I. – Premessa.
In tema di impugnativa di lodo per violazione delle regole di diritto sostanziale si profila un nuovo possibile intervento delle Sezioni Unite, dopo le pronunce del 9 maggio 2016, avallate dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 13 del 30 gennaio 2018[1].
Per comprendere le (nuove) questioni emerse dalla recente pronuncia qui in commento, occorre ricordare il tema nel quale tali questioni si inseriscono.
II. – Breve excursus sull’impugnativa del lodo per violazione di legge.
1. – Fino alla riforma dell’arbitrato del 2006 di cui al D. Lgs n. 40/2006, in tema di impugnazione del lodo, la regola generale era che il lodo era sempre impugnabile per violazione della legge sostanziale (ossia delle norme sostanziali applicabili alla controversia e che l’arbitro avesse in ipotesi violato e/o falsamente applicato: ad esempio, errore del lodo in tema di prescrizione, applicazione delle regole dell’onere della prova, violazione delle regole in materia di interpretazione del contratto etc.).
L’unica eccezione a tale regola riguardava il caso in cui nella convenzione arbitrale le parti avessero escluso l’impugnabilità del lodo o avessero autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità (art. 829, c. 2, c.p.c., vecchio testo).
2. – La riforma dell’arbitrato ha introdotto la regola opposta: il lodo è ora impugnabile per violazione delle regole di diritto sostanziale soltanto se le parti, nella convenzione arbitrale, lo abbiano espressamente previsto (art. 829, c. 3, c.p.c., testo vigente).
Diversamente, il lodo non è impugnabile per violazione di legge sostanziale, ma soltanto per eventuali errori procedimentali; in tal caso le chance di successo di un’eventuale impugnativa saranno quindi – di regola – di gran lunga inferiori.
La norma transitoria di cui all’art. 4 del D. Lgs n. 40/2006 stabilisce che tale regola si applica a tutti i procedimenti arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore della riforma (2 marzo 2006), senza distinguere se la convenzione arbitrale sia stata stipulata prima o dopo l’entrata in vigore della legge[2].
III. – L’intervento delle Sezioni Unite del 2016 e l’avallo della Corte Costituzionale del 2018: la tutela dell’affidamento di chi aveva sottoscritto una convenzione arbitrale confidando sull’impugnabilità per violazione di legge sostanziale.
1. – Nel 2016 le Sezioni Unite, con sentenze del 9 maggio 2016, n. 9341, 9284 e 9285, hanno affermato che, se la convenzione arbitrale è anteriore al 2 marzo 2006, l’impugnazione per violazione delle regole del merito è ammessa, anche se non prevista dalla convenzione[3].
A fondamento del principio, le Sezioni Unite hanno proposto un’interpretazione incentrata, in particolare, sull’espressione “legge” usata dall’art. 829, c. 3., c.p.c. (testo vigente), per cui “l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge”.
Per le Sezioni Unite, la “legge” a cui fa riferimento l’art. 829, c. 3, c.p.c. (vigente) è quella – sostanziale – che “disciplini la convenzione di arbitrato”, vigente al tempo della stipula, ossia – per le convenzioni anteriori al 2 marzo 2006 – (anche) il comma 2 dell’art. 829 c.p.c., nella versione vigente prima della riforma dell’arbitrato (comma che, come si è ricordato, prevedeva la generale impugnabilità del lodo per violazione di legge, salva diversa volontà delle parti).
Ne segue che, secondo le Sezioni Unite, se la convenzione è stata stipulata prima del 2 marzo 2006, il silenzio tenuto dalle parti in merito all’impugnabilità del lodo va interpretato in modo conforme alla legge a quel tempo vigente, ossia all’art. 829, c. 2, c.p.c., vecchio testo, e quindi nel senso della volontà delle parti di ammettere l’impugnazione del lodo anche per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia.
Al di là del sofisticato ragionamento giuridico, le Sezioni Unite hanno inteso, in tal modo, evitare una disparità di trattamento a svantaggio di chi, pur avendo stipulato una convenzione prima della riforma dell’arbitrati (senza escludere l’impugnabilità per violazione di legge), avesse poi proposto la domanda dopo il 2006.
2. – Come si è ricordato, il principio affermato dalle Sezioni Unite ha ricevuto di recente l’avallo anche della Corte Costituzionale.
Infatti, con la sentenza n. 13 del 30 gennaio 2018, la Consulta ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’Appello di Milano in relazione ai principi espressi dalle Sezioni Unite della Cassazione e ha, in particolare, affermato quanto segue:
a) il principio costituzionale di uguaglianza è violato solo se situazioni identiche sono disciplinate in modo ingiustificatamente diverso;
b) chi ha stipulato una convenzione arbitrale nella vigenza del vecchio testo dell’art. 829 c.p.c. (ossia prima della riforma dell’arbitrato) è in una situazione oggettivamente diversa rispetto a chi, invece, a stipulato una convenzione arbitrale dopo il 2 marzo 2006;
c) le due situazioni non possono essere considerate identiche nel caso, anche per convenzioni ante 2006 la domanda arbitrale sia proposta dopo l’entrata in vigore della riforma dell’arbitrato; “così facendo si astrarrebbe la domanda dal suo contesto, trascurando il quadro normativo in cui la volontà delle parti si è formata e il ruolo che questa assume nell’arbitrato, come suo indefettibile fondamento”;
d) inoltre la regola introdotta dalla riforma dell’arbitrato e di cui alla nuova formulazione dell’art. 829, c. 3. c.p.c., ha natura sostanziale, e non processuale, con la conseguenza che non può trovare applicare il principio (processuale) tempus regit actum.
In sostanza, anche secondo la Consulta, chi ha stipulato una convenzione arbitrale prima della riforma dell’arbitrato senza nulla prevedere in tema di impugnabilità del lodo, ha fatto affidamento sulla possibilità di un’impugnativa più estesa del lodo (ossia anche per violazione di legge), e va per questo tutelato.
IV. – La nuova questione posta dalla Prima sezione: è tutelabile – e come – l’affidamento di chi non ha impugnato per violazione di legge confidando, appunto, che, alla luce della giurisprudenza dell’epoca, il motivo non fosse proponibile?
1. – A questo punto, insorge una nuova questione: quale sorte per quelle impugnative – proposte nel vigore dell’art. 829, c. 3 c.p.c. post riforma nelle quali, nel convincimento (indotto dalla giurisprudenza dell’epoca) che non fosse proponibile il motivo della violazione di legge, tale motivo non era stato formulato nell’atto di impugnazione?
La questione può essere – in astratto – risolta in due modi differenti:
A) alla situazione descritta si applica: a) il principio del c.d. “prospective overruling” per cui “il mutamento di un principio giurisprudenziale e la nuova interpretazione di una norma processuale, pur preesistente, al fine di evitare il pregiudizio del diritto di difesa, esige l’attivazione di meccanismi di tutela dell’affidamento, che la parte abbia riposto in un pregresso ‘diritto vivente’del quale non fosse prevedibile il mutamento”; b) ovvero, in ogni caso, quella della rimessione in termini per essere la parte incorsa in una decadenza non imputabile.
In altre parole, nel processo le regole del gioco ne costituiscono l’essenza e pertanto devono essere conosciute ex ante in modo da poter individuare una strategia coerente.
Ne deriva che, in caso di mutamento del diritto vivente, rappresentato da una determinata interpretazione giurisprudenziale di una disposizione, la parte che abbia fatto affidamento sul precedente orientamento non può ritenersi incorsa in decadenza o deve essere rimessa in termini, ossia deve essere messa in condizione di esercitare quella facoltà non esperita per aver fatto affidamento sull’originaria difforme lettura della disposizione.
Ciò significa che se la parte non ha impugnato il lodo per violazione di legge per aver fatto affidamento sull’inammissibilità del motivo per le ragioni sopra illustrate, essa deve a questo punto poter impugnare il lodo (anche) per violazione di legge.
B) La seconda opzione è di ritenere invece che la decadenza non sia eliminabile e/o non sia ammissibile la rimessione in termini, e ciò in quanto l’interpretazione della legge da parte del giudice non può mai travalicare il dettato della legge stessa, e non può quindi creare affidamenti.
In tal caso chi non aveva proposto il motivo della violazione di legge, confidando sulla scorta della giurisprudenza, che fosse inammissibile, non è ammesso, dopo la pronuncia delle Sezioni Unite del 2016, a proporre il motivo.
2. – La Prima Sezione Civile rimette quindi la (duplice) questione al Primo Presidente, osservando “come sembra incongruo sanzionare con la decadenza colui che abbia prestato ossequi alla lettera e premiare chi – secondo quella che, all’epoca, sarebbe stato qualificabile, piuttosto, come ‘abuso del processo’ – avesse proposto un ricorso pur manifestamente, all’epoca, inammissibile”.
L’impostazione dell’ordinanza sembra ragionevole, tanto più alla luce di una sempre più matura coscienza che il processo civile non è, come sottolinea la stessa ordinanza, “un duello o una guerra, ma il luogo di una risoluzione pacifica delle controversie dinanzi a un giudice imparziale”.
Sotto il profilo tecnico, resta peraltro il tema di fondo per cui, da un lato, i principi dell’overruling e della rimessione in termini sono di derivazione processuale, mentre l’intervento delle Sezioni Unite del 2016 si fonda, come si è visto, su una lettura della disposizione transitoria della legge di riforma dell’arbitrato che fa leva sulla nozione di “legge” sostanziale.
[1] Cass., 9 maggio 2016, nn. 9341, 9i284 e 9285. In argomento ci permettiamo di rinviare ai seguenti contributi apparsi su questa rivista: V. Pisapia, Impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto: prossima la decisione della Corte Costituzionale; Id., La risposta della Corte Costituzionale alla questione dell’impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto.
[2] Riportiamo qui di seguito, per comodità, il testo degli articoli: a) 829, c. 2, c.p.c. (vecchio testo); b) 829, c. 3, c.p.c. (testo vigente); c) art. 4 D. Lgs n. 40/2006 (norma transitoria):
a)art. 829, c. 2, c.p.c. (vecchio testo): “l’impugnazione per nullità è altresì ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile”;
b) 829, c. 3, c.p.c. (testo vigente): “l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. È ammessa in ogni caso l’impugnazione delle decisioni per contrarietà all’ordine pubblico”;
c) art. 4 D. Lgs n. 40/2006 (norma transitoria): “le disposizioni degli articoli 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto” (2 marzo 2006). L’articolo del D. Lgs n. 40/2006 qui rilevante è il n. 24, che ha introdotto l’art. 829 c.p.c. nell’attuale formulazione.
[3] Salvo che le parti stesse avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile: cfr. anche Cass., 13 luglio 2017, n. 17339.