L’Avvocato generale della Corte di Giustizia UE, Juliane Kokott, ha presentato le proprie conclusioni nella Causa C‑646/15, in cui la Corte è chiamata a pronunciarsi sulla questione se anche un trust (una struttura organizzativa presente soprattutto nel Regno Unito sotto forma di amministrazione fiduciaria) possa invocare le libertà fondamentali di cui al TFUE.
La questione in parola si pone con riferimento alla tassazione delle plusvalenze non realizzate (le cosiddette riserve latenti) nel caso di una particolare tipologia di tassazione in uscita. Questa interviene quando la maggioranza degli amministratori fiduciari del trust sposta la propria residenza all’estero o quando sono nominati, in maggioranza, amministratori fiduciari residenti all’estero.
Di seguito le conclusioni.
1) Un trust può invocare le libertà fondamentali a norma dell’articolo 54 TFUE anche quando non è munito, in base al diritto nazionale, di una personalità giuridica autonoma a condizione che il trust, in quanto tale, possa agire nell’ambito dei rapporti giuridici e gli siano così attribuiti dall’ordinamento nazionale diritti e obblighi propri. La tassazione delle plusvalenze latenti di un trust (o degli amministratori fiduciari) in ragione del trasferimento della sede in un altro Stato membro presunto sulla base della normativa nazionale costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento.
2) La restrizione alla libertà di stabilimento può, in linea di principio, essere giustificata dal mantenimento della ripartizione dei poteri impositivi tra gli Stati membri. Ciò vale anche quando in capo allo Stato di uscita permane un certo potere impositivo ma esso non è più rimesso all’autonomia dello Stato membro, bensì dipende essenzialmente dalle decisioni del soggetto passivo.
3) La proporzionalità della tassazione delle plusvalenze latenti deve essere valutata sulla base del caso concreto al momento dell’accertamento dell’imposta. Essa è sproporzionata quando – come nel caso di specie – non esiste alcuna possibilità di dilazione e, in mancanza di un trasferimento all’estero, il debito d’imposta sarebbe divenuto esigibile più tardi. Ciò vale a prescindere dal fatto che i beni economici di cui trattasi siano stati venduti, senza incorrere in perdite di valore, ancor prima che l’imposta sia divenuta esigibile. Il principio di proporzionalità non impone allo Stato di uscita di tener conto delle successive minusvalenze sul patrimonio aziendale.