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Giurisprudenza

Assistenza alla riscossione del credito tributario estero

22 Febbraio 2021

Lorenzo Giannico

Cassazione Civile, Sez. V, 25 settembre 2020, n. 20189 – Pres. Sorrentino, Rel. Cataldi

Nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria, in esecuzione di una convenzione, presti assistenza al recupero di un credito tributario di un altro Stato, è tenuta a provvedere alla notifica di una cartella esattoriale, o comunque di un atto che renda il contribuente consapevole del fatto che l’amministrazione italiana procede alla riscossione di un debito tributario nell’interesse e per conto dell’amministrazione straniera, nonché della natura e delle caratteristiche del debito stesso, atteso che il contribuente ha il diritto di verificare da dove scaturisca la pretesa che l’amministrazione pretende di esercitare, movendo contestazioni, sia pur solo nel ristretto ambito delle questioni devolute alla giurisdizione italiana.

La valutazione circa l’esistenza degli elementi sufficienti a consentire tale verifica all’interno della cartella va commisurata all’ambito, ristretto, delle questioni che lo stesso contribuente può sottoporre alla giurisdizione italiana.

Questo il principio ricavabile dalla pronuncia in commento

La controversia traeva origine da una cartella di pagamento, emessa dall’Amministrazione finanziaria nei confronti di una società residente in Italia, avente oggetto un credito tributario vantato dall’Autorità fiscale islandese, che aveva avanzato richiesta di assistenza al recupero delle imposte dovute in aderenza alla Convenzione per la reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa ed i Paesi membri dell’OCSE, sottoscritta a Strasburgo il 25 gennaio 1988, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla l. 10 febbraio 2005, n. 19.

Detta cartella veniva impugnata dalla Società destinataria presso la competente Commissione Tributaria Provinciale, ritenendo la ricorrente che il relativo ruolo fosse stato emesso da un Ufficio incompetente, ovvero da una Direzione provinciale delle Entrate, anziché dall’Ufficio Grandi Contribuenti della Direzione Regionale, aisensi dell’art. 27 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185.

L’Agenzia delle Entrate risultava soccombente in primo e secondo grado di merito.

La Commissione Tributaria Regionale, per quanto di interesse, dichiarava la nullità della cartella, sia per l’eccepita incompetenza della Direzione Provinciale di Milano che per difetto di motivazione ed allegazione dello stesso atto di recupero emesso dall’Autorità fiscale islandese.

Ricorreva pertanto l’Amministrazione per la cassazione della pronuncia d’appello, dolendosi anzitutto della violazione e falsa applicazione degli artt. 27, commi 13 e 14, del d.l. 185/2008, 71 del d.lgs. 30 luglio 1999 n. 300, 11 della menzionata Convenzione di assistenza amministrativa, 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, nonché 4 e 5 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate.

Riteneva infatti la ricorrente che, dall’analisi delle menzionate disposizioni, potesse desumersi come la competenza esclusiva della Direzione Regionale in relazione ai Grandi Contribuenti afferisse alle sole attività di accertamento, e non anche a quelle relative alla riscossione.

Il Collegio ha riconosciuto la fondatezza del dedotto motivo, richiamando in premessa come l’evocato articolo 11 della Convenzione multilaterale imponga allo Stato ricevente la richiesta di assistenza alla riscossione l’adozione delle misure (ed il rispetto delle disposizioni) previste per i crediti tributari propri.

Quanto alla normativa rilevante ai fini dell’individuazione dell’Ufficio competente allo svolgimento delle attività riscossive, la Corte evidenzia come l’articolo 27 del d.l. 185/2008 demandasse all’Amministrazione di individuare le strutture cui affidare, relativamente ai Grandi Contribuenti, le sole attribuzioni e poteri di accertamento di cui agli articoli 31 e seguenti del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e degli articoli 51 e seguenti del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633.

Inoltre, ad avviso dei giudici di Legittimità, lo stesso comma 14 traccerebbe in via espressa i confini delle attività attribuibili agli uffici della Direzione Regionale, senza alcun riferimento alla riscossione, che deve quindi ritenersi estranea all’ambito della competenza esclusiva.

Denunciava poi la ricorrente violazione e falsa applicazione degli articoli 3, l. 7 agosto 1990 n. 241, 7, comma primo della legge 27 luglio 2000 n. 212, 11 e 13 della Convenzione citata, 25 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, 1 e 6 del decreto interministeriale 3 settembre 1999 n. 321.

Ad avviso della Amministrazione finanziaria l’espresso rimando operato dalla Convenzione multilaterale alla disciplina domestica in materia di riscossione consentiva di escludere l’obbligo di indicare nella cartella elementi ulteriori, diversi da quelli normativamente previsti.

L’indicazione, quindi, dello Stato richiedente l’assistenza alla riscossione, della natura fiscale del credito, del titolo e dell’importo dovuto, dovevano giudicarsi sufficienti a garantire la conformità del contenuto della cartella alle disposizioni nazionali vigenti.

La Corte di Cassazione si è pronunciata, in concordia con alcuni precedenti di Legittimità, (Cfr. Cass. Sez. U. 21669/2006; Cass. Sez. U. 13357/2008; Cass Sez. U. 18189/2009) precisando anzitutto che, anche nel caso in cui il titolo da cui deriva la pretesa tributaria provenga da uno Stato estero, la cartella di pagamento debba contenere elementi sufficienti a consentire al contribuente di valutare se contestarla.

Inoltre, la congruità di tale contenuto va commisurata all’ambito, ristretto, delle questioni che lo stesso contribuente può sottoporre alla giurisdizione italiana.

Più in generale la Corte, nel richiamare altri propri arresti (Cfr. Cass 1111/2018; Cass. 18224/2018; Cass. 25343/2018), ha ribadito come il richiamo, operato dal decreto interministeriale 321/199, a titolo di contenuto della cartella, all’indicazione sintetica degli elementi sulla base dei quali è stata effettuata l’iscrizione a ruolo, deve valutarsi in relazione al diritto di difesa del contribuente, con riguardo alla procedura di riscossione che lo riguarda, e non in termini formali.

La Suprema Corte ha quindi riconosciuto come gli elementi indicati in seno alla cartella risultassero idonei a garantire l’esercizio del diritto di difesa da parte del contribuente, le cui contestazioni in tal senso apparivano generiche ed astratte.

In accoglimento dei menzionati motivi di ricorso, il Collegio ha cassato la pronuncia impugnata, decidendo nel merito.

 


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