Nel caso di un assegno bancario con clausola di intrasferibilità di cui sia contestata la genuinità della firma di traenza, l’onere di provare l’identità fra beneficiario e negoziatore degli assegni ricade sulla banca trattaria. Infatti, l’opposta interpretazione della clausola di non trasferibilità contrasterebbe con la funzione cui la norma dell’art. 43 della legge assegni è finalizzata: e cioè, proprio quella di impedire che l’assegno pervenga nella disponibilità di soggetti diversi dal prenditore.
Nella fattispecie decisa dalla Suprema Corte, il dubbio verteva sulla circostanza che il traente avesse richiesto alla banca – in base al rapporto di provvista e quindi in forme extracartolari – di accreditare l’importo dell’assegno (già presentato all’incasso) su un conto intestato a un diverso soggetto.