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Attualità

Assonime ritorna sul falso valutativo in attesa delle SS.UU.

18 Marzo 2016

Stefano Loconte e Giusy Antonelli

Di cosa si parla in questo articolo

Le SS.UU. avranno l’ultima parola sulla questione della rilevanza penale delle false valutazioni sociali. Il Supremo Collegio, a Sezioni Unite, è stato infatti invitato a chiarire se la nuova disciplina delle false comunicazioni sociali abbia determinato o meno l’irrilevanza ai fini penali del falso valutativo.

Anche Assonime è ritornata sul tema con il Caso n. 2/2016. L’associazione di categoria, che aveva già fornito un commento sui primi interventi giurisprudenziali al riguardo, ha svolto alcune considerazioni in ordine alla rilevanza penale del c.d. falso valutativo alla luce della recente sentenza della Cassazione, n. 6916/2016.

Invero, i giudici di legittimità ancora una volta hanno invertito la rotta sul reato di false comunicazioni sociali, riaffermando la tesi già espressa nella prima sentenza n. 33774/2015, che aveva sancito l’irrilevanza penale delle false valutazioni sociali sulla base del nuovo dettato normativo degli artt. 2621 e 2622 c.c..

Com’è noto, per effetto delle modifiche intervenute a opera della l. n. 69/2015, è stato espunto dalle citate disposizioni il riferimento ai fatti materiali “ancorché oggetto di valutazioni”, e, conseguentemente, sembra essere venuta meno la rilevanza degli enunciati valutativi ai fini della configurabilità della fattispecie in questione.

Alla luce della novella legislativa, la Suprema Corte, tornando sulla posizione inizialmente espressa, ha chiarito che la soppressione del predetto inciso nel nuovo testo dell’art. 2621 c.c. ha avuto l’effetto concreto di ridurre l’estensione incriminatrice della norma alle poste contabili scaturenti da fatti economici materiali, escludendone, invece, quelle prodotte da valutazioni pur se moventi da dati oggettivi.

Tale decisione segue ad altra pronuncia, la n. 890/2016, in cui gli ermellini hanno sposato la tesi opposta, chiarendo che, nell’ambito delle false comunicazioni sociali, il riferimento ai “fatti materiali” oggetto di falsa rappresentazione non varrebbe ad escludere la rilevanza penale degli enunciati valutativi, che sono anch’essi predicabili di falsità quando violino criteri di valutazione predeterminati.

I giudici di legittimità sono pertanto addivenuti a soluzioni antitetiche.

A tale riguardo, Assonime ha evidenziato che l’incertezza generata dal rischio di contrasti giurisprudenziali ha condotto alla richiesta di un intervento per dirimere il contrasto giurisprudenziale.

Difatti, con ordinanza n. 9186 del 3 marzo 2016 la Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione relativa alla punibilità o meno falsi valutativi in relazione alle nuove fattispecie di false comunicazioni sociali.

Nell’attesa di un intervento chiarificatore sulla questione, Assonime si è soffermata sull’apprezzabile sforzo compiuto nell’ultima pronuncia della Corte, al fine di individuare una definizione di falso valutativo per stabilire cosa oggi integri il reato.

Ad avviso della Suprema Corte il falso valutativo risulta integrato allorquando si ricorre all’associazione di un dato numerico ad una realtà economica comunque esistente, e quindi in situazioni in cui tale associazione può essere effettivamente considerata come il risultato di una valutazione.

Il reato è dunque commesso quando il valore numerico è esposto con modalità che sono idonee ad indurre in errore i terzi sulla stessa consistenza fisica del dato materiale.

Al netto di tali precisazioni, non può non rilevarsi che le incertezze interpretative in ordine alle novellate disposizioni sono state ingenerate, in primo luogo, da una precisa volontà legislativa di lasciare ai giudici di legittimità il compito di dover valutare se gli elementi valutativi e le stime possano o meno rientrare all’interno di un concetto che implica fatti materiali rilevanti, come si legge nei lavori preparatori della citata l. n. 69/2015.

Si auspica, dunque, che le Sezioni Unite facciano chiarezza sulla questione, garantendo la stabilità delle decisioni giurisprudenziali e, al contempo, determinando la formazione di un diritto vivente più o meno differenziato dall’originario significato della disposizione scritta dal legislatore.

 

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