Ormai da tempo, siamo abituati alle pressoché quotidiane novità che interessano il diritto dell’Unione Europea, in particolar modo quello bancario e finanziario: spesso, si tratta di novità rilevanti. Non sempre, tuttavia, capita di poter segnalare decisioni di tanto rilievo, come quella emessa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione) in data 15 luglio 2021, causa C-911/19, nella controversia Fédération bancaire française (‘FBF’) c. Autorité de contrôle prudentiel et de résolution (‘ACPR’). Si tratta di una pronuncia resa all’esito di un rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), avente ad oggetto gli orientamenti emanatidall’Autorità Bancaria Europea (EBA) nel 2016 in materia di product governance per i prodotti bancari al dettaglio. La questione pregiudiziale era stata sollevata dal Conseil d’État francese, segnando, di per ciò stesso, uno sviluppo degno di notanell’ambito del complesso dialogo tra le Corti supreme degli Stati membri dell’Unione e la Corte di giustizia, che intercorre ormai da tempo, e con esiti a tratti sorprendenti, proprio nell’ambito della disciplina in senso lato finanziaria dell’Unione (e si pensi, da ultimo, al noto caso Weiss, che ha visto contrapporsi le posizioni, da un lato, della CGUE e, dall’altra, quella del giudice delle leggi tedesco, il Bundesverfassungsgericht, in una materia delicata e dai significativi impatti macroeconomici per l’intera Eurozona: la legittimità dell’adozione da parte della Banca Centrale Europea del c.d. PSPP).
Con la decisione in commento, la Corte fornisce un ulteriore contributo decisivo alla costruzione e interpretazione del diritto bancario e finanziario dell’Unione: la sentenza si colloca a pieno titolo tra i grandi arrêts della giurisprudenza della CGUE in tale ambito, tra i quali si annoverano, quantomeno (e senza pretese di completezza), quelli espressi nei casi Landeskreditbank, Berlusconi, Crédit Agricole, Tercas, e il ricordato Weiss. In questo caso, peraltro, il rilievo della decisione va ben oltre l’ambito del diritto bancario e finanziario, in quanto interessa, in generale, il cruciale, e crescente, ambito degli strumenti di soft law nel diritto dell’Unione, ai qualiricorrono con sempre maggiore frequenza e incisività (per quanto di maggior interesse in questa sede) EBA, ESMA ed EIOPA (le Autorità Europee di Vigilanza nei comparti bancario, finanziario e assicurativo).
Il Conseil d’État aveva, in particolare, sollevato dinnanzi alla Corte la questione pregiudiziale circa la possibilità di utilizzare l’azione di annullamento di cui all’art. 263 TFEU al fine di ottenere la dichiarazione di invalidità di strumenti UE di soft law, quali, per l’appunto gli orientamenti e le raccomandazioni delle Autorità Europee di Vigilanza, adottati ai sensi dell’art. 16 di ciascuno dei Regolamenti istitutivi di queste ultime.
Nell’aprile del corrente anno, l’avvocato generale Bobek si era espresso – in un denso e articolato parere, reso celebre anche per il suo incipit, ove figura una citazione da Game of Thrones – nel senso che gli orientamenti dell’EBA in materia di product governance per i prodotti bancari al dettaglio dovevano ritenersi invalidi. Ad avviso dell’avvocato generale, l’oggetto degli orientamenti non rientrava nell’ambito di applicazione degli atti di cui all’art. 1, par. 2, del Regolamento istitutivo dell’EBA n. 1093/2010, né detti orientamenti trovavano una espressa e specifica base giuridica in un diverso atto dell’Unione. Inoltre, l’avvocato generale aveva osservato che l’art. 267 TFUE: (i) consente di presentare un rinvio pregiudiziale sulla valutazione della validità (anche) di atti non vincolanti dell’Unione; (ii) non osta a che una federazione o associazione professionale possa porre in discussione – mediante un’eccezione di illegittimità regolarmente sollevata dinanzi a un giudice nazionale – gli orientamenti destinati ai membri di cui tutela gli interessi, anche se tali orientamenti non la riguardano direttamente e individualmente.
Nella sentenza, la Corte di giustizia – dopo aver confermato che gli orientamenti sottoposti al proprio vaglio hanno effettivamente natura non vincolante (trattandosi, dunque, di soft law) – ha concluso, in primo luogo, nel senso che essi non sono affetti da vizi di validità: la loro adozione, infatti, rientra tra le competenze “generali” dell’EBA per la promozione di un quadro regolatorio uniforme in materia di governance creditizia, e tra le materie che interessano la sua attività istituzionale. Questo, però, è solo l’aspetto, per così dire, più immediato della decisione. La statuizione di maggior rilievo attiene, in vero, al fatto che, secondo la Corte, gli orientamenti non possono essere oggetto di ricorso di annullamento ex art. 263 TFUE; tuttavia, la loro validità può essere valutata ai sensi dell’art. 267 TFUE, ossia nell’ambito di un rinvio pregiudiziale.
A seguito di questa statuizione, il modo stesso in cui intendiamo la nozione di soft law nell’ambito del diritto dell’Unione è destinato a cambiare. Tenuto conto del ruolo crescente che stanno assumendo linee guida, orientamenti, raccomandazioni, pareri, e altri strumenti consimili (che dire, ad esempio, delle Q&A?), e non soltanto nell’ambito del diritto bancario, la sentenza traccia per la prima volta una linea inequivoca: pur nella loro natura di atti non vincolanti, si tratta di strumenti ben sottoponibili al controllo giurisdizionale della Corte UE. Anche se qualche avvisaglia di questo esito poteva trarsi da altri casi (ad esempio, già Gauweiler) è la prima volta che siffatta conclusione viene raggiunta in modo così diretto ed esplicito. Il fatto, poi, che la decisione si riferisca ad orientamenti EBA non limita, ovviamente, l’estensione del relativo principio alla soft law promanante anche da altre Autorità e Istituzioni europee, ivi incluse quelle che si collocano al di fuori del perimetro della disciplina bancaria e finanziaria.
Il corpo, sempre più invasivo, della soft law – frutto anche dell’espansione e dell’estensione delle competenze delle Agenzie e delle Istituzioni europee (ad es. la BCE) – esce, così, trasformato da questa decisione (che andrà approfonditamente studiata e valutata) avendo subito quella che a noi pare una vera e propria mutazione genetica. La sentenza influirà non soltanto sull’impatto che la soft law (spesso, nei fatti, più vincolante di quanto non appaia) avrà sul piano della condotta dei soggetti a cui essa si rivolge, dell’attività di vigilanza, delle sanzioni, ma anche sul modo stesso in cui tale soft law si atteggia, e viene elaborata: non più, insomma, mere indicazioni, di cui si può continuare (a volte, forse un po’ ipocritamente) a declamare la natura del tutto opzionale, ma veri e propri strumenti (para)normativi, comunque soggetti all’attento scrutinio della Corte in sede di rinvio pregiudiziale. La soft law, così intesa, colora di profili nuovi anche il ruolo delle Autorità e delle Istituzioni da cui essa promana: un ruolo che si colloca sempre di più in una zona di confine, ove si cumulano, in capo ad un medesimo ente, funzioni di vigilanza, di regolazione, interpretazione e enforcement delle tradizionali fonti legislative. Si apre, insomma, una nuova era e, ancora una volta, la Corte di giustizia fa avanzare, e innova, il diritto dell’Unione e il nostro modo di intenderlo.