Con sentenza n. 34153 del 21 novembre 2022, la Corte di Cassazione si è espressa in materia di assegni falsi e obbligo di diligenza della banca.
In particolare, la Cassazione evidenzia come la misura della diligenza richiesta alla banca nel rilevamento di assegni falsi è quella dell’accorto banchiere, avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata, alla stregua del paradigma di cui al secondo comma dell’art. 1176 cod. civ., con la conseguenza che spetta al giudice del merito valutare la congruità della condotta richiesta alla banca in quel dato contesto storico e rispetto a quella determinata falsificazione, attivando cosi un accertamento di fatto volto a saggiare, in concreto, il grado di esigibilità della diligenza stessa, verificando, in particolare, se la falsificazione sia, o meno, riscontrabile attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell’assegno da parte dell’impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni teorico/tecniche, ovvero pure in forza di mezzi e strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo e di agevole utilizzo, o, piuttosto, se la falsificazione stessa sia, invece, riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo o tramite particolari cognizioni teoriche e/o tecniche.
Nel caso all’esame, la Corte di appello, con valutazione delle risultanze istruttorie ha accertato che l’alterazione dell’assegno «risulta essere stata eseguita con procedimento sicuramente attento e collaudato che ha condotto alla creazione di un titolo profondamente diverso da quello emesso dalla Società ma non immediatamente percepibile dai soggetti che, pur esperti del settore ed allertati in ordine alle possibili contraffazioni dei titoli che passano per le loro mani, non hanno rilevato alcun elemento tale da indurre in loro il sospetto di qualche irregolarità».
Ha inoltre soggiunto che «i fondati e pertinenti rilievi svolti dall’appellante in ordine agli elementi rivelatori della contraffazione …, tutti verificati dal Collegio e ritenuti corretti e condivisibili, non sono tuttavia in grado di attribuire all’alterazione compiuta il carattere della grossolanità e della possibilità di immediata sua percezione che legittimerebbe l’accoglimento della richiesta di risarcimento del danno formulata nei confronti dei due istituti di credito», evidenziando in tal senso che «gli elementi dai quali si sarebbe potuta rilevare la falsificazione derivano da un esame particolarmente attento di particolari che, in mancanza di loro preventiva indicazione (come avviene nel caso di specie in sede giudiziale), potrebbero anche non essere percepiti».
Si tratta infatti di rilievi che ad esame particolarmente approfondito del titolo la Corte d’appello ritiene di poter condividere ma che, tuttavia, sono percepibili solo a seguito di un richiamo dell’attenzione “mirato” su ogni singolo particolare indicato dall’appellante ma non immediatamente percepibili e tantomeno in assenza di palesi ulteriori indici rivelatori di una possibile contraffazione.