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Note

Appunti sull’applicazione della business judgement rule in materia di crediti deteriorati

2 Aprile 2019

Marco Sagliocca e Giuseppe Alessandro

Tribunale di Bologna, 17 dicembre 2018, n. 3218 – Pres. Florini, Rel. Romagnoli

Di cosa si parla in questo articolo

SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. La fattispecie oggetto della pronuncia – 3. Brevi cenni in tema di business judgement rule – 4. Applicazione della business judgement rule nell’ordinamento italiano – 5. Applicazione della business judgement rule nel procedimento di rettifica del valore dei crediti deteriorati

 

1. Introduzione

Con sentenza n. 3218, depositata in data il 17 dicembre 2018, il Tribunale di Bologna ha stabilito come le rettifiche sui crediti deteriorati vengano determinate sulla base di criteri che non attengono alla rappresentazione veritiera e corretta della situazione economico-patrimoniale dell’impresa bancaria quanto, piuttosto, alla “discrezionalità gestoria” la quale esula dal controllo di legalità demandato al giudice adito secondo il noto principio della business judgement rule.

In particolare, il Tribunale bolognese rigettava la domanda di alcuni soci di una banca quotata, volta ad ottenere il risarcimento del danno asseritamente derivante da due deliberazioni assembleari censurate sotto il profilo della: (i) non convenienza economica di un’operazione di aumento di capitale, e (ii) non congruità delle rettifiche apportate in sede di approvazione del bilancio.

La pronuncia in commento si inserisce nel più ampio dibattito, di matrice squisitamente giurisprudenziale, circa i limiti ed i criteri rispetto ai quali è possibile sottoporre a scrutinio le valutazioni di merito assunte dagli amministratori di società per azioni in sede giudiziale nel (non mascherato) tentativo di enucleare un principio volto a trovare il punto di equilibrio tra due contrapposte esigenze: quella di non disincentivare l’assunzione dell’incarico da parte delle persone più qualificate (selezione avversa) né indurre atteggiamenti eccessivamente avversi al rischio, riuscendo – al contempo – a fornire adeguata tutela ai soggetti che siano “ingiustamente” danneggiati dalle decisioni assunte dall’organo amministrativo [1].

L’utilità della pronuncia in esame si risolve:

  1. da un lato, nel tentativo di limitare l’intensità del sindacato all’organo giudicante in riferimento alle scelte di impresa di coloro che sono preposti alla guida della società. In sede di verifica dell’adempimento da parte dell’amministratore al dovere di agire con la dovuta diligenza (art. 2392, primo comma, c.c.), non possono, infatti, essere sottoposte a sindacato di merito le scelte discrezionali compiute dagli amministratori, sempre che si tratti di scelte relative alla gestione dell’impresa sociale e, pertanto, caratterizzate dall’assunzione di un rischio di natura imprenditoriale; e
  2. dall’altro lato, nel ricomprendere, nell’ambito della diligenza esigibile, l’assunzione di scelte ponderate (alla luce di un’adeguata attività di verifica/indagine) e modulate sulla base delle informazioni normalmente richieste per una scelta di quella natura, oltre che in ragione delle condizioni di tempo e di luogo e alla luce di ogni altra circostanza concreta.

2. La fattispecie oggetto della pronuncia

La sentenza in oggetto trae origine da un giudizio instaurato nei confronti dell’organo di gestione di una banca da parte di alcuni azionisti della stessa, allo scopo di ottenere una pronuncia di risarcimento danni derivanti dall’adozione di due distinte delibere: (a) la prima, in sede ordinaria, avente ad oggetto l’approvazione del bilancio di esercizio; e (b) la seconda, in sede straordinaria, relativa alla delega al consiglio di amministrazione ex art. 2443 c.c. per l’aumento del capitale sociale con esclusione del diritto di opzione ai sensi dell’art. 2441, comma 5, c.c., delega successivamente esercitata dall’organo gestorio con integrale sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte dello Schema volontario del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, che diveniva socio quasi totalitario della banca (il “Fondo”).

In particolare, i soci lamentavano di:

  1. non poter impugnare le suddette delibere considerata: (x) la mancanza di legittimazione derivante dallo sbarramento del 5% di partecipazione al capitale posto dall’art. 2434-bis, comma 2, c.c. in tema di impugnazione della delibera di approvazione di bilancio di società per azioni; nonché (y) il verificarsi delle circostanze di cui all’art. 2379-ter, comma 2, c.c., ai sensi del quale l’invalidità delle deliberazioni di aumento di aumento di capitale nelle società quotate in borsa non può più essere fatta valere dopo che l’aumento è stato anche parzialmente eseguito; e
  2. aver subito, per effetto di dette deliberazioni, un grave danno consistente nella perdita di valore delle proprie azioni e nella diluizione della partecipazione in conseguenza dell’aumento di capitale riservato.

In punto di fatto:

  1. a seguito (ed in ragione) dell’attività ispettiva della Banca d’Italia, la banca aveva verificato il portafoglio crediti verso la clientela e concluso per l’adeguamento in incremento del fondo rettifiche su crediti deteriorati;
  2. l’ente creditizio aveva quindi predisposto una situazione economico-patrimoniale in ulteriore incremento del fondo la quale veniva, tuttavia, disattesa dal consiglio di amministrazione che predisponeva una bozza di bilancio con rettifiche ancora superiori;
  3. la banca aveva inoltre avviato una negoziazione con il Fondo che si era dichiarato disponibile a sottoscrivere un aumento di capitale di 280 milioni di euro a determinate condizioni;
  4. il Consiglio di Amministrazione approvava, quindi, un progetto di bilancio recependo di fatto le rettifiche al valore dei crediti, in adesione alle indicazione del Fondo;
  5. le rettifiche così approvate determinavano un risultato di esercizio più negativo rispetto a quello che si sarebbe accertato con l’adozione delle rettifiche di cui alla precedente situazione patrimoniale.

In punto di diritto, gli azionisti sostenevano che entrambe le delibere erano da ritenersi adottate contra legem e, segnatamente:

  1. la deliberazione di approvazione del bilancio, in quanto prevedeva rettifiche del valore dei crediti eccessive ed ingiustificate, svalutando integralmente l’avviamento della Banca. Le relative voci di bilancio non erano da ritenersi, pertanto, rappresentate in modo veritiero e corretto; parimenti,
  2. la delibera di aumento di capitale, in quanto, per effetto delle predette voci di bilancio, il prezzo di emissione delle nuove azioni era stato determinato in modo errato, in violazione dell’art. 2441, comma 6, c.c..

Nel merito (e limitatamente a quanto di interesse), la banca contestava la ricorrenza dei presupposti per l’impugnativa e, segnatamente, la contrarietà a legge delle deliberazioni in oggetto (censurate sotto il profilo della non convenienza economica dell’operazione e dellanon congruità delle rettifiche apportate al bilancio) atteso che la convenienza e/o l’opportunità di una delibera per l’interesse della società non sono profili sindacabili da parte del giudice, secondo il noto principio della business judgement rule in base al qualeil controllo è circoscritto alla verifica di conformità a legge e statuto.

Il Tribunale di Bologna ha rigettato le domande dei soci ritenendole infondate, in quanto le delibere in esame non presentavano una incidenza diretta rispetto al danno che gli attori avrebbero subito dalla perdita di valore delle azioni e dalla diluizione della partecipazione in conseguenza dell’aumento di capitale sociale, essendo entrambe premesse necessarie ma non sufficienti al verificarsi del danno e, piuttosto, essendo direttamente causativa di pregiudizio la delibera consiliare di aumento del capitale sociale riservato al Fondo.

Come detto, gli attori lamentavano l’incremento delle rettifiche al valore dei crediti, ritenute eccessive e non necessarie all’adeguamento prudenziale dei crediti deteriorati e piuttosto, rispondenti ai desiderata del Fondo. Il Tribunale sottolineava, tuttavia, la necessità e urgenza di un robusto intervento di ristrutturazione e di ricapitalizzazione a fronte dei rilevi sollevati dall’Autorità di Vigilanza in fase di SREP (i.e.,“supervisory review and evaluation process”). Il punto cardine su cui ruotava l’azione attorea – e cioè la contrarietà alla legge delle delibere assunte dall’assemblea dedotta unicamente in chiave di errata valutazione delle rettifiche sui crediti (e di errata svalutazione della partecipata banca) perché eccessive, non congrue e non necessarie – è stato ritenuto riduttivo e oltremodo errato: (i) riduttivo perché non teneva conto del contesto politico ed economico sommariamente delineato, ed (ii) errato in quanto le rettifiche sui crediti deteriorati, quali che siano, sono determinate sulla base dei criteri che non attengono alla rappresentazione veritiera e corretta della situazione economico-patrimoniale dell’impresa bancaria, ma all’opportunità e discrezionalità gestoria, che è preclusa al sindacato di legalità demandato al giudice adito ex art. 2377 c.c..

3. Brevi cenni in tema di business judgement rule

Il principio della business judgement rule – principio cardine del diritto societario statunitense, diffusosi successivamente nei vari ordinamenti [2]– trova il suo fondamento nella possibilità di esaminare l’operato e le decisioni dell’organo che amministra una società (board of directors) e nella presunzione che l’agire dei membri del board sia corretto e non criticabile fino alla prova di una violazione del “duty of care”.

In un’ottica di bilanciamento di interessi, la business judgement rule aiuta a contemperare l’interesse dei soci ad una corretta amministrazione, con l’esigenza che gli amministratori possano gestire la società con una certa discrezionalità imprenditoriale, fintanto che la loro responsabilità non violi i c.d. fiduciary duties previsti dalla legge [3]. La diligenza richiesta (come tale sindacabile) attiene al modoattraverso cui questi compiti devono essere svolti e costituisce uno dei canoni di riferimento per tracciare la griglia di valutazione di eventuali profili di responsabilità dell’organo gestorio, da parte del giudice [4].

La concreta applicazione di tale principio:

  • agevola l’assunzione della carica in termini di “fitness & properness”, ossia di adeguatezza, professionalità e competenza[5];
  • incoraggia gli amministratori a sostenere e mettere in atto scelte imprenditoriali di largo respiro, che possono generare profitti per la società assumendo quindi allo stesso tempo anche maggiori rischi [6];
  • orienta l’operato del giudice nel senso di evitare un’ingerenza nelle complesse decisioni gestionali societarie, riservando alla competenza esclusiva degli amministratori la gestione degli affari della società con tutte le informazioni necessarie per compiere scelte imprenditoriali con dovuta diligenza [7]. Al giudice spetta, quindi, il compito di decidere della responsabilità dei membri dell’organo amministrativo nel solo caso in cui vi sia stata una violazione di norme di diligenza che avrebbero dovuto seguire durante il loro operato al preciso scopo di evitare effetti negativi sull’interesse sociale [8]; il relativo sindacato può investire solamente il quomodo, il procedimento decisionale e, quindi, l’assunzione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive [9].

Qualora tale verifica abbia esito negativo andrà accertata la responsabilità ma, in nessun caso, è consentito procedere a riesaminare nel merito le decisioni dell’organo amministrativo, identificabile in quell’insieme di valutazioni d’opportunità e di carattere tecnico (commerciale-finanziario). Per decisioni di questo tipo i membri dell’organo di gestione hanno una competenza di tipo specialistico che non appartiene (in linea di principio) all’organo giudicante.

4. Applicazione della business judgement rule nell’ordinamento italiano

In Italia, il principio dell’insindacabilità nel merito delle scelte di gestione trova riconoscimento in modo esplicito sin dal 1965 con una sentenza della Suprema Corte di Cassazione in cui è stato affermato che (a) il giudice investito dell’esame di un’azione sociale di responsabilità non può sindacare il merito degli atti o dei fatti compiuti dagli amministratori e dai sindaci nell’esercizio del loro ufficio; (b) al Giudice non è, viceversa, “consentito” giudicare sulla base di criteri discrezionali di opportunità o di convenienza, poiché in tal modo sostituirebbe ex post il proprio apprezzamento soggettivo a quello espresso o attuato dall’organo tecnico all’uopo legittimato; e (c) l’organo giudicante è, invece, chiamato ad accertare e valutare se gli amministratori abbiano violato l’obbligo di adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza del mandatario [10].

L’orientamento giurisprudenziale sopra riportato si è nel tempo consolidato ed è stato ribadito non solo dalla giurisprudenza di legittimità ma anche da quella di merito che si è fatta portavoce di numerose pronunce in cui la business judgement rule ha avuto un reale impatto pratico [11].

Più in particolare, la ricostruzione fatta dalla giurisprudenza italiana sembra essere ancorata a due ordini di limitazioni ben precise che riguardano il profilo di legittimità e quello della ragionevolezza.

Riguardo al primo, in linea con l’esperienza statunitense, rileva il modus con cui le scelte sono state assunte e attuate, ossia il percorso decisionale che ha portato a preferire una determinata scelta piuttosto che un’altra [12]. In sostanza, il giudice dovrà ripercorrere il procedimento decisionale, verificando che la decisione presa dagli amministratori sia stata coerente e congrua rispetto alle informazioni da questi raccolte e valutando l’eventuale violazione del dovere di diligenza in relazione ai normali criteri che dovrebbero ispirare l’operatore economico (i.e., liceità, razionalità, congruità e attenzione). Poiché ai fini dell’accertamento della responsabilità il giudizio circa le conoscenza delle conseguenze che deriveranno dall’adozione di una scelta non può che essere ex ante, tale dovere si traduce essenzialmente in un dovere di informarsi [13]. Questo perché non può essere pretesa garanzia da parte degli amministratori di un risultato positivo certo, dipendente evidentemente da una molteplicità di fattori non tutti “dominabili” dagli amministratori stessi.

In secondo luogo, sotto il profilo della ragionevolezza della scelta e della prevedibilità dei risultati, gli amministratori sono da ritenersi responsabili nei confronti della società quando le decisioni assunte si rilevano non idonee a realizzare l’interesse della società, in quanto avventate o irrazionali. Il merito della scelta gestoria non è infatti sindacabile se non nella misura in cui si riscontri l’omissione di quelle cautele normalmente richieste, secondo un criterio di prevedibilità, per una scelta di quel determinato tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità (i.e., l’ordinaria diligenza professionale a cui ogni buon amministratore è obbligato) [14].

La business judgement rule recepita nell’ordinamento italiano costituisce, dunque, un principio di contemperamento, o piuttosto di equilibrio, tra l’enforcement dei doveri degli amministratori e il rischio di disincentivazione all’assunzione dei rischi.

Si potrebbe allora giungere a sostenere un’applicabilità molto più ampia del principio che non sarebbe solamente diretto a circoscrivere la sindacabilità del giudice ma, eventualmente, anche guidare le scelte dei policy makers e la discrezionalità amministrativa delle Autorità di Vigilanza [15].

5. Applicazione della business judgement rule nel procedimento di rettifica del valore dei crediti deteriorati

Nel corso degli anni, le modalità con cui le banche hanno proceduto ad effettuare gli accantonamenti e le rettifiche di valore sono state oggetto di particolare attenzione da parte degli operatori e di attenta disamina da parte delle autorità di vigilanza, fiscali e contabili. Ciò in ragione, tra l’altro, della funzione essenziale che tali accantonamenti rivestono ai fini della trasparenza dei bilanci bancari, nonché del loro impatto sulla variabilità e ciclicità dei profitti del settore. Basti considerare che la creazione di un accantonamento (o rettifica di valore), a fronte di crediti deteriorati (divenuti in vario modo inesigibili), incide in maniera evidentemente negativa sugli utili correnti della banca determinando, altresì, una diminuzione del suo attivo netto, per lo più sotto forma di una svalutazione dei crediti di natura prudenziale: le banche sono incoraggiate ad apportare rettifiche contabili fin dove opportuno, e a dedurre contestualmente il patrimonio di vigilanza [16].

Per offrire qualche spunto in termini di “interesse tutelato”, le Autorità di Vigilanza tendono a privilegiare, per l’appunto, il ruolo che possono rivestire gli accantonamenti e le rettifiche nell’assicurare che le banche dispongano di un’adeguata protezione contro un potenziale scadimento della qualità degli impieghi. Sotto il profilo contabile, si sottolinea l’importanza di tali misure come mezzo per ottenere una valutazione corretta e veritiera dei crediti: l’accantonamento e le rettifiche dovrebbero condurre a una rappresentazione del reddito e dell’attivo della banca più accurata rispetto a quella che si avrebbe qualora tutti i crediti fossero misurati in base al loro ammontare in essere [17].

A fronte di un contesto siffatto, caratterizzato evidentemente da un elevato tecnicismo, il Tribunale di Bologna ha affrontato per la prima volta in giurisprudenza la materia dei crediti deteriorati di una banca in relazione al principio della business judgement rule e dell’insindacabilità delle scelte di gestione degli amministratori di una società di capitali.

Il Giudice bolognese – pur ritenendo indubitabile che le rettifiche sui crediti deteriorati avessero in effetti condizionato il risultato dell’esercizio e i valori di emissione delle nuove azioni – ha rigettato le domande proposte dagli azionisti ritenendole infondate e ciò in quanto le delibere contestate non potevano ritenersi contrarie alla legge. Il contesto economico in cui versava la banca e le evidenti esigenze di rafforzamento e ricapitalizzazione immediata giustificavano una quantificazione delle rettifiche disposte (in ulteriore incremento) dal consiglio di amministrazione nel legittimo esercizio della discrezionalità che a tale organo compete. I criteri e le modalità tecniche prescelti attengono, infatti, a quella “opportunità gestoria” di per sé preclusa al sindacato di legalità demandato al giudice adito ex art. 2377 c.c., e non anche alla rappresentazione veritiera e corretta della situazione economico-patrimoniale dell’impresa bancaria.

Provando a tirare le fila, l’insindacabilità delle scelte di merito operate dall’organo di gestione riflette la più ampia concezione che tale organo debba eseguire atti e operazioni in piena discrezionalità, seppur con la dovuta diligenza. In nessun caso potranno essere esaminate nel merito le decisioni dell’organo di gestione, intendendosi per tale quell’insieme di valutazioni d’opportunità e di carattere tecnico rispetto alle quali i membri del consigliohanno una competenza di tipo specialistico. In questa prospettiva, la business judgement rule assume, pertanto, un ruolo di presidio e di garanzia in quanto mira a proteggere l’essenza stessa del ruolo del Consiglio di Amministrazione [18].

D’altra parte, questa fondamentale autonomia del ruolo dell’organo di gestione è, generalmente, riconosciuta dalle stesse norme di diritto comune che affidano in via esclusiva la gestione dell’impresa sociale al Consiglio e prevedono che agli amministratori spetti di compiere tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale (art. 2380-bis c.c.).

Uno spiraglio di valorizzazione atto a garantire questa essenziale indipendenza (che, se vogliamo, riflette una – se pur indiretta – applicazione del principio della bussiness judgement rule) è rintracciabile, altresì, nel Codice di Autodisciplina delle società quotate approvato dal Comitato per la Corporate Governance di Borsa Italiana laddove si prevede che gli amministratori perseguono gli obiettivi di impresa attraverso un agire “con cognizione di causa e in autonomia” [19], includendo nelle proprie valutazioni di natura tecnica tutti i rischi che possono assumere rilievo nell’ottica della sostenibilità nel medio-lungo periodo dell’attività.

L’autonomia di giudizio – che si manifesta in modo evidente al momento della decisione da prendere in relazione agli argomenti posti all’ordine del giorno – diventa perciò inevitabilmente collegata al principio normativo dell’agire informati e viene garantito dal complementare principio giurisprudenziale della business judgement rule.

Ciascun amministratore è tenuto ad assumere le proprie scelte con libero apprezzamento, nell’interesse dell’emittente e della generalità degli azionisti. Pertanto, anche quando le scelte gestionali siano state preventivamente vagliate, indirizzate o comunque influenzate, nei limiti e nel rispetto delle norme di legge applicabili, da chi esercita attività di direzione e coordinamento o dai soggetti che partecipano a un patto di sindacato, ciascun amministratore è tenuto a deliberare in autonomia, assumendo determinazioni che, ragionevolmente, possono portare – quale obiettivo prioritario – alla creazione di valore per la generalità degli azionisti in un orizzonte di medio-lungo periodo.

Occorre, in ogni caso, tener ben presente che la corretta applicazione del principio della business judgement rule non potrà prescindere dalla valorizzazione, in prima battuta, del principio di responsabilità e diligenza richiesta a ciascun soggetto in funzione del proprio ruolo e della carica rivestita. Al giudice è, dunque, demandato il compito di accertare le modalità di esercizio del potere discrezionale riconosciuto in capo agli amministratori, e cioè il rispetto degli obblighi generali e specifici dell’ordinamento [20].

 

[1] Cfr. “Business judgement rule e mercati finanziari. Efficienza economica e tutela degli investitori” di Alvaro, Cappariello, Gentile, Iannaccone, Mollo, Nocella, Ventoruzzo, in Quaderni giuridici Consob, 11/2016, p. 7.

[2] Cfr. Aronson v. Lewis, 473 A.2d 805 (1984):”it is a presumption that in making business decision the directors of a corporation acted on an informed basis, in good faith and in the honest belief that the action taken was in the best interest of the company. Absent an abuse of discretion, that judgment will be respected by the courts”. Cfr. inoltre: Smith v. Van Gorkom, 488 A.2d 858; In Re Lear Corp. Shareholder Litigation, C.A. No. 2728-VCS.

[3] La Consob affronta questo contrasto di esigenze esponendo che esso costituisce un “delicato problema di politica del diritto”. Cfr. “Business judgment rule e mercati finanziari Efficienza economica e tutela degli investitori”, AA.VV., in Quaderni giuridici Consob, 11/2016, 7.

[4]Cfr. Montalenti, Amministrazione e controllo nella società per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma, in Rivista delle società, 2013, 52 ss. Secondo l’autore i tratti più innovativi della riforma del 2003 sono l’informazione e la trasparenza, intesi come canone dell’agire del buon amministratore e di tracciabilità dei comportamenti, anche ai fini della ricostruzione dei profili di responsabilità. Cfr., ex multis, Bonelli, “Gli amministratori di S.p.A. a dieci anni dalla riforma del 2003”, Torino, 2013, 6 ss.; Daccò, “Il sindacato del giudice nei confronti degli atti gestori degli amministratori, in Analisi giuridica dell’economia”, 2003, 183 ss.; Tina, “Insindacabilità nel merito delle scelte gestionali degli amministratori e rinuncia all’azione sociale di responsabilità”, in Giur. Comm., 2001, II.

[5] Cfr. Pedersoli, “Il collegio sindacale nelle società per azioni bancarie”, Milano, 2018, 231 ss.; Amatucci, “Adeguatezza degli assetti, responsabilità degli amministratori e Business judgement Rule”, Giur. Comm., 2016, VI, 643 ss..

[6] Cfr. Wilson v. Tully, 243 A.D.2d 229, “risk is at the heart of…any business”.

[7] Fed. Deposit Ins. Corp. V. Stahl, 89 F.3d 1510 “directors are, in most cases, more qualified to make business decisions than are judges”.

[8] Cfr. Cordopatri, “La business judgement rule in Italia e il privilegio amministrativo: recenti correttivi negli USA e in Europa”, in Giur. Comm., 2010, I, 129 ss. secondo cui il giudice non può sostituirsi agli amministratori “con una sorta, per dir così, di giudizio ex post, e non possa, quindi, entrare nel merito delle scelte amministrative”; Sacco Ginevri, “Il conflitto di interessi nella gestione delle banche”, Bari, 2016, 16 ss.

[9] In dottrina si parla di “procedimentalizzazione” dell’operato degli amministratori, nel senso che al giudice resta il compito di accertare che le regole procedimentali da seguire in sede di adozione di scelte imprenditoriali siano state rispettate senza sconfinamenti nel merito delle decisioni concrete. Cfr. Corpopatri, op.cit, e Amatucci, op. cit.

[10] Cass. 12 novembre 1965, n. 2359.

[11] Per citarne alcune: Cass., 28 aprile 1997, n. 3652; Cass., 28 aprile 1997, n. 3652; per la giurisprudenza di merito: Trib. Milano, 17 giugno 2011; Trib. Milano 24 agosto 2011, Trib.Napoli, 17 maggio 1999; Trib. Vicenza, 31 dicembre 1961; App. Bari, 15 novembre 1961, Trib. Reggio Emilia, 12 giugno 1996; Trib. Biella, 11 marzo 1997;

[12] Cfr. Cass. 12 agosto 2009, n. 18231 secondo cui: “se è vero (…) che non sono sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali discrezionali, anche se presentino profili di alea economica superiori alla norma, resta invece valutabile la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente – se necessario, con adeguata istruttoria – i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite, altrimenti prevedibili”.

[13] Anche nella disciplina italiana è da ritenersi escluso il potere del giudice di valutare in un secondo momento, ad operazione conclusa, la ragionevolezza e la convenienza della decisione presa dagli amministratori. Cfr. Angelici; op.cit.; Montalenti; op. cit.

[14] Da ultimo si può citare Cass. 22 giugno 2017, n. 15470 che afferma:” In tema di responsabilità degli amministratori, la regola dell’insindacabilità nel merito delle scelte gestionali da essi operate (cosiddetta “business judgement rule”) trova un limite nel corollario della necessaria ragionevolezza delle stesse nonché nella valutazione della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione contestata”.

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