L’art. 2379-ter, comma 2°, c.c. trova applicazione sia alle ipotesi di nullità che di annullabilità delle delibere di aumento oneroso, rispondendo alla ratio di stabilizzare decisioni sociali di particolare rilevanza sul piano organizzativo.
Nel caso in cui si tratti di chiedere il risarcimento del danno prodotto da una delibera sociale invalida, non si fa valere un interesse comune agli Azionisti di Risparmio, ma un loro interesse soggettivo, rendendo il relativo Rappresentante Comune privo di legittimazione processuale attiva.
La tutela risarcitoria è preclusa per contrarietà ai principi di buona fede e correttezza al socio astenuto, il cui voto contrario in assemblea sarebbe stato determinante nell’impedire l’assunzione della delibera. Analogamente, contrasta con la regola dettata dall’art. 1227 c.c. e con il principio che vieta di venire contra factum proprium la condotta del socio abilitato ad agire per l’annullamento della delibera, che si limita, invece, a chiedere il risarcimento del danno, contribuendo al consolidamento degli effetti della decisione asseritamente dannosa.
In sede di delega prevista dall’art. 135-undecies T.u.f. non è necessario il rispetto dei rigorosi formalismi stabiliti dagli artt. 2372 c.c. e 135-novies T.u.f., in quanto il Rappresentante Designato dalla società è in grado di offrire maggiori garanzie di affidabilità.
Le scelte gestorie dei Commissari Straordinari, come quelle degli amministratori e dei liquidatori, sono soggette alla regola della business judgment rule, che le rende insuscettibili di sindacato giudiziale se non sul piano della ragionevolezza.
L’art. 2441, comma 6°, c.c. quando si riferisce al valore del patrimonio netto, nel dettare i criteri di determinazione del prezzo delle azioni di nuova emissione da offrire in sottoscrizione ai terzi, impone un procedimento valutativo che abbia riguardo al valore effettivo del patrimonio sociale, il che può voler dire, in caso di azioni senza valore nominale, anche fissare un prezzo dei titoli più basso di quello contabile, ove necessario al buon esito di un aumento di capitale indispensabile per la sopravvivenza della società.
L’interesse sociale non costituisce un limite al diritto di voto del socio, che può essere esercitato liberamente, salva la malafede, ovvero l’intento di ledere la società o i soci di minoranza per perseguire un proprio vantaggio.
Il Giudizio verte sull’impugnazione di una delibera di aumento di capitale assunta dall’assemblea straordinaria di Banca Carige s.p.a., proposta: dal rappresentante comune degli obbligazionisti di risparmio, per ottenerne l’annullamento, oltre che il risarcimento del danno (ex art. 2379-ter c.c.), unitamente ad una serie di azionisti ordinari, che, invece, richiedevano la sola tutela risarcitoria. I vari giudizi vengono riuniti ex art. 2377, comma 4°, c.c.
La delibera impugnata era stata assunta su proposta dei Commissari Straordinari, nominati all’esito dell’accesso della Banca all’Amministrazione Straordinaria, ed aveva ad oggetto, tra l’altro, un aumento di capitale sociale a pagamento inscindibile, con parziale limitazione del diritto d’opzione dei soci ordinari e dei titolari di azioni di risparmio, da offrire in sottoscrizione per una prima tranche allo Schema Volontario di Intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, da liberarsi con compensazione del credito da questi vantato verso la società, derivante dalla titolarità di obbligazioni subordinate; per una seconda tranche alla Cassa Centrale Banca – Credito Cooperativo Italiano s.p.a.; una terza tranche agli azionisti e per una quarta al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi.
La decisione si occupa, quindi, di scandagliare i vari motivi di impugnazione, partendo dall’esame delle questioni preliminari. In particolar modo per ciò che concerne l’annullamento richiesto dagli azionisti di risparmio per il tramite del proprio rappresentante comune, il Tribunale accoglie le controdeduzioni della Banca convenuta, ritenendo improcedibile la domanda ai sensi dell’art. 2479-ter, comma 2°, c.c., essendo al momento della relativa proposizione già avvenuta l’attestazione dell’organo amministrativo ex art. 2444 c.c. Sul punto i giudici ritengono che, contrariamente da quanto asserito dalla parte attorea, i ridotti termini di impugnazione debbano valere anche per le domande di annullamento, e non solo per quelle di nullità, là dove si tratta in ogni caso di tutelare la stabilità di decisioni di particolare rilievo per l’organizzazione della società. In ogni caso, il Collegio giudicante, come controdedotto dalla difesa di Banca Carige S.p.a., argomenta sul difetto di legittimazione processuale attiva, nel caso di specie, del Rappresentante Comune degli Azionisti di Risparmio, là dove il combinato disposto degli artt. 147 T.u.f. e 2418 c.c. gli consentirebbe di agire, esclusivamente, per tutelare gli “interessi comuni” degli azionisti e non anche i relativi interessi soggettivi, quale quello al risarcimento del danno prodotto da una delibera asseritamente invalida. L’art. 2418, comma 2° c.c., richiamata dalla citata disposizione del T.u.f., deve, infatti, essere interpretato restrittivamente, trattandosi di norma eccezionale derogatoria del principio, contenuto nell’art. 81 c.p.c., secondo cui nessuno può agire in giudizio in nome proprio per far valere un diritto altrui.
Altra questione preliminare, esaminata dal Tribunale Genovese, investe la posizione di due soci le cui pretese risarcitorie vengono giudicate inammissibili, in quanto contrarie al principio che vieta di venire contra factum proprium, corollario di quello più generale di buona fede e correttezza e alla regola che impone al debitore di assumere comportamenti volti a limitare il danno prodotto dall’altrui inadempimento, espressa dall’art. 1227 c.c. Ai soci ricorrenti viene, difatti, contestato di detenere una partecipazione sociale tale da aver potuto impedire l’assunzione della delibera, ma di non avere preso parte all’Assemblea e poi di non avere agito per la sua demolizione, richiedendone anche la sospensione in via cautelare: il che ne avrebbe impedito il consolidamento. Sul punto, viene sottolineato, in particolare, come il risarcimento del danno rappresenti uno strumento di tutela ad appannaggio dei soli soci di minoranza incapaci di incidere sulle sorti delle maggioranze necessarie all’assunzione delle delibere assembleari e soprattutto di avere accesso alla tutela demolitoria.
Cominciando, poi, a scardinare nel merito i ricorsi proposti, il Collegio si sofferma, prima di tutto, sul profilo della pretesa invalidità delle deleghe assembleari: in particolar modo viene contestato il mancato rispetto della forma scritta, prevista dall’art. 2372 c.c. e ribadita dall’art. 135-novies T.u.f., da parte delle deleghe trasmesse al rappresentante designato di Banca Carige tramite fax. Sul punto il Tribunale Genovese perviene, invece, alla conclusione secondo cui i formalismi previsti per il rilascio della delega individuale siano in parte derogati in sede di delega conferita al Rappresentante Designato, ex art. 135-undecies T.u.f., in quanto soggetto professionalmente preposto all’esercizio del voto per conto dei soci in assemblea, capace di offrire maggiore garanzia di affidabilità.
In merito alle doglianze espresse dagli azionisti circa la limitazione al diritto d’opzione imposto loro dalle delibere impugnate, il Tribunale respinge, in primis, quella relativa alle carenze motivazionali della Relazione dell’Organo Amministrativo, imposta dall’art. 2441, comma 6° c.c., sottolineando come i Commissari Straordinari si siano ampiamente spesi nel documentare le ragioni per cui fosse necessario procedere ad un Rafforzamento Patrimoniale finalizzato al raggiungimento dei requisiti di vigilanza prudenziale, di uscita dall’Amministrazione Straordinaria e di ricostituzione degli organi di amministrazione e controllo della società. In secondo luogo, i giudici sottolineano come tale obbiettivo, per le circostanze concrete, appaia verosimilmente raggiungibile soltanto tramite l’ingresso di nuovi soci quali Cassa Centrale Banca, Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi e Sistema Volontario di Intervento, i quali in parte avrebbero liberato l’aumento compensando il relativo debito da sottoscrizione con crediti vantati verso la Banca. Questa soluzione viene rappresentata come l’unica utile al salvataggio della Banca dalla liquidazione coatta amministrativa, dopo il fallimento delle trattative con altri Fondi Internazionali e, dopo, che in passato gli azionisti della Banca si erano rifiutati di procedere ad una ricapitalizzazione. Dunque, il Tribunale conclude giudicando la scelta gestoria di proporre un aumento con limitazione del diritto d’opzione legittima perché ragionevole, in quanto rispondente ad un interesse della società serio e consistente, ferma restando l’impossibilità di sindacarne il merito e l’opportunità, in base al criterio della business judgment rule, valido anche per le determinazioni dei Commissari Straordinari, oltre che per quelle degli organi amministrativi ordinari.
Altro profilo oggetto di contestazione da parte degli attori attiene il prezzo di emissione delle azioni di nuova emissione, offerte in sottoscrizione ai terzi, determinato, a detta degli attori, in palese violazione del dettato dell’art. 2441, comma 6°, c.c., là dove era stato utilizzato solo il criterio ancillare del valore di mercato dei titoli, allora peraltro sospesi da sei mesi dalle negoziazioni, e non quello principale del patrimonio netto. Gli stessi richiedono, quindi, un proporzionale risarcimento del danno, che tenga conto della differenza tra valore contabile dei titoli e prezzo di emissione nell’impugnata delibera di aumento. Sul punto Banca Carige ribatte ed il Tribunale avalla questa argomentazione, come la lettera dell’art. 2441, comma 6°, c.c., lungi dal prescrivere il compimento di un’operazione aritmetica per la determinazione del prezzo, consistente nella divisione del patrimonio netto contabile per il numero dei titoli in circolazione, obblighi a considerare l’effettivo valore economico della società. Nel caso di specie siffatto valore era prossimo allo zero, dato l’aggravarsi delle perdite e la sottoposizione ad Amministrazione Straordinaria della Banca. La società non aveva, infatti, alcuna prospettiva di continuità aziendale senza il perfezionamento dell’aumento. Quindi, mancava un valore economico positivo dei titoli azionari cui i Commissari Straordinari avrebbero potuto riferirsi. Questi ultimi avevano, dunque, dovuto ricercare un prezzo tecnico che consentisse agli azionisti preesistenti di conservare l’investimento e ai terzi investitori di sottoscrivere l’aumento, e l’avevano individuato guardando all’ultima capitalizzazione di borsa. I Giudici, basandosi sui molteplici pareri tecnici esterni utilizzati dai Commissari, dimostrano di avallare tale determinazione, sottolineando come il prezzo di emissione delle azioni da offrire in sottoscrizione ai terzi possa essere legittimamente fissato al di sotto del loro valore contabile, quando questa rappresenti l’unica strada per garantire la riuscita di un’operazione di ricapitalizzazione vitale per la sopravvivenza dell’impresa. Infatti, l’art. 2441, comma 6°, c.c. si pone l’obbiettivo di tutelare i soci preesistenti da un’iperdiluizione del valore patrimoniale della partecipazione, ma non può costituire un ostacolo al positivo esito di un’operazione, senza la quale la società verrebbe messa in liquidazione. Il Tribunale genovese perviene, quindi, al rigetto della domanda attorea di risarcimento del danno.
Infine, la sentenza si occupa di decidere della domanda riconvenzionale proposta dalla Banca contro uno dei maggiori azionisti della stessa, volta ad ottenere il risarcimento del danno cagionato dalla sua astensione al voto sulla proposta di delega al consiglio di amministrazione per un aumento di capitale, che ne aveva determinato la mancata approvazione. Il Collegio rigetta tale richiesta, affermando come l’interesse della società non possa rappresentare un limite al diritto dei membri della compagine sociale all’autodeterminazione nell’esercizio del voto, salvo il caso, non ricorrente nella vicenda esaminata, in cui tale prerogativa venisse utilizzata al fine di danneggiare i soci di minoranza o la società a proprio vantaggio.