[1] SOMMARIO: Il presente articolo esamina il rapporto tra disciplina societaria e regolamentare in relazione alle operazioni straordinarie transfrontaliere alla luce della novella recata dal d.lgs. n. 19 del 2 marzo 2023, evidenziando talune criticità usuali in riorganizzazioni transfrontaliere a cui partecipino banche e altri operatori finanziari italiani. In particolare, gli aspetti propriamente regolamentari di tali operazioni appaiono generalmente poco indagati a causa, per un verso, della rarità di casi pratici per gli enti vigilati italiani e, per altro verso, del diffuso convincimento che la natura transfrontaliera delle operazioni in parola abbia un impatto limitato sugli interessi protetti dalla disciplina settoriale. Lo scritto si propone di fornire alcune considerazioni di impianto riguardanti il tema affrontato.
ABSTRACT: This essay briefly examines the relationship between corporate and regulatory framework in relation to extraordinary cross-border transactions in light of the recent Legislative Decree no. 19 of 2 March 2023, highlighting certain usual critical aspects connected to cross-border reorganization transactions in which Italian banks and other financial operators participate. In particular, the properly regulatory issues of such transactions seem generally under-investigated due, on the one hand, to the rarity of case studies for Italian supervised entities and, on the other hand, to the widespread belief that the cross-border nature of these transactions has a limited impact on the interests protected by the sectoral regulation. This article aims at offering some thoughts concerning the issue at hand.
1. Premessa
Gli aspetti propriamente regolamentari delle operazioni straordinarie transfrontaliere sono meno indagati in letteratura rispetto a quelli societari, essendo i primi tendenzialmente rimessi alle prescrizioni delle autorità di vigilanza e alle ingegnose soluzioni che si formano nella prassi.
Le ragioni di ciò si rintracciano, per un verso, nella sporadicità di operazioni societarie transnazionali poste in essere da società vigilate italiane [2] e, per altro verso, nel diffuso convincimento che la natura transfrontaliera dell’operazione abbia un impatto limitato sugli interessi protetti dalla disciplina settoriale.
Entrambe le affermazioni meritano riconsiderazione alla luce dell’evoluzione normativa nel diritto dell’economia, atteso che, da un lato, il perimetro delle società interessate alle implicazioni regolamentari di un’operazione straordinaria transnazionale si è esteso notevolmente rispetto al passato, ove si ritengano attratte in tale alveo anche le società strategiche soggette ai golden powers dello Stato; dall’altro, la vicenda organizzativa di cui trattasi, azionando la contemporanea applicazione di fonti normative di diversa nazionalità, incide anche sugli elementi oggetto di attenzione da parte delle competenti autorità di vigilanza e, conseguentemente, sulle tradizionali dinamiche autorizzative.
La nuova disciplina europea e italiana sulle trasformazioni, fusioni e scissioni transfrontaliere – recata dalla direttiva (UE) 2019/2121 e, in sua attuazione, dal d.lgs. n. 19 del 2 marzo 2023 [3] – costituisce un’occasione di riflessione su questi temi, che sono qui di seguito passati in rassegna alla luce della recente novella.
2. Cenni sulla disciplina bancaria e assicurativa
Le operazioni straordinarie cross-border sollevano problematiche di natura regolamentare qualora a parteciparvi siano banche, imprese di assicurazione o altri intermediari vigilati, atteso che tali fattispecie sono oggetto di specifica autorizzazione oltre che, sovente, di scrutini ancillari da parte delle competenti autorità di vigilanza in conseguenza degli effetti tipicamente riconducibili a tali operazioni, fra cui gli impatti sugli assetti proprietari, sui fondi propri, sull’operatività all’estero, e via discorrendo.
Del resto è noto che “in mercati che sono sempre più integrati e in cui le strutture di gruppo possono estendersi oltre i confini nazionali”, le concentrazioni fra operatori vigilati devono “essere oggetto di un esame approfondito da parte delle Autorità di diversi Stati membri” [4]. Nonostante l’importanza della questione, l’art. 4, comma 6, del recente d.lgs. 19/2023 sulle operazioni transfrontaliere si limita a precisare che, in subiecta materia, “[r]estano salvi la disciplina e i poteri previsti” da TUB [5], TUF [6], CAP [7]), legge antitrust [8] e normativa golden powers [9].
In altre parole, il coordinamento fra disciplina societaria e regolamentare è rimesso, nell’ambito delle operazioni di riorganizzazione transfrontaliera, all’attività ermeneutica dell’interprete, che sarà chiamato a dirimere questioni applicative derivanti dalla sovrapposizione dei quadri normativi di riferimento.
A ciò si aggiunga che, in vicende societarie già connotate da procedure lunghe e macchinose per via della concomitante applicazione di norme provenienti da ordinamenti nazionali diversi, l’innesto di istruttorie di natura regolamentare determina un allungamento dei tempi procedimentali e un incremento delle complessità operative.
Emblematico è il caso di una fusione transfrontaliera a cui partecipi un’impresa di assicurazione italiana. In siffatta ipotesi, all’ordinario termine autorizzativo di 120 giorni stabilito per l’approvazione, da parte dell’IVASS, del progetto di fusione ai sensi dell’art. 201 del CAP, si aggiunge la sospensione di tale periodo per ulteriori 90 giorni onde acquisire il parere positivo dell’omologa autorità di vigilanza estera interessata dall’operazione [10]. Solo dopo l’ottenimento dell’autorizzazione dell’IVASS (210 giorni complessivi) sarà possibile procedere all’iscrizione del progetto di fusione presso il competente registro delle imprese, da cui prende le mosse la parte più lunga dell’iter societario, rappresentata dal periodo di deposito della documentazione (presso la sede sociale e presso il registro delle imprese), fermo restando il periodo di opposizione riservato ai creditori sociali prima che possa procedersi alla stipula dell’atto di fusione. In sostanza, si è dinanzi a un processo societario che può durare anche un anno, persino nelle ipotesi di operazioni infragruppo.
Peraltro, come accennato, la medesima vicenda riorganizzativa può dar luogo a una pluralità di procedimenti regolamentari, atteso che possono svolgersi al contempo – in aggiunta al percorso autorizzativo concernente l’operazione principale (fusione, scissione, trasferimento della sede all’estero, ecc.) – anche scrutini riguardanti gli assetti proprietari ai vari livelli della catena partecipativa (qualora l’operazione determini il superamento di soglie rilevanti), l’utilizzo di fondi propri (qualora l’operazione dia luogo al recesso dei soci), una nuova operatività negli ordinamenti esteri a valle (in stabilimento o libera prestazione dei servizi), oltre che nulla osta antitrust, provvedimenti golden powers, a via dicendo [11].
Alla complessità e durata del procedimento contribuisce anche l’ingente mole di documentazione da produrre da parte delle società partecipanti, che – essendo volta ad attestare la sana e prudente gestione dell’ente anche post operazione – include rappresentazioni sia di natura economica, patrimoniale e finanziaria (anche prospettica), sia di natura organizzativa (come ad es. su risk management, IT, ecc.) da allegare alle consuete istanze autorizzative [12].
Per completezza di analisi si rammenta che l’art. 2, comma 2, del medesimo d.lgs. 19/2023 dispone l’estraneità al nuovo regime normativo recato dal d.lgs. 19/2023 delle operazioni a cui partecipi una SICAV [13], oppure una società sottoposta a strumenti, poteri e meccanismi di risoluzione [14] ovvero una società sottoposta a una delle misure di prevenzione della crisi [15].
3. (segue): alcune problematiche applicative
Alcuni problemi interpretativi sorgono nelle operazioni straordinarie a cui partecipino soggetti vigilati per via della contemporanea applicazione di varie fonti normative che possono entrare in conflitto tra loro.
Limitando la presente analisi, per economia di trattazione, all’esame di talune questioni operative concernenti la fusione di operatori vigilati (ma le considerazioni valgono, mutatis mutandis, anche per la scissione), un primo ostacolo che solitamente si presenta nelle fusioni a cui partecipino soggetti regolamentati è rappresentato dal divieto – sancito, ad es., dagli artt. 57, comma 2, del TUB e 201, comma 1, del CAP rispettivamente per banche e imprese di assicurazione – di procedere con l’iscrizione del progetto di fusione presso il competente registro delle imprese ai sensi dell’art. 2501-ter, comma 3, c.c. finché non sia stata ottenuta l’autorizzazione da parte dell’autorità di vigilanza. E ciò in quanto, come è evidenziato nella circolare n. 229 del 21 aprile 1999 di Banca d’Italia, tradizionalmente “[l]’intervento autorizzativo della Banca d’Italia si pone in una fase antecedente all’avvio del procedimento civilistico; in tal modo, si evitano eventuali turbative al mercato che potrebbero verificarsi nell’intervallo temporale tra l’annuncio al pubblico dell’operazione e la decisione sull’autorizzazione” [16].
Si tratta di un proposito che, con l’irrobustimento della disciplina market abuse [17], è divenuto meno attuale rispetto al passato, atteso che la normativa da ultimo menzionata impone agli emittenti la divulgazione senza indugio delle informazioni privilegiate (inclusa l’approvazione di un progetto di fusione concernente un’operazione price sensitive) a garanzia di una corretta e tempestiva simmetria informativa [18].
Tuttavia, il divieto in osservazione potrebbe causare problemi di obsolescenza della situazione patrimoniale da fusione ex art. 2501-quater c.c. qualora si ritenesse ancora oggi applicabile quanto indicato nella massima del consiglio notarile di Milano n. XI del 24 luglio 2001, nella parte in cui dispone che il deposito del progetto presso il registro delle imprese debba seguire “senza indugio” il deposito dello stesso documento presso la sede sociale [19].
In realtà, sia la prassi di mercato sia l’esigenza di evitare l’obsolescenza della situazione patrimoniale di fusione – in casi in cui non sussistano, in concreto, esigenze di riservatezza che impediscano il deposito del progetto presso la sede sociale prima del pronunciamento dell’autorità di vigilanza (perché, ad es., l’operazione sia già pubblica oppure poco rilevante sul piano dell’impatto sul mercato) – hanno portato gli operatori a ritenere ammissibile, nelle fusioni a cui partecipino società vigilate, una divaricazione temporale, finanche di alcuni mesi, fra la data di deposito del progetto di fusione presso la sede sociale (idoneo a bloccare i termini di invecchiamento della situazione patrimoniale di riferimento) e la data di successivo deposito del progetto medesimo presso il registro delle imprese (necessariamente posteriore rispetto all’ottenimento dell’autorizzazione da parte della competente autorità di vigilanza).
Gli adempimenti in commento devono poi coniugarsi, nelle operazioni cross-border, con le omologhe forme di pubblicità applicabili alle società estere partecipanti all’integrazione in base alla relativa normativa nazionale di riferimento.
Un’altra questione interpretativa che riguarda le fusioni transfrontaliere a cui partecipino le banche italiane attiene alla durata dei termini di opposizione dei creditori sociali, considerato che l’art. 57 comma 3 del TUB riduce il termine societario ordinario ex art. 2503 c.c. da 60 a 15 giorni (decorrenti dall’iscrizione presso il registro delle imprese della delibera assembleare che approva la fusione) onde favorire una rapida chiusura dei procedimenti in parola, considerata anche la lunga gestazione dei medesimi sopra evidenziata.
Tuttavia, l’art. 28 del nuovo d.lgs. 19/2023 deroga alla disciplina di diritto comune recata dall’art. 2503 c.c. prevedendo che, nelle fusioni transfrontaliere, i creditori possano opporsi all’operazione nei 90 giorni decorrenti dal deposito del progetto di fusione per l’iscrizione presso il competente registro delle imprese.
La novella in disamina, pur volendo abbreviare i normali termini di opposizione dei creditori – anticipando la relativa finestra temporale prima dell’iscrizione della delibera assembleare, peraltro in linea con l’impostazione di molti ordinamenti europei – pone un tema di coordinamento con il termine di 15 giorni (post iscrizione della delibera assembleare) prescritto dal TUB.
Ciò posto, vista la ratio sottesa al termine breve di cui all’art. 57 TUB, è plausibile che alle fusioni bancarie transfrontaliere debba ritersi applicabile quello che, in concreto, sarà il più breve fra i due termini riservati all’opposizione dei creditori (stabiliti, rispettivamente, dall’art. 28 del d.lgs. 19/2023 e dall’art. 57 comma 3 del TUB), onde consentire la chiusura dell’operazione il più a ridosso possibile dell’autorizzazione da parte dell’autorità di vigilanza.
Del resto, l’obiettivo di abbreviare i tempi di chiusura di un’integrazione societaria già autorizzata dall’autorità è sotteso a diverse soluzioni tecniche diffuse nella prassi, inclusa quella – adottata in numerosi casi di fusione fra banche – di completare la concentrazione societaria prima della chiusura della procedura di liquidazione delle azioni della società incorporanda oggetto di eventuale recesso in conseguenza delle modifiche statutarie connesse alla fusione (ex art. 2437-quater c.c.). In tal modo, l’offerta in opzione e prelazione ai soci delle azioni oggetto di recesso viene effettuata dalla banca risultante dalla fusione a valere su azioni già concambiate [20].
Tale prassi pare avvalorata dall’art. 25, comma 4, lett. d), del d.lgs. 19/2023 in materia di recesso conseguente a fusioni transfrontaliere, atteso che siffatta previsione disciplina espressamente il caso in cui il recedente rimanga tale anche a seguito dell’efficacia della fusione stessa prevedendo che “la liquidazione [delle azioni oggetto di recesso] avviene non oltre sessanta giorni dalla data in cui la fusione ha avuto effetto”; con ciò confermando la possibilità che la fusione si concluda prima della liquidazione delle azioni oggetto di recesso.
Tuttavia, poiché il recesso comporta l’utilizzo di fondi propri, onde contemperare le esigenze di patrimonializzazione della disciplina finanziaria con quelle di efficientamento sottese all’operazione straordinaria, un’altra soluzione operativa ricorrente nella prassi è quella di stabilire, nelle delibere societarie relative alla fusione, una soglia massima di recessi al cui superamento è subordinata l’operazione stessa. In tal modo è possibile stabilire ex ante un adeguato bilanciamento fra gli interessi in gioco e consentire all’azionariato di assumere scelte ponderate a fondamento dell’esercizio dei propri diritti sociali.
A dire il vero lascia qualche perplessità il riconoscimento tout court del diritto di recesso nelle ipotesi di fusione transfrontaliera (v. art. 25 del d.lgs. 19/2023), e ciò non solo in quanto nelle fusioni di s.p.a. l’art. 2437 c.c. opportunamente non menziona la fusione quale causa di recesso, trattandosi di riorganizzazione fisiologicamente neutrale (fermo restando che nel contesto di una fusione possono innestarsi altre cause di recesso derivanti da modifiche statutarie connesse all’integrazione), ma anche in ragione del fatto che, soprattutto nelle fusioni intra-UE, la normativa societaria e finanziaria ha raggiunto un livello di armonizzazione così elevato che il mutamento di legge nazionale di riferimento non sembra poter integrare, quanto a intensità, quell’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento azionario intrinsecamente sottesa all’insorgenza di una causa di recesso.
Ne deriva che, de iure condendo, occorrerebbe distinguere, ai fini dell’attribuzione del diritto di recesso, fra l’applicazione della lex societatis di altro Stato membro rispetto a quella di Stato extra-UE, considerando “estero” solo quest’ultimo ai fini dell’exit del socio non consenziente [21].
4. Cenni sulla disciplina golden powers
Nel contesto di operazioni straordinarie transfrontaliere la connessione degli operatori strategici col territorio nazionale trova naturale salvaguardia nella disciplina sui golden powers, che gode, oramai, di notevole estensione soggettiva e oggettiva, tanto da trovare applicazione, tra l’altro, anche a banche, imprese di assicurazione e altri intermediari finanziari.
Come in altra sede ho avuto modo di evidenziare, i golden powers mirano a tutelare interessi pubblici non perfettamente coincidenti con quelli protetti, in ambito settoriale, dalla regolamentazione bancaria, assicurativa e finanziaria giacché i diversi plessi disciplinari in parola possono convivere, come tipicamente avviene ogni volta che un’operazione di concentrazione sia, al contempo, oggetto di scrutinio da parte dell’autorità di vigilanza in ambito finanziario e dell’autorità antitrust [22].
Anche in materia di golden powers, tuttavia, teoria e prassi non collimano, atteso che una normativa a presidio degli interessi vitali dello Stato potenzialmente messi in pericolo da acquisizioni straniere è divenuta, sempre più nel tempo, strumento di orientamento politico, come dimostrato dall’ampio ricorso ai poteri governativi anche in ipotesi di operazioni intra-UE e, finanche, interamente italiane o infragruppo.
La circostanza non è priva di significato pratico, dato che espone le riorganizzazioni cross-border nella migliore delle ipotesi ad appesantimenti procedimentali nonché, talvolta, a prescrizioni eccessivamente penetranti.
Per un verso è emblematico l’assoggettamento a golden powers delle operazioni infragruppo, in cui il pericolo per gli interessi protetti dalla disciplina de qua appare in radice remoto. Ciò nonostante, l’applicazione dei poteri speciali anche ad operazioni transfrontaliere infragruppo trova giustificazione se la ragione della strategicità degli operatori finanziari in parola si rintraccia nell’opportunità, di natura per lo più politica, di preservare la contiguità territoriale fra enti finanziatori e imprese finanziate, come emerge con chiarezza nella relazione del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica del 5 novembre 2020 riguardante la “tutela degli asset strategici nazionali nei settori bancario e assicurativo”.
Per altro verso, l’approccio invasivo dei Governi nazionali nelle operazioni interne all’Unione europea trova ridimensionamento nella recente giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, che ristabilisce l’esigenza di assicurare una adeguata tutela delle libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali, precisando che il regolamento UE 2019/452 sul controllo degli investimenti diretti esteri nell’Unione si applica ad acquisizioni poste in essere da “imprese di un paese terzo”, dovendosi guardare a tal riguardo alla nazionalità dell’entità direttamente acquirente e non ai suoi ultimi beneficiari effettivi [23].
Fermo restando quanto precede, il Consiglio di Stato italiano rimane dell’avviso che la normativa italiana sui golden powers ponga limiti alle libertà europee basati su presupposti, modalità e criteri oggettivi, circostanziati e specifici, che “non si pongono in contrasto con il diritto europeo” [24], e che lo scrutinio demandato al Governo dalla disciplina di cui trattasi consenta di “operare un’ampia valutazione prospettica di scenario” che “rappresenta la risultante di una ponderazione altamente discrezionale (se non apertamente politica)” [25].
5. Conclusioni
Il quadro regolatorio dianzi illustrato mostra come le operazioni di riorganizzazione transfrontaliere a cui partecipino banche e altri operatori finanziari italiani siano caratterizzate da complessità regolamentari rappresentate da un’istruttoria golden powers che si aggiunge, affiancandosi, ai tradizionali processi autorizzativi previsti dalla normativa settoriale (e se del caso antitrust), nel più ampio contesto di un iter societario già di per sé complesso e macchinoso.
E tali problematiche non paiono superate dalla novella recata dal d.lgs. n. 19 del 2 marzo 2023, che pur avendo il merito di disciplinare ancor più puntualmente rispetto al passato il percorso volto alla realizzazione di operazioni di riorganizzazione transfrontaliera, demanda integralmente agli operatori la soluzione delle questioni applicative nascenti dalla sovrapposizione fra disciplina societaria e regolamentare, senza risolvere quelle preesistenti e presentandone di nuove.
Che l’effetto finale sia quello di rafforzare il legame territoriale fra soggetti vigilati e mercato di riferimento è prevedibile, in coerenza, peraltro, con altre recenti iniziative del legislatore domestico – come ad es. il disegno di legge n. 674 “a sostegno della competitività dei capitali” – volte a preservare l’italianità delle imprese italiane piuttosto che la mobilità di queste ultime verso l’estero [26].
[1] Testo della relazione al convegno “La nuova disciplina sulle operazioni straordinarie transfrontaliere: profili interdisciplinari” organizzato presso l’Università LUISS G.Carli in data 22 maggio 2023.
[2] In arg. S.Lucchini-A.Zoppini, Il futuro delle banche. Vigilanza e regolazione nell’Unione bancaria europea, Milano, 2022, 218 ss.; EBA, Potential Regulatory Obstacles to Cross-Border Mergers and Acquisitions in the EU Banking Sector, consultabile in www.eba.europa.eu, 2020, 5 ss.
[3] In arg. v. F.Magliulo, L’attuazione della direttiva (UE) 2019/2121 nell’ordinamento italiano, in Riv. not., 2023, 481 ss.; A. Busani, Fusione transfrontaliera e fusione internazionale, in Società, 2023, 407 ss.; N.De Luca, Prime riflessioni sul nuovo art. 2510-bis c.c. in materia trasferimento della sede societaria all’estero. Veramente l’Italia abbandona il criterio dell’incorporazione?, in corso di pubblicazione, consultato grazie alla cortesia dell’Autore.
[4] Così F.Capriglione, Concentrazioni bancarie e logica di mercato, in Banca e borsa, 2008, I, spec. 326 ss.; Id., Brevi note sul procedimento amministrativo concernenti le concentrazioni bancarie, in Banca e borsa, II, 472 ss.
[5] Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385.
[6] Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
[7] Decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 in materia di imprese assicurative.
[8] Legge 10 ottobre 1990, n. 287 in materia di tutela della concorrenza e del mercato.
[9] Decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474 (in materia dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni), e decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni e dalla legge 11 maggio 2012, n. 56 (in materia di golden powers).
[10] Si v. art. 29 del Regolamento ISVAP n. 14 del 18 febbraio 2008.
[11] Ex multis G.Oppo-F.Capriglione, Sub art. 57 Tub, nel Commentario al Tub diretto da F.Capriglione, Milano, 2018, I, spec. 697 ss..
[12] Cfr. F.Capriglione-M.Pellegrini, Le società bancarie, nel Trattato delle società diretto da V.Donativi, Torino, 2023, IV, 877 ss.
[13] Ex art. 1, comma 1, lettera i), del TUF.
[14] Ex art. 1, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180 o titolo V del regolamento (UE) 2021/23, come previsto dagli artt. 86-bis, 120 e 160-bis della direttiva 2012/2121.
[15] Ex art. 1, comma 1, lettera mm), del decreto legislativo n. 180 del 2015 o art. 2, punto 48), del regolamento (UE) 2021/23, come previsto dagli artt. 86-bis, 120 e 160-bis della direttiva 2012/2121.
[16] In sostanza, come è stato osservato da R.Santagata, Le fusioni, nel Trattato Colombo-Portale, Torino, 2004, vol. 7, 1, spec. 711, “per un’industria fiduciaria come quella bancaria, è auspicabile che, onde evitare ogni rischio di turbamento del mercato, l’eventualità del diniego dell’autorizzazione …si maturi prima che l’iniziativa sia divenuta di pubblico dominio a seguito della pubblicità legalmente prevista”. In arg. v. anche M.Maugeri, Fusioni e scissioni di società per azioni bancarie, in Banca e borsa, 1998, I, 18 ss.
[17] Si v. M.Sepe, La repressione degli abusi di mercato, in L’ordinamento finanziario italiano a cura di F. Capriglione, Padova, 2010, II, 1095 ss.; M.Arrigoni, Informazioni privilegiate e funzionamento dei mercati finanziari, Milano, 2022, 71 ss.
[18] In arg. v. V.Calandra Buonaura, L’impresa e i gruppi bancari, nel Trattato Cottino, Padova, 2001, vol. VI, spec. 239, nt. 17.
[19] La massima in questione, intitolata “Derogabilità dei termini per le deliberazioni di fusione e scissione. Computo dei termini per la situazione patrimoniale di fusione e per il bilancio d’esercizio” prevede che: “il termine di sei mesi, previsto dall’art. 2501-ter c.c. [ora 2501-quater] quale limite massimo per l’utilizzo del bilancio di esercizio in luogo della situazione patrimoniale infrannuale, così come il termine di quattro mesi previsto per quest’ultima, sono rispettati se, entro la loro scadenza, ha luogo il deposito del progetto nella sede delle società, così come dispone la legge; gli amministratori, qualora tale deposito preceda quello presso il registro delle imprese disposto dall’art. 2501-bis c.c., devono procedere a tale adempimento senza indugio”.
[20] Si v. ad es. la fusione di Capitalia S.p.A. in Unicredit S.p.A. del 2007.
[21] A ben vedere, che la normativa creditizia sia refrattaria al recesso dei soci e all’opposizione dei creditori, quando si tratti di concentrazioni bancarie, è tradizione di lungo corso, considerato che l’abrogato art. 51 della legge bancaria sterilizzava sia il recesso che l’opposizione nel segno di un favor per le aggregazioni in parola. Cfr. A.Antonucci, Sub art. 51 l.b., nel Codice commentato della banca a cura di F.Capriglione e V.Mezzacapo, Milano, 1990, I, 627 ss.
[22] Sia consentito il rinvio a A.Sacco Ginevri, Golden powers e banche nella prospettiva del diritto dell’economia, in Rivista della regolazione dei mercati, 2021, I, 55 ss.
[23] Cfr. sentenza della Corte di Giustizia UE del 13 luglio 2023 nella causa C-106/22 (Xella contro Innovacios).
[24] Così sentenza del Consiglio di Stato del 5 luglio 2023 n. 6575 (Vivendi-Telecom Italia).
[25] Cfr. sentenza del Consiglio di Stato del 9 gennaio 2023 n. 289 (Psp Verisem).
[26] Gli atti sono consultabili in https://www.senato.it/leg/19/BGT/Schede/Ddliter/testi/56988_testi.htm