[*] SOMMARIO: L’articolo affronta il tema dell’esigibilità degli interessi su somme mutuate, sul quale sta crescendo l’interesse della dottrina e della giurisprudenza soprattutto in relazione ai mutui rateali con piano di ammortamento alla francese. Un argomento spesso utilizzato per dimostrare che è ammissibile il patto di anticipata corresponsione degli interessi, rispetto all’obbligazione di restituzione del capitale, è quello, tratto per analogia, dalla locazione: nessuno dubita che il canone di locazione possa essere anticipato rispetto al godimento. L’argomento si rivela tuttavia solo impressionistico, perché l’anticipazione del canone rispetto al godimento della cosa ha una evidente funzione di garanzia che l’anticipata corresponsione di interessi sul mutuo non può avere. Sulla base di questo rilievo, si dimostra come anche nella locazione l’imputazione di somme anticipate a canone di locazione non può prescindere dalla maturazione dell’obbligazione del conduttore. E si trae la conclusione che anche nel mutuo la pretesa per interessi può solo conseguire a loro maturazione, con le dovute ripercussioni sulle formule di ammortamento che determinano sospetto (o certezza) di non rispettare questa regola.
ABSTRACT: The article addresses the issue on the right time for the collection of interest on borrowed sums, on which both academia and courts are increasingly paying attention, especially with regards to loans adopting a French repayment plan. An argument often used to demonstrate that the agreement for the advance payment of interest is admissible, compared to the obligation to repay the capital, is that, taken by analogy, from the lease: no one doubts that the rent can be paid in advance. However, the argument turns out to be only smoke in the eyes, as the advance payment of the rent evidently fulfils a guarantee function that the advance payment of interest on a loan cannot have. On the basis of this finding, it is demonstrated that even in a lease the advance payment of sums becomes payment of the only when the tenant has effectively enjoyed use of the leased thing. The conclusion is that also in the case of loans the claim for interest can only be achieved when it accrues, entailing the consequence that the business formulas which determine suspicion (or certainty) of not respecting this rule are not valid.
1. Il tempo dell’adempimento nel mutuo.
I tratti tipologici del mutuo sono ben noti: è un contratto che si perfeziona con la consegna del danaro e che obbliga il mutuatario alla restituzione del capitale e, di norma, agli interessi. Proprio per questa elementare fattispecie, è previsto dall’ordinamento che la stessa possa presentarsi in assenza di qualunque altra pattuizione contrattuale. La disciplina del mutuo è, quindi, volta a supplire al difetto di pattuizioni espresse. Anzitutto con riguardo al termine per la restituzione del capitale, che – se non è convenuto in unica soluzione (art. 1816 c.c.) o a rate (art. 1819 c.c.) – deve essere fissato dal giudice (art. 1817 c.c.). In secondo luogo, con riguardo agli interessi. La naturale onerosità del mutuo, infatti, può essere esclusa solo con un patto espresso. Se questo manca, ma non è definita la misura degli interessi, la stessa è determinata dalla legge, facendola coincidere con l’interesse legale (art. 1815 c.c.; art. 1284 c.c.). Non è chiaro però come l’ordinamento supplisca all’assenza di una previsione sul tempo in cui gli interessi possono essere pretesi dal mutuante.
Come accennato, il codice fornisce indicazioni con riguardo al tempo per la restituzione del capitale, stabilendo che in difetto di convenzione, il diritto alla restituzione, che pur sorge per effetto della consegna del danaro, non è immediatamente esigibile, ma occorre una determinazione giudiziale (art. 1817 c.c.). Parte della dottrina (Inzitari, de Luca, Dolmetta e con alcune precisazioni Farina) sostiene che, in difetto di pattuizione espressa, la stessa regola debba valere anche per gli interessi, i quali saranno esigibili insieme al capitale, dunque, in concomitanza con le rate o quando è dovuto il capitale; se manca il termine per la restituzione del capitale, anche quello per la corresponsione degli interessi dovrà essere fissato dal giudice. Altri la pensano diversamente. Per una prima tesi, indipendentemente dalla pretesa per la restituzione del capitale, il diritto ad esigere gli interessi sarebbe periodico, annuale (Simonetto, Ascarelli, Libertini, Carlomagno). Altri sostengono che il diritto ad esigere gli interessi sia immediata (quod sine die debetur, statim debetur): ma, poiché i frutti civili delle cose, tra cui si annoverano gli interessi sui capitali (art. 820, comma 3, c.c.), maturano di giorno in giorno (art. 821, comma 3, c.c.), parimenti giornaliera sarebbe anche l’esigibilità degli interessi maturati (Mosco, Marinetti, R. Natoli).
Va confermata preferenza per la prima soluzione, per ragioni che proverò a illustrare.
2. Mutuo e locazione: un utile confronto.
In quanto molto simili sono gli elementi tipologici che li connotano, il mutuo e la locazione sono due contratti utilmente confrontabili (così anche R. Natoli e Carlomagno). Ed infatti, attraverso la concessione in godimento di una cosa o di un capitale ad un terzo, entrambi realizzano il presupposto perché il proprietario possa reclamarne i frutti civili: quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono, tra altri, proprio gli interessi dei capitali e il corrispettivo delle locazioni (art. 820, comma 3, c.c.). L’analogia di fattispecie si riflette sulle obbligazioni che sorgono a carico del conduttore, assai simili a quelle del mutuatario: ed infatti, anche il conduttore, a fronte del godimento della cosa nel tempo, deve pagare il canone di locazione e, al termine, restituirla.
Per il caso di lacuna del contratto, alcune regole della locazione divergono da quelle del mutuo. Ma si tratta di differenze giustificate o dalla diversa natura della cosa data in godimento, oppure dalla non solo normale, ma necessaria onerosità della locazione: ragione per cui quest’ultima non tollera, a differenza del mutuo, l’integrazione ex lege sul quantum. Una pattuizione sul corrispettivo del godimento è, dunque, sempre necessaria. A differenza del mutuo, inoltre, in cui il difetto di pattuizione sul termine di restituzione del capitale richiede la determinazione giudiziale (e v. U. Natoli), per la locazione è la legge a integrare il contratto (art. 1574 c.c.; artt. 1 e 27, comma 4, l. 27 luglio 1978, n. 392) (per tutti, v. Inzitari). Altra regola è invece analoga nella sua lacunosità a quelle del mutuo, ed è proprio quella di nostro rilievo, relativa all’esigibilità del canone di locazione. Al riguardo, l’art. 1587 c.c. si limita a stabilire che il conduttore deve «dare il corrispettivo nei termini convenuti», senza alcuna indicazione di cosa possa essere convenuto e di cosa accada in difetto di convenzione. Esattamente come nel mutuo.
Anche se le espressioni usate dai codici – canone di affitto (art. 1639 c.c.; art. 658 c.p.c.), fitti e pigioni (art. 1282, comma 2, c.c.) – facciano implicito riferimento ad un corrispettivo periodico, non si dubita che esso possa anche essere unico, soprattutto in relazione a locazioni di breve durata. Salvo che per le locazioni ad uso abitativo a canone concordato, come vedremo in seguito (§ 4), l’eventuale canone unico può essere sia posticipato sia anticipato rispetto al godimento.
Nel caso, poco frequente, ma astrattamente possibile, di indeterminatezza del tempo dell’adempimento, la disciplina della locazione, come quella del mutuo, non offre soluzione espressa. La stessa va quindi ricavata dal diritto generale delle obbligazioni e, in particolare, dall’art. 1183 c.c., sul tempo dell’adempimento. Al riguardo, nessuno ha mai sostenuto – o potrebbe convincentemente sostenere – che, in difetto di pattuizione sull’esigibilità, il corrispettivo delle locazioni possa essere immediatamente e interamente preteso, in forza della regola dello statim debetur (art. 1183, comma 1, primo periodo, c.c.). Ed infatti, qualora, in virtù degli usi o per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo dell’esecuzione, sia necessario un termine, questo, in mancanza di accordo delle parti, è stabilito dal giudice (art. 1183, comma 1, secondo periodo, c.c.) (e v. U. Natoli e di Majo). Proprio questo appare il caso della locazione, connotato dalla peculiare natura della prestazione, consistente nella corresponsione al locatore dei frutti civili della cosa, i quali maturano – cioè sorgono – non già con la consegna di essa, bensì per effetto del godimento nel tempo, e cioè su base giornaliera. Ma la maturazione giornaliera dei frutti non comporta affatto loro esigibilità di giorno in giorno (cfr., Fragali e, da ultima, Sganga, nonché Cass., 27 febbraio 1987, n. 2109), dovendosi escludere il diritto di pretendere infinite volte un corrispettivo frazionato per unità di tempo. La legge, al contrario, esige che il termine sia pattuito e, se non è pattuito, per la determinazione del tempo dell’adempimento occorre la determinazione del giudice (art. 1183, comma 1, secondo periodo, c.c.). Si può aggiungere che la ragione per la quale le parti devono pattuire la periodicità dei corrispettivi della locazione è proprio per consentire un legittimo frazionamento del credito che, altrimenti, derivando da un unico rapporto obbligatorio, non potrebbe essere altro che unitario (e v. Cass., sez. un., 16 febbraio 2017, nn. 4090 e 4091).
Le medesime considerazioni vanno fatte in relazione al mutuo, dato che anche gli interessi sui capitali sono frutti civili, e seguono la stessa regola di maturazione. In questa prospettiva, la regola dello statim debetur di cui all’art. 1183, comma 1, primo periodo, c.c. risulta loro inapplicabile: da una parte, ed è ovvio, la regola di maturazione giornaliera dei frutti civili impedisce di considerarli tutti immediatamente esigibili per effetto della sola consegna del capitale; dall’altra parte, come già visto per la locazione, non è corretto sostenere che gli interessi corrispettivi possano essere l’oggetto di infinite prestazioni, che divengono esigibili pari passu con la maturazione, dunque di giorno in giorno (sul punto, v. la critica di Bianca a Marinetti, la cui isolata posizione è ora condivisa da R. Natoli). Il rifiuto della tesi secondo cui sarebbe applicabile agli interessi il principio dello statim debetur implica l’applicazione agli interessi corrispettivi dell’art. 1183, comma 1, secondo periodo, c.c., il quale richiede la determinazione giudiziaria del tempo dell’adempimento: il che non consente neppure di aderire alla tesi della esigibilità periodica, annuale o su diversa base. In difetto di pattuizione, infatti, nessun rilievo può avere il tempo al quale è commisurato il saggio di interesse (art. 1284, comma 1, c.c.), essendo pacifico che se il tempo del godimento è ad esso inferiore il saggio va opportunamente applicato ai giorni di effettivo godimento (Bianca). Né lo ha il fatto che il termine prescrizionale breve di cui all’art. 2948, n. 4, c.c. si applichi agli interessi e alle prestazioni periodiche a cadenza annuale: a differenza di queste ultime, la cui scadenza per il computo della prescrizione è certa, per gli interessi è proprio il dies a quo a risultare incerto.
3. Maturazione del diritto, esigibilità e anticipata prestazione.
Sulla base di questo rapidissimo confronto, si conferma già prima facie corretto l’orientamento per il quale l’esigibilità degli interessi, in difetto di pattuizione, deve considerarsi per principio correlata a quella del capitale. Questa tesi merita, peraltro, di essere confortata con ulteriori argomenti. Al riguardo occorre differenziare l’ipotesi di assenza di un termine per la restituzione del capitale, da quelle in cui risulti fissato un termine o la restituzione rateale.
Quando il mutuo non ha termine di durata (art. 1817 c.c.), e questo venga fissato giudizialmente, dovrà reputarsi che anche gli interessi a tale data maturati siano contestualmente esigibili. Infatti, solo al termine per il godimento del capitale è possibile conoscere la durata effettiva del rapporto e ad essa rapportare gli interessi nel frattempo maturati giorno per giorno: la scadenza del termine, quindi, oltre a rendere esigibile il credito restitutorio, determina anche quello per corrispettivo, attribuendo allo stesso il connotato di liquidità ed esigibilità delle obbligazioni pecuniarie che le rende, a loro volta, produttive di interessi (art. 1282 c.c.). Non avrebbe alcuna giustificazione, infatti, reputare non ancora esigibile l’obbligazione per interessi, accessoria a quella per il capitale, una volta essendosi esaurito il rapporto e non essendo stati pattuiti termini dilatori.
Non è detto peraltro che l’esigibilità del diritto agli interessi in un mutuo senza termine di durata debba necessariamente considerarsi subordinata alla fissazione di un termine giudiziale per la restituzione del capitale. Il creditore potrebbe infatti avere interesse a mantenere investito il capitale, pur volendone trarre, nelle more, i frutti. Perciò, escluso che possa invocarsi la regola dello statim debetur – anche considerando che, in questo caso, l’obbligazione per interessi, determinabile ma non ancora determinata, non potrebbe considerarsi liquida – potrebbe invece ammettersi un’azione del creditore per la fissazione di uno o più termini per la corresponsione degli interessi, a norma dell’art. 1183, comma 1, secondo periodo, c.c. La fissazione di termini intermedi per l’esigibilità dei frutti appare in questo caso equa e del tutto coerente con gli interessi delle parti sottesi ad un mutuo, sì oneroso ma senza termine di durata. Si pensi, per fare un esempio assai frequente nella pratica degli affari, al finanziamento dei soci ad una società, nel quale, per consolidata prassi, pur omettendosi la fissazione del termine per la restituzione del capitale, si dichiara espressamente trattarsi di prestito fruttifero di interessi (spesso, senza indicazione del saggio), onde escludere che possa considerarsi apporto a fondo perduto o che possa considerarsi subordinato, in quanto sostitutivo di capitale.
Diversa considerazione meritano invece i casi in cui il mutuo ha un termine di durata (art. 1816 c.c.) o è prevista la restituzione rateale (art. 1819 c.c.). Ed infatti, come insegna la dottrina che più approfonditamente ha studiato la regola dell’art. 1183 c.c., la stessa – sia là dove esprime la regola dello statim debetur, sia là dove esprime quella della prima correttiva della determinazione giudiziale del termine – deve trovare a presupposto un difetto di accordo tra le parti, cioè una lacuna del contratto (così, di Majo). Lacuna che non può dirsi sussistente quando vi siano indizi nel contratto medesimo che consentono di identificare una volontà tacita o implicita circa l’esigibilità degli interessi. Tali indizi inevitabilmente sussistono quando le parti hanno disciplinato il termine per la restituzione del capitale, sia essa in unica soluzione o a rate: con ciò esse hanno indicato che il termine per l’esigibilità degli interessi, trattandosi di obbligazione accessoria, non può essere successivo al capitale, ma neppure anteriore (ché altrimenti lo avrebbero precisato) (ancora di Majo). Il giudice dovrà dunque interpretare il contratto sulla base dei suoi elementi, non integrarlo o correggerlo determinando un termine intermedio per l’esigibilità degli interessi (e v. U. Natoli e di Majo).
Quanto osservato appare fornire la compiuta dimostrazione della correttezza della tesi secondo cui, in difetto di diversa pattuizione tra le parti, l’esigibilità degli interessi nel mutuo si determina pari passu con quella del capitale o delle singole rate, per la parte a quella data già maturata.
Né la stessa può essere posta in dubbio limitandosi a osservare che, se la scadenza degli interessi dovesse farsi coincidere con quella del capitale, il legislatore non avrebbe avuto ragione di prevedere la possibilità di risolvere il contratto di mutuo per il mero inadempimento dell’obbligazione di interessi (art. 1820 c.c.) (così, R. Natoli). Si era già in precedenza chiarito (v. de Luca) – proprio per evitare una tale erronea suggestione – che la previsione sull’inadempimento degli interessi si riferisce ai soli mutui rateali (non a caso le due regole sono topograficamente collocate l’una di seguito all’altra: artt. 1819, 1820 c.c.) ed anzi – si può aggiungere – assume specifico valore proprio per quelli in cui è prevista per contratto la corresponsione periodica degli interessi, indipendentemente dall’esigibilità del capitale: ad es., nel prestito bullet, ove l’inadempimento degli interessi periodici costituisce sicuramente inadempimento e può dare corso alla risoluzione del contratto di mutuo (e v. Fragali, che parla di recesso), facendo così venir meno il beneficio del termine per la restituzione del capitale. A ben vedere, peraltro, si tratta di disposizione ridondante, perché alla stessa conclusione potrebbe sicuramente giungersi anche con i princìpi generali (e v. Relazione al codice, n. 544): sicché non ha senso valorizzarla.
4. Il patto di anticipazione degli interessi.
A questo punto del discorso si innesta un diverso profilo problematico, e cioè l’interrogativo su quali siano gli ambiti di autonomia delle parti in materia di esigibilità degli interessi o del canone di locazione; in particolare, se sia ammissibile – come accennato nel § 2 – un’anticipazione di tutta o parte della controprestazione del mutuatario o del conduttore rispetto al godimento della cosa o del capitale. Questione questa che, ovviamente, presuppone la possibilità di pre-determinazione – impossibile nel mutuo privo di termine di durata – del complessivo debito per corrispettivo della locazione o per interessi del mutuo.
Nella locazione libera, non risulta vietata la pattuizione in base alla quale tutto il corrispettivo della locazione sia anteriormente esigibile rispetto al godimento della cosa. Nelle locazioni «a canone concordato», invece, non è consentito anticipare più di tre mensilità (art. 11, l. n. 392/1978). In relazione alla medesima questione in materia di mutuo, alcuni autori si pronunciano favorevolmente, nei limiti del divieto di interessi usurari (rapidamente Libertini, più ampiamente R. Natoli): è tuttavia significativo che proprio chi ammette l’anticipazione degli interessi nel mutuo sia poi costretto a definire “indebita” la prestazione che non trovi corrispettivo nel (futuro) godimento del capitale (o della cosa) (Libertini). Invero, riconoscere la validità di tali pattuizioni non significa ammettere che i canoni di locazione o gli interessi del mutuo possano essere corrisposti, in quanto tali, prima del godimento: esattamente come non potrebbe concepirsi l’anticipato godimento della cosa o del capitale. Riprendendo una metafora che già mi era parsa evocativa in passato: il contadino può vendere la frutta non ancora maturata (come cosa futura od anche come cosa sperata) ma non può raccoglierla quando l’albero è ancora in fiore.
Cominciando il ragionamento dalla locazione, si osserva nella prassi la consueta pattuizione con la quale si fissa il corrispettivo per l’intera durata del rapporto locatizio o ad anni, ma lo stesso viene frazionato per periodi più brevi, con l’esplicita indicazione che il conduttore si obbliga al pagamento anticipato, generalmente entro i primi giorni del periodo di riferimento (mese o trimestre). Ancora, un locatore privo di fiducia nel conduttore potrebbe esigere l’anticipazione dell’intero o di ampia parte del corrispettivo addirittura rispetto all’inizio del godimento: si pensi alle locazioni temporanee di breve durata tra parti che non si conoscono, spesso perfezionate attraverso piattaforme che facilitano l’incontro tra domanda e offerta.
In tutti i menzionati casi, l’anticipazione dei canoni assume evidente funzione di garanzia. Talvolta essa ha anche funzione di caparra penitenziale, essendo previsto che il recesso del conduttore prima dell’inizio del godimento faccia perdere il canone anticipato a vantaggio del locatore. Altre volte ancora essa semplicemente assicura al locatore di poter agire per il corrispettivo durante l’altrui godimento e non solo al termine.
Come tutte le garanzie cauzionali, le parti possono certamente convenire di imputarle a corrispettivo in funzione del godimento della cosa nel tempo. Ma possono anche vietarne l’imputazione a corrispettivo della locazione, come è consueto, ad es., per i canoni anticipati versati a garanzia di eventuali danni. Proprio in relazione a questi, per legge (art. 11, l. n. 392/1978), la cauzione, esaurita la sua funzione, va restituita aumentata degli interessi e non costituisce restituzione dell’indebito, proprio perché avente natura di cauzione e non di corrispettivo di una prestazione non goduta.
Quanto appena osservato per le locazioni è di gran rilievo, anche se non può essere trasposto sic et simpliciter al mutuo.
Pare infatti evidente che l’anticipata corresponsione di “somme”, pur se dichiaratamente imputate a (futuri) interessi, non possa assumere funzione di garanzia dell’adempimento: altre, infatti, sono le garanzie appropriate e che il mutuante generalmente esige per assicurarsi l’adempimento dell’obbligo di restituzione del capitale e degli interessi, tra cui, soprattutto, per i mutui immobiliari, l’ipoteca. Dovendosi del resto escludere, per le stesse ragioni della locazione, che, senza maturazione del diritto al corrispettivo (il preammortamento è considerato contrario alle regole della contabilità di Stato da C. conti, sez. contr., 21 febbraio 1996, n. 39), l’anticipazione di somme possa imputarsi a (futuro) pagamento di interessi (e sul fraintendimento dell’art. 1194 c.c., riferendosi questo solo agli interessi già maturati: Cass., 26 maggio 2016, n. 10941; Cass., 19 aprile 2002, n. 5703), la pattuizione, se non già illecita per contrarietà all’art. 821, comma 3, c.c. – ove considerata, almeno sotto questo profilo, regola inderogabile – è comunque destinata a non trovare tutela da parte dell’ordinamento, perché non rispondente a riconoscibili interessi meritevoli (pongono la questione Dolmetta e Farina). Con la conseguenza che – come già ipotizzato in altra sede, sebbene con un esempio da altri reputato non calzante (esprime questo giudizio R. Natoli) – dato che un rapporto mutuatizio è già corrente e su di esso si innestano i pagamenti, le somme versate dal mutuatario a titolo di interessi non ancora sorti dovranno imputarsi a restituzione del capitale. Il che rileva sotto due profili: anzitutto se ne deve tenere conto per computare la base su cui sorgono gli interessi; in secondo luogo, trattandosi di una restituzione anticipata del capitale non pattuita, troverà applicazione anche l’art. 1185, comma 2, c.c., in materia di interusurium, e pertanto, pur non potendosi ripetere il pagamento anticipato, si potrà però agire per l’ingiustificato arricchimento del creditore, e cioè per il vantaggio della liquidità tratto sulle somme anticipate.
5. Riflessioni sui mutui bullet, alla francese e alla tedesca.
Tutto quanto precede conduce ad alcune rapide considerazioni su alcune tipiche formule di restituzione del capitale mutuato invalse nella prassi: in particolare, il mutuo bullet, quello alla francese e quello alla tedesca. Il mutuo bullet così come quello alla francese – a nulla rilevando che nel primo sia prevista la restituzione del capitale in unica soluzione al termine e nel secondo sia invece prevista in rate di importo costante, dunque in quota crescente – sono perfettamente legittimi se e nella misura in cui il contratto esiga periodicamente solo interessi già maturati. In difetto, le somme non imputabili ad interesse vanno portate a deconto dell’obbligazione restitutoria del capitale, anche considerando l’interusurium. Verosimilmente non legittimo in base alle regole del diritto italiano è invece il c.d. mutuo alla tedesca, ove si realizzi – come dovrebbe, secondo le indicazioni che provengono dalla prassi – una fisiologica anticipazione degli interessi rispetto alla maturazione.
Uno dei banchi di prova più significativi per le considerazioni appena espresse è il caso di anticipata interruzione del rapporto, ponendosi il problema di accertare se gli interessi fino ad allora corrisposti siano o meno il corrispettivo del godimento già intervenuto. La questione, pur individuata dalla Cassazione in una pronuncia interlocutoria (Cass. 24 maggio 2021, n. 14166), non è stata ancora dalla stessa affrontata. Le conseguenze di un positivo accertamento sarebbero, verosimilmente, quelle già prospettate nel paragrafo precedente.
Saranno invece affrontate a breve altre questioni in materia di mutuo alla francese, rimesse a seguito di un rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c. alle Sezioni Unite (quesito reputato rilevante da Trib. Salerno, 19 luglio 2023 e giudicato ammissibile dall’Ufficio del Primo Presidente, 7 settembre 2023). Non è agevole predire cosa la Suprema Corte dirà e se potrà pronunziarsi nel merito. Ciò che è certo è che non si tratta solo di una questione di trasparenza (come a torto ritiene R. Natoli), ma a monte di verifica della legittimità o, forse, della meritevolezza di alcune pattuizioni. La trasparenza, infatti, è pur sempre un problema contingente: se le condizioni del mutuo sono legittime e meritevoli di tutela, occorre solo trovare una formula linguistica adeguata per spiegarle al mutuatario, anche se consumatore e anche se privo di cultura finanziaria.
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[*] Testo della relazione esposta il 31 gennaio 2024 al convegno su Mutuo bancario con ammortamento alla francese, organizzato da Scuola di formazione decentrata del Consiglio Superiore della magistratura, in preparazione delle Sezioni Unite.