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Attualità

L’Assonime commenta la prassi e la giurisprudenza in materia di abuso del diritto

16 Gennaio 2019

Gabriele Giusti, Dottore di ricerca in diritto tributario, Tinelli & Associati – Studio legale e Tributario

Di cosa si parla in questo articolo

1. Con la recente circolare n. 27 del 18 dicembre 2018 Assonime torna a soffermarsi sui temi dell’abuso del dritto per commentare gli ultimi chiarimenti forniti dalla prassi amministrativa e dalla giurisprudenza di legittimità, e verificare se le soluzioni concretamente adottate siano coerenti con la nuova nozione di abuso discendente dall’art. 10-bis della legge n. 212/2000.

Invero, già all’indomani dell’introduzione della nuova clausola antielusiva generale, l’Associazione con un ampio commento[1], aveva tratteggiato le caratteristiche della nuova norma, mettendone in evidenza i punti di maggiore innovazione rispetto alla clausola prevista dal precedente art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973. In particolare, secondo l’Associazione, la nuova definizione esalterebbe la centralità del vantaggio fiscale indebito rispetto all’assenza di valide ragioni economiche così superando la lettura “monodimensionale” del fenomeno che si sarebbe invece imposta nella vigenza dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973. Più nel dettaglio, secondo Assonime, sino all’entrata in vigore della nuova disciplina, l’elusione e l’abuso sarebbero stati identificati nella pura e semplice assenza di sostanza economica (o di valide ragioni economiche), senza un’adeguata ponderazione sull’”asistematicità” del vantaggio fiscale conseguito. La nuova norma, invece, avrebbe il pregio di riportare l’attenzione dell’interprete sulla contrarietà del risultato fiscale alle norme applicabili ed ai principi del sistema, riconoscendo esplicitamente al contribuente la libertà di scegliere, tra due strade comportanti un diverso carico fiscale ma poste su di un piano di pari dignità da parte dell’ordinamento, la via fiscalmente meno onerosa.

2. Così ricordati i caratteri essenziali della nuova definizione, la circolare passa all’esame dei più recenti pronunciamenti della prassi amministrativa, esprimendo, nel complesso, un sostanziale apprezzamento per le soluzioni adottate, dove l’Associazione ravvisa, in molti casi, l’adesione ad una nozione di abuso abbastanza in linea con le indicazioni rintracciabili nella nuova definizione normativa. Non si manca di segnalare, tuttavia, la presenza di pronunciamenti che parrebbero, invece, tradire il ritorno ad una lettura “monodimensionale” del fenomeno, in cui largo spazio sarebbe riservato all’esame delle valide ragioni economiche, che finirebbero per oscurare l’analisi sulla natura indebita del vantaggio fiscale.

In particolare, la casistica esaminata riguarda, in molti casi, operazioni di riorganizzazione da attuare mediante scissioni societarie (sia di tipo proporzionale, sia di tipo non proporzionale) spesso precedute da conferimenti di aziende o di partecipazioni di controllo da perfezionarsi ricorrendo ai regimi di neutralità, o di “sostanziale” neutralità, previsti, per i conferimenti d’azienda, dall’art. 176 del TUIR, e, per gli scambi d partecipazioni di controllo, dall’art. 177, comma 2, del TUIR (cd. regime di realizzo controllato).

Ebbene, proprio nella sequenza conferimento/scissione l’Agenzia delle Entrate sembrerebbe aver ravvisato le più decise criticità, essendosi osservato che i risultati perseguiti avrebbero potuto essere meglio raggiunti attraverso l’impiego di schemi operativi più lineari ancorché fiscalmente più onerosi. Ad esempio, in uno dei casi esaminati, si è ritenuto che il conferimento di un azienda in una newco, seguito dalla scissione non proporzionale della conferente in due distinte entità partecipate rispettivamente da due fratelli avrebbe portato ad un risultato sostanzialmente coincidente a quello ottenibile con un più semplice conferimento, da parte dei due fratelli, della propria quota di partecipazione nella conferente in due società di nuova costituzione, con l’unica differenza che, mentre nel primo caso l’articolazione dell’operazione avrebbe consentito di beneficiare di un regime di piena neutralità, nel secondo il conferimento in newco della partecipazione non di controllo avrebbe scontato il prelievo ai sensi dell’art. 9 del TUIR.

Per tali ragioni l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto non giustificata la sequenza, senza, tuttavia, interrogarsi adeguatamente su quale fosse la norma aggirata, ma ponendo l’accento proprio sull’asserita mancanza di valide ragioni economiche dell’operazione. Il che, secondo l’Associazione, rappresenterebbe un passo indietro nell’elaborazione concettuale del fenomeno.

Ancora, in un altro caso esaminato, l’Agenzia ha ritenuto elusivo il conferimento in una newco delle partecipazioni detenute da quattro fratelli in una holding (da attuarsi in regime di realizzo controllato ex art. 177, comma 2, del TUIR) accompagnato dalla successiva scissione della stessa newco in quattro distinte entità riconducibili, alla fine dell’operazione, ai quattro fratelli. Si è reputato, però, che al medesimo risultato si sarebbe potuti pervenire attraverso il conferimento, da parte dei quattro fratelli, delle proprie quote nella holding a quattro distinte newco, ancorché senza beneficiare, in tal modo, del regime previsto dall’art. 177, comma 2, del TUIR. Anche qui la maggiore articolazione della sequenza rispetto alla via tracciata dall’Agenzia è stata ritenuta indice di assenza di valide ragioni economiche, senza che vi si sia adeguatamente interrogati sulla natura indebita del vantaggio fiscale conseguito.

Infine, l’Associazione ha ritenuto opportuno segnalare come anche la giurisprudenza di legittimità, in un recente pronunciamento[2], si sia nuovamente attestata su di una nozione di abuso/elusione incardinata sulla presenza di valide ragioni economiche piuttosto che sulla verifica circa la natura indebita del vantaggio fiscale conseguito. Infatti, nel caso esaminato, l’elusività di un’operazione di acquisto perfezionata attraverso lo schema del cd. leveraged buy out sembra essere stata confermata invocando la complessità dell’articolazione dei vari passaggi piuttosto che all’esito di un’analisi sull’”asistematicità” dei vantaggi fiscali asseritamente configurabili.

3. Gli esiti dell’analisi compiuta da Assonime rivelano, forse, l’eccessivo ottimismo con cui si è accolta la nuova formulazione della clausola antielusiva generale, nella quale paiono essersi riposte speranze di cambiamento che, invece, alla prova dei fatti, finiscono talvolta per essere disattese. Infatti, anche la nuova definizione non sembra completamente immune da criticità, laddove, accostando assenza di sostanza economica ed indebito vantaggio nell’ambito degli elementi costitutivi della fattispecie, non sembra adeguatamente porre in risalto la centralità del secondo rispetto al primo[3]. Inoltre, il successivo richiamo alle valide ragioni di carattere extrafiscale finisce per caratterizzare in senso “circolare” la definizione[4], riducendo ulteriormente il ruolo dell’indebito vantaggio.

D’altro canto, è la stessa generalità della clausola a prestarsi a letture interpretative differenti, ed è pertanto solo attraverso un mutamento della sensibilità degli operatori che si potrà imporre un nuovo concetto di elusione/abuso del diritto, che ponga finalmente al centro dell’indagine la natura indebita del vantaggio fiscale conseguito. In questa prospettiva, particolarmente meritorio si rivela proprio il contributo di Assonime, che nei propri interventi non perde occasione di evidenziare l’esigenza che si affermi una più appropriata nozione di abuso.



[1] Si veda la circolare n. 21/2016.

[2] Cass. 29 ottobre 2018, n. 30404.

[3] Su tali aspetti si consenta il rinvio a G. Giusti, Assenza di sostanza economica e indebito vantaggio fiscale nel nuovo abuso del diritto tributario, in Dir. prat. trib., 2018, I, 1437 ss.

[4] Sulla circolarità dell’art. 10-bis cfr. D. Canè, Indebito vantaggio fiscale e abuso del diritto. Profili di diritto comunitario e internazionale, in Dir. prat. trib. int., 2016, 1257.

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