Nel caso di assegno circolare munito di clausola di intrasferibilità incolpevolmente pagato da una banca negoziatrice (girataria per l’incasso) a soggetto diverso dal legittimato, la regola di cui all’art. 43 l.a. – secondo cui «colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso risponde del pagamento» – può trovare applicazione esclusivamente nel rapporto tra tale istituto e l’intestatario effettivo.
Per contro, la regola non trova applicazione quando la banca trattaria abbia agito nei confronti della negoziatrice dopo aver provveduto nuovamente a pagare l’importo dell’assegno circolare all’effettivo titolare in base del rapporto causale sottostante, non essendovi tenuta in virtù del peculiare regime giuridico di protezione del titolo in questione.
Nel caso di specie, un soggetto aveva aperto un conto corrente presso una banca, depositandovi un milione di lire, contestualmente presentando un assegno circolare – risultato poi falsificato – emesso da una diversa banca.
Il giudice del primo grado aveva ritenuto integrato un difetto di diligenza nell’operato della banca negoziatrice, giacché lo stesso «non era stato improntato alla doverosa diligenza professionale esigibile dal banchiere. In particolare, … la condotta della banca non era censurabile in ordine all’apertura del conto ma lo diventava in ordine al versamento dell’assegno circolare che richiede ben più incisive cautele. Quest’ultima operazione presentava notevoli anomalie che avrebbero dovuto indurre ad una più sicura identificazione del prenditore, dal momento che il presentatore del titolo non era cliente, aveva versato sul deposito soltanto un milione di lire; la patente di guida [unico documento di identificazione esibito dal cliente, ndr] è più facilmente falsificabile, il tempo trascorso per il prelievo era stato molto breve essendo finalizzato esclusivamente a consentire lo scambio in stanza di compensazione ed, infine, la notevole distanza tra luogo di emissione e luogo di presentazione» (così la pronuncia in epigrafe).
Di opposto avviso la Corte d’Appello, secondo cui «non è condivisibile l’assunto secondo il quale l’identificazione nella specie doveva essere duplicata e che doveva essere eseguita con due diversi metri di diligenza, dal momento che la diligenza del buon banchiere nella specie non è suscettibile di graduazioni. Peraltro i tempi dell’accredito dell’assegno avrebbero potuto consentire in caso di celere contestazione della banca il suo sollecito storno. La patente è un documento d’identità del tutto idoneo all’identificazione e quello presentato non presentava alterazioni. Non esiste una graduatoria di attendibilità dei documenti d’identificazione. Il titolo non presentava alterazione e sullo stesso il prenditore era indicato con dati corrispondenti a quelli indicati sul documento di riconoscimento esibito anch’esso ictu oculi privo di contraffazioni. Secondo l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità il comportamento della banca è risultato esente da colpa non essendo la banca tenuta a predisporre un’attrezzatura qualificata con strumenti meccanici o chimici ai fini della scoperta della contraffazione» (così ancora la pronuncia del Supremo Collegio).