L’art. 186 l.f., in tema di annullamento del concordato preventivo, rimanda all’ art. 138 l.f., ai sensi del quale il concordato omologato può essere annullato dal Tribunale quando si scopre che è stato dolosamente esagerato il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo. Non è ammessa alcuna altra azione di nullità.
In osservanza della formula letterale del sopra citato articolo la Corte di Appello di Napoli accoglieva il ricorso di una s.r.l. in liquidazione avverso il decreto di annullamento del concordato preventivo, disposto in primo grado.
In particolare, i giudici di seconde cure ritenevano di non poter categorizzare (i) il provvedimento di sequestro per evasione e (ii) l’accusa di aver registrato fatture relative ad operazioni inesistenti – di cui la Società era stata incolpata successivamente all’omologa – nelle tipologie tipizzate dal legislatore di “dolosa esagerazione del passivo” o “dolosa sottrazione o dissimulazione rilevante dell’attivo”.
La Corte di Cassazione, con la sentenza 18090 del 2016, disattende l’interpretazione letterale della norma data dalla Corte partenopea, ritenendo più corretta un’esegesi sostanziale e circostanziata dell’art. 138 l.f. affermando, pertanto, il principio di diritto “per cui l’annullamento deve essere interpretato quale rimedio concesso ai creditori nei casi in cui la rappresentazione patrimoniale della società proponente, in base alla quale il concordato è stato approvato dai creditori ed omologato dal tribunale, sia risultata falsata per effetto della dolosa esagerazione del passivo, dell’omessa denuncia di uno o più crediti, ovvero della sottrazione o della dissimulazione di tale orientamento, o di altri atti di frode, idonei ad indurre in errore i creditori sulla fattibilità e sulla convenienza del concordato proposto”.