia pari a L. 11.142; il totale degli interessi pretesi, a titolo di corrispettivo e a titolo di mora sulla prima rata, risulterebbe L.1.073.642 (1.062.500 + 11.142), corrispondente a un tasso mensile dello 0,6315% sull’iniziale capitale di L.170.000.000, pari a un tasso anno del 7,57%, ampiamente al di sotto del tasso soglia dell’epoca (per arrivare a un superamento del tasso soglia si dovrebbe fare l’ipotesi teorica di tassi corrispettivi e di mora poco distanziati ed entrambi molto vicini al tasso soglia, quali ad esempio tasso corrispettivo del 10,15% (: 12 = 0,845833) e tasso di mora del 10,20%) (: 12 = 0,85): ne deriverebbe una prima rata di L.1.437.916 di interessi e L.344.930 di capitale, per un totale di L.1.782.846, ed interessi di mora, per ritardo di 1 mese, di L. 15.154 che, sommati agli interessi corrispettivi, porterebbero a L.1.453.070, corrispondenti a un interesse mensile dello 0,8547 dell’iniziale capitale di L.170.000.000, pari a un tasso annuo del 10,25%, superiore al tasso soglia)”.

Sono astrusi tali calcoli in quanto, a differenza che per la penale di estinzione anticipata, per la mora anche se si verificasse il presupposto per la sua applicazione immediatamente dopo la stipula del contratto, ovvero alla scadenza della prima rata, essa non sarebbe applicata su tutto il capitale mutuato – contrariamente a quanto afferma il Tribunale di Milano – ma solo su quella quota di capitale che compone la prima rata. E’ peraltro noto che il piano di ammortamento più diffuso è quello cd. alla francese, in base al quale le rate si compongono di una quota capitale crescente nel tempo e di una quota interessi decrescente.

Il Tribunale di Milano, poi, pretende di sommare al tasso corrispettivo il tasso mora nella misura data dalla durata della mora medesima. Ma alla mora poi si applica il già richiamato dietim, il che peraltro non smentisce ma conferma che per il caso di ritardo si prende in considerazione un tasso di interesse predeterminato su base annua – e come vedremo questo aspetto potrebbe risultare dirimente –. Il calcolo degli interessi di mora avviene, infatti, con la seguente formula: giorni di ritardo x importo rata x tasso % di mora / 36500.

Quando si ragiona per ipotesi, occorre farlo – da un punto di vista metodologico – ricorrendo ad ipotesi estreme, che consentano di testare appieno la tenuta delle argomentazioni proposte. Se la mora è solo eventuale, chi ci dice che – verificatisi i presupposti – la stessa durerà un giorno, un mese o un anno?

Ma argomentare per ipotesi ci consente di dimostrare agevolmente come la mora possa – in questo caso si! – essere applicata sull’intero capitale.

Ipotizziamo che Caio, stipulato un contratto di mutuo ipergarantito da ipoteca e pegno di titoli della durata di 10 anni, si renda moroso già alla prima scadenza, e così per ogni scadenza successiva.

Ipotizziamo poi che Caio paghi ciascuna rata esattamente con un anno di ritardo e dunque che il rimborso integrale del capitale avvenga, non già alla scadenza naturale del contratto, ovvero al decimo anno, ma all’undicesimo. In questo caso, Caio avrà pagato la mora su ogni rata (e dunque sull’intero capitale, nonché su tutti gli interessi come previsti dal piano di ammortamento) e l’avrà pagata per un intero anno, in ciò sommandosi con gli interessi corrispettivi previsti da contratto.

Tale ipotesi consente di trarre una regola (vera), che deve valere anche per il caso in cui la mora duri un sol giorno e relativamente ad una sola rata e anche nel caso in cui l’evento che determina l’applicazione degli interessi di mora, i.e. il ritardo nell’adempimento, nella fase esecutiva del rapporto non si verifichi affatto.

Come per la penale per estinzione anticipata, la mora va dunque attualizzata al momento della stipula in modo tale da ricomprendere le “n” ipotesi che possono in concreto verificarsi. Ma attualizzare la mora alla stipula del contratto altro non vuol dire se non che la stessa debba essere computata sull’intero capitale (l’ipotesi appena formulata dimostra come ciò sia possibile e possa accadere) e al tasso annuo contrattualmente previsto; ma se così è allora la mora deve essere sommata agli interessi corrispettivi.

Se dunque la valutazione dell’usurarietà del mutuo o di qualunque altra operazione creditizia deve essere delibata in sede di pattuizione anche per gli interessi moratori (14), tali interessi – come ogni altro onere posto a carico della parte mutuataria – non possono che essere sommati agli interessi corrispettivi.

Tale soluzione non è del resto incoerente con il sistema che, nel tempo, ha fornito notevoli tutele agli istituti di credito.

Nell’esempio di Tizio si era ipotizzato che lo stesso avesse contratto un mutuo nel gennaio 2011; al tempo il tasso soglia risultava pari al 4,02 % a fronte di un tasso medio del 2,68 %. Se Tizio avesse stipulato lo stesso mutuo sei mesi dopo il tasso soglia sarebbe stato pari al 7,9875 a fronte di un tasso medio del 3,19 %… il perché è storia nota!

5. Conclusioni

Queste brevi note consentono di trarre le seguenti conclusioni.

L’assunto per cui la sommatoria tra interessi corrispettivi e interessi moratori non sia possibile non può essere condiviso. Si deve, viceversa, ritenere che non si possa prescindere da detta sommatoria, con la precisazione che tra gli addendi vanno ricompresi – oltre a tali voci – anche le commissioni e spese, ad eccezione di imposte e tasse.

Si tratta, del resto, di un orientamento coerente con la lettera di interpretazione autentica della legge n. 108/1996 (cfr. art. 1 del d.l. 29 dicembre 2000, n. 394 convertito con legge 28 febbraio 2001, n. 24) che fa riferimento agli interessi promessi o comunque convenuti «a qualunque titolo». Nella stessa relazione governativa di presentazione al Parlamento del decreto-legge si afferma (al punto 4): “L’articolato fornisce al comma 1 l’interpretazione autentica dell’articolo 644 del codice penale e dell’art. 1815, comma secondo, del codice civile. Viene chiarito che, quando in un contratto di prestito sia convenuto il tasso di interesse (sia esso corrispettivo, compensativo, o moratorio), il momento al quale riferirsi per verificarne l’eventuale usurarietà sotto il profilo sia penale che civile, è quello della conclusione del contratto, a nulla rilevando il pagamento degli interessi”.

In questa prospettiva, la Banca d’Italia, con comunicazione del 3 luglio 2013 – «chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura» (3 luglio 2013) – ribadisce che «la verifica dell’usurarietà dei tassi … e le conseguenti valutazioni, sotto l’aspetto civile e penale, sono rimesse all’Autorità giudiziaria» e conclude affermando che «in ogni caso anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura»(15).

La regola della sommatoria, presenta poi un corollario: tutti gli addendi vanno attualizzati al momento della stipula, ivi compresi gli interessi moratori. Ma attualizzare gli interessi di mora alla stipula altro non vuol dire se non prendere in considerazione il tasso moratorio annuo come previsto da contratto, per cui sarà tale tasso a dover essere sommato alle altre voci.

 

1 Pur essendo per le considerazioni espresse il solo responsabile, desidero ringraziare Filippo Sartori, Biagio Riccio e Massimo Meloni per le frequenti opportunità di confronto.

2 La divisione è del resto risalente. Già prima della legge n. 24/2001 recante interpretazione autentica della legge n. 108/96, si confrontavano due distinte tesi: la prima, per l’euiparazione degli interessi corrispettivi e moratori ai fini della legge antiusura (cfr. ex multis, TETI, Profili civilistici della nuova legge sull’usura, in Riv. dir. priv. 1997, 482-483); la seconda contraria (cfr. DOLMETTA, Le prime sentenze della Cassazione in materia di usura ex legen. 108/96, in Banca Borsa, 2000, II, 627).

Né la divisione è stata superata – stanti gli ingenti interessi in gioco – dopo il 2001, nonostante la legge 24/2001 avesse preso posizione a favore della inclusione, ai fini della valutazione di condizioni usurarie, degli interessi pattuiti “a qualunque titolo”.

3 Ci si riferisce alla contraddittorietà tra alcune ordinanze del dicembre 2013 (Tribunale di Rovereto) e del gennaio 2014 (Tribunale di Milano) oggetto di esame in questi appunti.

Prescindendo da esse, è pacifico in giurisprudenza che la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento vada computata ai fini del calcolo delle voci di cui bisogna tenere conto per la definizione del tasso usuraio. Si veda ad esempio Cass. 22 aprile 2000, n. 5286 (: «non v’è ragione per escludere l’applicazione [della nuova normativa] anche nell’ipotesi di assunzione dell’obbligazione di corrispondere interessi moratori, risultati di gran lunga eccedenti lo stesso tasso soglia»); Cass., 4 aprile 2003, n. 5324 (: «il tasso-soglia di cui alla legge n. 108/1996 riguarda anche gli interessi moratori»); Cass., 11 gennaio 2013, n. 603 (: al di sopra dei tassi soglia «gli interessi corrispettivi e moratori ulteriormente maturati vanno considerati usurari»). Ancora, a titolo meramente indicativo, Cass., 26 giugno 2001, n. 8742; di Cass., 13 dicembre 2002, n. 17813; Cass., 22 luglio 2005, n. 15497; Cass., 13 maggio 2010, n. 11632; Cass., 22 aprile 2010, n. 9532. La riconducibilità dei moratori agli interessi usurari – e alla disciplina dell’art. 1815 c.c. – è idea risalente nella magistratura del Supremo Collegio, anteriore alla stessa entrata in vigore della legge del 1996. Si veda Cass., 7 aprile 1992, n. 4251 (edita in Vita notarile, 1992, p. 1137 ss.). Recentemente anche Corte d’Appello di Venezia, 21 maggio 2012, dep. 18 febbraio 2013. Lo stesso ordine di soluzione risulta seguito – al livello delle giurisprudenze di rango superiore – dalla sentenza della Corte Costituzionale 25 febbraio 2002, n. 29.

4 Per un commento si veda TARANTINO, Usura e interessi di mora, inNuova Giur. Civ., 2013, 675.

5 Di analogo contenuto e di stretta osservanza a quanto statuito dalla Corte di legittimità è un’altra sentenza della Corte di Appello di Venezia recante numero 342/2013 del 18.02.2013, dove si legge che: “[a]i sensi dell’art. 1815 c.c., opera la conversione forzosa del mutuo concesso ad un tasso usurario, in mutuo gratuito, alfine di garantire una magiare tutela del debitore ed una visione unitaria della fattispecie, connotata dall’abbandono del presupposto soggettivo dello stato di bisogno del debitore, a favore del limite oggettivo della “soglia” di cui all’art. 2, comma IV della L n. 108 del 1996. La sanzione dell’abbattimento del tasso di interesse si applica a qualunque somma dovuta a titolo di interesse, legale o convenzionale, sia agli interessi corrispettivi che agli interessi moratori, con la sola esclusione del caso in cui i rapporti contrattuali presupposti dall’applicazione degli interessi siano già esauriti alla data di entrata in vigore della legge n. 108 del 1996.

6 La formulazione dell’art. 1, 3° comma, ha valore assoluto in tal senso non delineando il legislatore alcuna differenza tra interesse corrispettivo o moratorio.

7 Così Dagna, Profili civilistici dell’usura, Milano, 2008, 189.

8 Deve essere rimarcato che la querelle e lavexata quaestio circa la tematica se gli interessi moratori debbano o meno essere inseriti, come componente remunerativa, nel computo del Teg, non nasce ora: il problema è stato ampiamente affrontato dalla Corte di legittimità e da una copiosa giurisprudenza di merito già agli inizi dell’anno 2000; valga, al riguardo, la seguente breve rassegna.

Sentenziava la Corte Suprema: “L’usurarietà del superamento del “tasso soglia” di cui alla l.7 marzo 1996 n. 108, vale anche per le clausole concernenti gli interessi moratori”(Cass.n.5286, 22.04.2000).

Di rilevante spessore sono alcune pronunce della giurisprudenza di merito che comunque hanno posto l’accento sulla circostanza che gli interessi moratori siano componente essenziale nel calcolo del Teg, anche se riferite a fattispecie fattuali antecedenti all’emanazione della legge 108/96.

La disciplina sull’usura introdotta dalla l. 108/96 si applica anche agli interessi Moratori” (Tribunale di Campobasso 3.10.2000).

La clausola che in un contratto di mutuo preveda per il ritardo nella restituzione del capitale il pagamento di interessi moratori in misura superiore al tasso soglia previsto dalla legge sull’usura deve essere qualificata come clausola penale ed il giudice può d’ufficio provvedere alla riduzione, ai sensi dell’art. 1384 c.c., essendo l’ammontare manifestamente eccessivo”(Tribunale di Roma 01.02.2001).

La disciplina repressiva dell’usura si applica agli interessi moratori. Essa vale anche per i rapporti costituitisi anteriormente alla sua entrata in vigore con riguardo alle prestazioni non ancora eseguite: sostituendosi al tasso pattuito, e divenuto usurario, un tasso diverso riferito ai vari tassi soglia determinati trimestralmente dal Ministero del tesoro” (Tribunale di Napoli 19.05.2000).

9 In proposito autorevole dottrina, di converso, ha precisato significativamente: “la sussistenza di una disparità di vedute tra la Cassatone e le Autorità di Vigilanza non è certo una novità né in sé né tanto meno nel contesto normativo dell’usura e sta per così dire nell’ordine delle cose che è connaturato al diritto vivente: in questa prospettiva, l’ultimo Comunicato della Banca di Italia (03.07.2013) sembrerebbe potere anche suonare forse come una sorta di replica al più recente arresto del Supremo Collegio“(Cass. civ. Sez. I, 09-01-2013, n. 350). Sul piano normativo questa è la domanda: possono le rilevazioni trimestrali discostarsi da un orientamento della Cassazione che nell’attuale presenta le stigmate del consolidato? A me per la verità pare che a simile quesito possa darsi solo una risposta negativa. Nell’interpretare le leggi le Autorità Amministrative, quando anche di prestigio grande come è nel caso della Banca di Italia, hanno per definizione un ruolo subalterno nei confronti dell’Autorità Giudiziaria. Secondo i principi del sistema inoltre la funzione nomofilattica risulta affidata alla Corte di Cassazione senza riserva di materia: già per questo motivo dunque le rilevazioni trimestrali dell’usura devono mostrarsi specchio fedele degli orientamenti consolidati di quella. Alla Banca di Italia non risulta affidato nessun poter secondario di specificazione dei precetti primari di legge: le rilevazioni trimestrali non hanno la funzione di produrre opinioni, bensì quella esclusiva di fotografare l’esistente, di rilevare il fatto storico dei tassi applicati dall’operatività così come pure di dare fotocopia alle consolidate letture che del dato normativo esprima la Corte di Cassatone”(DOLMETTA, Su usura ed interessi di mora: questioni attuali, in Banca Borsa Titoli di Credito, 2013, II, 501).

10 Si consideri poi che già prima della legge 108/96, nel sistema era presente un principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione, come emerge anche dall’art. 1224, 1° comma, cod. civ., nella parte in cui prevede che se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura. Il ritardo colpevole, poi, non giustifica di per sé il permanere della validità di un’obbligazione così onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge. Nel determinare perciò l’usura non vi è differenza alcuna tra interesse corrispettivo ed interesse moratorio: entrambi concorrono – necessariamente – alla formazione del TEG.

La questione è stata risolta dallo stesso legislatore. Infatti, l’art. 1, comma 1°, del d.l. 29.12.2000, n. 394, di interpretazione autentica dell’art. 644 cod. pen., convertito in legge con modificazioni dall’art. 1, l. 28.2.2001, n. 24, riconduce alla nozione di interessi usurari quelli convenuti «a qualsiasi titolo», e la relazione governativa che accompagna il decreto fa più esplicito riferimento a ogni tipologia di interesse, «sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio». In tal senso si è pronunciata anche la Corte Costituzionale, in una sentenza chiamata ad esprimersi nei giudizi di legittimità costituzionale sollevati dalla l. n. 24/2001.

Nello specifico, la Consulta ha precisato, seppur in un obiterdictum, che «(v)a in ogni caso osservato — ed il rilievo appare in sé decisivo — che il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile — senza necessità di specifica motivatone — l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori» (Corte cost., 25.2.2002, n. 29, infra, sez. III) [ passim: TARANTINO, Usura ed interessi di mora di Antonio, in Nuova Giur. Civ., 2013, 675].

11 Per VACCARA BELLUSCO, Mutuo fondiario e divieto di anatocismo: falso problema o persistente querelle? in Corr. Giur., 2007, 394 ss. il rapporto contrastato tra disciplina antiusura e interessi di mora pattuiti nei contratti di mutuo ordinario deriverebbe dal fatto che la prassi tende a fra rientrare nell’ambito dei mutui “ordinari” per i quali sono vietati gli interessi anatocistici e la risalente disciplina dei mutui fondiari, la quale prevedeva espressamente la corresponsione degli interessi di mora sull’intera rata, inclusa la quota di ammortamento degli interessi.

12 Cfr. DAGNA, cit., 135.

13 Cfr. FAUSTI, Il mutuo, Napoli, 2004, 175.

14 Tale principio generale è stato contemplato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui: “La l. 28 febbraio 2001 n. 24, di conversione del d.l. 29 dicembre 2000 n. 394, di interpretazione autentica della l. 7 marzo 1996 n. 108, che ha fissato la valutatone della natura usuraia dei tassi d’interesse al momento della convenzione e non a quello della dazione, non si applica solo ai rapporti di mutuo ma a tutte le fattispecie negoziali che possano contenere la pattuizione d’interessi usurari, salvo che il rapporto contrattuale non si sia esaurito anteriormente alla data di entrata in vigore della l. 7 marzo 1996 n. 108, senza che rilevi la pendenza successiva di una controversia riguardante le ragioni di credito di una delle parti, dovendo trovare applicatone, in tale fattispecie, l’ordinaria disciplina della successione delle leggi nel tempo” (Cass.12.07.2007 n.l5621).

15 Tali considerazioni, espresse quale incipit al par. 2 di detti chiarimenti, risultano assorbenti rispetto alle altre – che non si condividono per le ragioni esposte, se non nella misura in cui le stesse esprimono la metodologia statistica adottata per la rilevazione del TEGM – espresse al successivo par. 4 secondo cui “[g]li interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L’esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela. Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l’inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora”.

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