Sommario: I: – Premessa. – II. – I punti della nuova legge di maggiore impatto ovvero invasività per i potenziali destinatari dell’azione di classe. – III. – La difesa fuori dal (e prima del) processo. IV. – La difesa nel processo. V. – Segue. – VI. – Conclusioni.
I. – Premessa.
1. – L’azione di classe approvata con la legge n. 31 del 12 aprile 2019 si caratterizza per una disciplina di rilevante impatto e, per alcuni aspetti, molto invasiva nei confronti dei potenziali destinatari dell’azione, ossia le imprese e gli enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità[1].
Anzitutto la legge ha abrogato la precedente normativa in tema di azione di classe di cui al codice del consumo e ha introdotto un intero corpus di norme all’interno del libro IV codice di procedura civile, che regolano, appunto, il nuovo procedimento.
Già soltanto l’utilizzo della tecnica della novellazione del codice di procedura rende manifesta la scelta del legislatore di attribuire all’istituto una valenza generale, e non limitata a specifici ambiti di tutela, quale era quello dell’azione di classe prevista dal codice del consumo.
Questa scelta si riflette subito, quindi, sull’allargamento della platea sia dei soggetti legittimati sul piano attivo sia di quelli legittimati sul piano passivo.
Infatti, da un lato, l’azione può essere promossa a) da tutti i soggetti che siano titolari di “diritti individuali omogenei”, tali da configurare una “classe”, a prescindere dalla loro posizione di consumatori o non, e b) da organizzazioni o associazioni di categoria senza scopo di lucro, i cui obiettivi ricomprendano la tutela dei predetti diritti e che siano iscritte in un pubblico elenco istituito presso il Ministero della Giustizia (art. 840-bis c.p.c.); dall’altro lato, la legittimazione passiva è attribuita dalla legge alle imprese e agli enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, “relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività” (art. 840-bis c.p.c.).
Sotto il profilo oggettivo, poi, alla stregua del riferimento contenuto nel III comma dell’art. 840-bis c.p.c. (“atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività”), l’ambito dell’azione sembra essere non solo contrattuale, ma anche quello extracontrattuale.
2. – Questo essendo lo spirito di fondo della nuova normativa, nel nuovo titolo VIII-bis del libro quarto del codice di procedura civile troviamo una serie di previsioni che, da un lato, ne costituiscono conferma, e, dall’altro lato, come si diceva, risultano molto incisive e, per certi aspetti, invasive, nei confronti delle imprese.
Sotto questo profilo, a) il differimento dell’entrata in vigore della legge decorsi dodici mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (avvenuta il 18 aprile 2019) e b) l’applicabilità della legge (soltanto) “alle condotte illecite poste in essere successivamente alla data della sua entrata in vigore” appaiono quantomai opportune.
Non solo per la finalità dichiarata dalla stessa legge (ossia per “predisporre le necessarie modifiche dei sistemi informativi per permettere il compimento delle attività processuali con modalità telematiche”: cfr. art. 7 della legge), ma soprattutto per consentire:
a) agli operatori del diritto in particolare (giuristi, magistrati, avvocati) una più meditata analisi di un istituto che, ove utilizzato in modo distorto e abusivo, potrebbe avere effetti molto rilevanti per le imprese, anzitutto sotto il profilo reputazionale;
b) alle imprese, come tali potenzialmente destinatarie di un’azione di classe, di formarsi una nuova cultura organizzativa e imprenditoriale che tenga conto della possibilità di coinvolgimento in una tale azione, al fine, se possibile, di prevenire tale coinvolgimento, ovvero, dotarsi degli strumenti necessari per gestirlo in modo efficace.
II. – I punti della nuova legge di maggiore impatto ovvero invasività per i potenziali destinatari dell’azione di classe.
1. – Nel senso finora precisato occorre ora passare in rassegna i punti più salienti della nuova disciplina.
Per un corretto inquadramento delle questioni, va premesso che il procedimento, da promuoversi secondo il rito sommario (senza possibilità di conversione in rito ordinario), si articola nelle seguenti tre fasi, di cui le prime due affidate al tribunale delle imprese e la terza a un giudice delegato: a) la prima è destinata a concludersi con un’ordinanza che decide sull’ammissibilità o meno dell’azione; b) la seconda, ove la domanda sia dichiarata ammissibile, è definita con sentenza, avente per oggetto l’accertamento della lesione dei diritti fatti valere (ovvero, nei casi ivi previsti, le domande risarcitorie o restitutorie); c) la terza ha per oggetto la verifica delle adesioni e la liquidazione degli aderenti alla classe.
Tanto premesso, le previsioni che appaiono maggiormente incisive e/o invasive nei confronti dei potenziali destinatari dell’azione sono le seguenti:
a) anzitutto, come si è detto, è esclusa la possibilità di conversione del rito sommario in rito ordinario (art. 840-ter, comma 3, c.p.c.): ciò, se da un lato, almeno in astratto, è funzionale all’accelerazione del processo, dall’altro lato, rischia di rendere più difficile la difesa della parte resistente, la quale potrebbe trovarsi nella necessità di far luogo a un’istruzione non deformalizzata;
b) è prevista una pubblicità del procedimento molto diffusa: infatti il ricorso, entro dieci giorni dal deposito del decreto di fissazione dell’udienza, è pubblicato nell’area pubblica del portale dei servizi telematici dei Ministero della giustizia (art. 840-ter, comma 2, c.p.c.); analogamente è prevista la medesima forma di pubblicità, tra l’altro, per: (i) l’ordinanza che decide sull’ammissibilità della domanda (art. 840-ter, comma 5, c.p.c); (ii) la sentenza che decide il merito e dichiara aperta la procedura di adesione (artt. 840-quinquies e 840-sexies c.p.c.); ciò, se da un lato, ha la funzione di rendere noto il procedimento ai fini delle eventuali adesioni, dall’altro lato, rischia di riflettersi sull’immagine e sulla reputazione dell’impresa destinataria dell’azione in particolare, a fronte di azioni abusive o pretestuose; va considerato, infatti, che il primo atto che viene reso pubblico è appunto il ricorso (con il relativo decreto), ossia un atto di parte, nel quale sono contestati i presunti atti e/o comportamenti lesivi degli asseriti diritti individuali omogenei fatti valere in giudizio, contestazioni che potrebbero però poi rivelarsi infondate e/o indimostrate;
c) sotto il profilo istruttorio, sono previsti poteri rilevanti e molto penetranti in capo al tribunale; infatti, ai fini dell’accertamento della responsabilità del resistente, il giudice: (i) “può avvalersi di dati statistici e di presunzioni semplici” (art. 840-quinquies, comma 4, c.p.c.); (ii) “su istanza motivata del ricorrente, contenente l’indicazione dei fatti e prove ragionevolmente disponibili dalla controparte, sufficienti a sostenere la plausibilità della domanda, il giudice può ordinare al resistente l’esibizione delle prove rilevanti che rientrano nella sua disponibilità” (art. 840-quinquies, comma 5, c.p.c.); a questo riguardo occorre considerare che: (i) la richiesta o l’ordine di esibizione possono avere per oggetto anche “informazioni riservate” (con la previsione che in tal caso il giudice dispone misure di tutela, tra le quali l’obbligo del segreto) (art. 840-quinquies, commi 7 e ss. c.p.c.): (ii) l’inottemperanza all’ordine di esibizione è sanzionata sia con l’applicazione di (rilevanti) sanzioni pecuniarie amministrative, sia con la previsione che il giudice, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere provato il fatto a cui la prova si riferisce (art. 840-quinquies, commi 11, 12 e 13, c.p.c.)[2];
d) se il tribunale nomina un consulente tecnico d’ufficio, “l’obbligo di anticipare le spese e l’acconto sul compenso a quest’ultimo spettanti sono posti, salvo che sussistano specifici motivi, a carico del resistente” (art. 840-quinquies, comma 3, c.p.c.);
e) è prevista la possibilità che altri soggetti possano aderire all’azione nel corso del procedimento, e ciò anche dopo la sentenza che accoglie l’azione di classe (artt. 840-sexies e ss. c.p.c.);
f) nella fase della procedura di adesione: (i) i fatti dedotti dagli aderenti e non specificatamente contestati dal resistente nel termine per il deposito della sua memoria si intendono “ammessi” (art. 840-octies, c.1, c.p.c.); (ii) nella procedura di adesione non sono ammessi mezzi di prova diversi dalla prova documentale (art. 840-octies, comma 3, c.p.c.);
g) è prevista la condanna dell’impresa soccombente a pagare a favore sia del rappresentante comunque degli aderenti che a favore dell’avvocato del ricorrente un compenso parametrato al numero degli aderenti e all’importo complessivo dovuto; tale compenso premiale si applica anche ai difensori che hanno difeso i ricorrenti delle cause riunite risultati vittoriosi (art. 840-novies, c.p.c.).
2. – In questo quadro normativo, le imprese potenzialmente destinatarie di un’azione di classe dovrebbero fin d’ora individuare adeguate strategie volte a tutelarle rispetto al possibile promuovimento di una tale tipologia di azione.
III.– La difesa fuori dal (e prima del) processo.
1. – Non vi è dubbio che il primo modo per difendersi dall’azione di classe sia prevenirla.
Al riguardo, come si è ricordato, le imprese hanno tempo fino al 19 aprile 2020 (data di entrata in vigore e di applicazione della legge) per adeguarsi.
In particolare, la prevenzione dovrebbe operare anzitutto allo scopo di evitare, ove possibile, la stessa proposizione di un’azione di classe, ovvero che si verifichino i presupposti perché una tale azione possa essere fruttuosamente promossa.
Va ricordato infatti che il legislatore ha previsto un sistema pubblicitario dell’azione attraverso il portale pubblico del Ministero della giustizia, nel quale andrà pubblicato anzitutto lo stesso ricorso introduttivo dell’azione di classe.
Ed è chiara la risonanza anche mediatica, e pertanto il possibile danno reputazionale (sul quale torneremo poi), che un’impresa potrebbe subirne (fin dalla pubblicazione del ricorso nel portale telematico).
2. – In quest’ottica, la massima attenzione dovrà essere data (dedicando anche adeguati investimenti finanziari), in particolare, alla realizzazione ovvero al miglioramento del sistema di gestione dei reclami e/o delle contestazioni, e comunque di rilevazioni di situazioni critiche o problematiche.
Ciò anzitutto al fine, appunto, di accertare eventuali criticità e porre in essere le necessarie manovre correttive.
Qualora poi l’impresa non abbia contatti diretti con gli utenti finali (avvalendosi, ad esempio, di imprese intermedie non appartenenti al medesimo gruppo societario e/o comunque non ad essa riconducibili), sarà opportuno contrattualizzare adeguati obblighi informativi a carico di tali imprese al fine di avere il controllo più ampio e penetrante possibile sull’attività svolta e le relative problematiche e/o criticità[3].
3. – Ma la prevenzione è fondamentale anche nell’ottica di un possibile coinvolgimento in un’azione di classe.
Ed invero:
A) anzitutto, come si è visto, il processo dell’azione di classe è regolato dal rito sommario, nel quale l’attività istruttoria può essere svolta anche in modo, appunto, sommario, con una preferenza per l’istruzione documentale. Addittura, come pure si è visto, nella fase della procedura di adesione non sono ammessi mezzi di prova diversi dalla prova documentale (art. 840-octies c.p.c.).
Ciò implica la necessità che l’impresa si organizzi per tempo al fine di poter provare in modo documentale i fatti che dovranno/potranno essere dedotti a fondamento delle difese ed eccezioni che saranno svolte nel processo, una volta che questo sarà stato instaurato.
B) Inoltre, come si è visto, il tribunale può ordinare alla parte resistente “l’esibizione delle prove rilevanti che rientrano nella sua disponibilità” (art. 840-quinquies, comma 5, c.p.c.), e l’inottemperanza a tale ordine è sanzionato, oltre che con sanzioni pecuniarie amministrative rilevanti, con la previsione che il giudice, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere provato il fatto a cui la prova si riferisce (art. 840-quinquies, commi 11-12-13, c.p.c.).
Il che può significare perdere la causa per il fatto che l’impresa non è in grado, in ipotesi, di ottemperare all’ordine.
E’ quindi fondamentale che, ora per allora, a prescindere dalle concrete strategie difensive che saranno adottate nel processo, l’impresa si metta nella condizione di poter ottemperare a un futuro ordine, e pertanto organizzi e gestisca i propri archivi documentali in modo a tal fine efficiente.
C) Sempre in un’ottica di prevenzione, va ricordato che l’ordine di esibizione può avere per oggetto anche “informazioni riservate” e, in tal caso, il giudice dispone specifiche misure di tutela tra le quali l’obbligo del segreto, la possibilità di non rendere visibili le parti riservate di un documento, la conduzione di audizioni a porte chiuse, la limitazione del numero di persone autorizzate a prendere visione delle prove, il conferimento ad esperti dell’incarico di redigere sintesi delle informazioni in forma aggregata o in altra forma non riservata. Al riguardo l’art. 840-quinquies, comma 8, c.p.c. stabilisce che “si considerano informazioni riservate i documenti che contengono informazioni riservate di carattere personale, commerciale, industriale e finanziario relative a persone ed imprese, nonché i segreti commerciali”.
Tale definizione (anch’essa mutuata dal D.lgs del 19 gennaio 2017, n. 3), almeno nella prima parte, appare tautologica, e occorrerà attendere l’interpretazione giurisprudenziale e dottrinale per una più precisa individuazione.
Certamente, peraltro, in un’ottica di prevenzione, sarà opportuno tutelare le informazioni commerciali e/o industriali in modo tale, ove possibile, da conferire loro il carattere di segretezza di cui all’art. 98 del codice della proprietà industriale; ciò al fine di ottenere, nell’ambito del processo di cui all’azione di classe, quelle tutele, da parte del giudice, di cui al ricordato art. 840-quinquies c.p.c.
Come noto, ai sensi dell’art. 98 codice della proprietà industriale, “costituiscono oggetto di tutela le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni:
a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;
b) abbiano valore economico in quanto segrete;
c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete”.
In altre parole, ferma restando la necessità dei requisiti di cui ai punti a) e b), sarà comunque opportuno sottoporre tali informazioni a misure adeguate a mantenerle segrete.
Al riguardo vale qui ricordare che le misure atte al mantenimento del segreto consistono in “accorgimenti interni all’organizzazione dell’impresa che tendono a impedire, o a rendere quanto meno più difficoltoso e non agevole, l’apprensione del segreto da parte di terzi”[4], quali, ad esempio:
a) misure di protezione dei documenti elettronici e delle reti telematiche;
b) misure finalizzare a estrinsecare la volontà dell’imprenditore all’interno della propria organizzazione di mantenere la segretezza, “e così dunque documenti informativi che abbiano circolazione interna (…) indicazioni fornite al personale dei vari reparti in ordine alle modalità di classificazione e conservazione della documentazione”[5];
c) “misure di natura legale (clausole, contratti, accordi di non divulgazione, ecc.)”[6].
IV. – La difesa nel processo.
1. – Qualora l’azione di classe venga promossa, l’impresa dovrà a questo punto difendersi nel processo.
In questa eventualità, come si è visto, la prevenzione, se ben attuata, anche se non sarà valsa a evitare la lite, si rivelerà comunque fondamentale per la difesa dell’impresa.
Infatti la corretta gestione e documentazione dell’attività svolta e dei rapporti avuti con clienti e/o utenti e/o altri soggetti con cui l’impresa sia, direttamente o indirettamente, entrata in contatto, rappresenterà il necessario presupposto per la difesa in giudizio (anche per offrire eventuali prove documentali) e, per evitare, le già ricordate conseguenze derivanti dall’inottemperanza a un ordine di esibizione del giudice.
2. – Tanto premesso, il primo obiettivo a cui la parte resistente deve tendere è la declaratoria di inammissibilità dell’azione di classe di cui all’art. 840-ter, comma 4, c.p.c.
Tale norma, riprendendo il contenuto della formulazione dell’abrogato art. 140 bis del codice del consumo, prevede che la domanda è dichiarata inammissibile:
a) quando la domanda è manifestamente infondata;
b) quando il tribunale non ravvisa omogeneità dei diritti individuali tutelabili ai sensi dell’art. 840-bis;
c) quando il ricorrente versa in stato di conflitto di interessi nei confronti del resistente;
d) quando il ricorrente non appare in grado di curare adeguatamente i diritti individuali omogenei fatti valere in giudizio.
3. – Ai fini dell’interpretazione della disposizione potrà essere di ausilio l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale formatasi con riferimento alla corrispondente norma abrogata del codice del consumo, pur tenendo conto, in particolare, del diverso ambito al quale si riferisce la nuova normativa.
Al riguardo è qui appena il caso di ricordare che la giurisprudenza in tema di art. 140-bis del codice del consumo ha avuto modo di chiarire, ad esempio, quanto segue:
a) quanto alla nozione di “diritti individuali omogenei”, si è ritenuto che “l’omogeneità dei diritti soggettivi al risarcimento del danno fatti valere con l’azione ex art. 140 codice del consumo scaturisce dalla circostanza che essi sorgono da un identico fatto costitutivo, seppur plurioffensivo, e che le questioni che dovranno essere risolte per l’accertamento dell’esistenza del relativo diritto sono le medesime” (Trib. Venezia, 13 novembre 2017, n. 2696, in Diritto & Giustizia, novembre 2017);
b) “nell’azione di classe, la prevalenza di questioni personali relative all’accertamento del risarcimento del danno in capo ai potenziali consumatori aderenti pregiudica l’omogeneità dei diritti individuali e determina l’inammissibilità della domanda” (Trib. Milano, 9 dicembre 2013, in Foro it., 2014, 2, I, 590);
c) “nell’azione di classe l’omogeneità tra i diritti individuali del proponente e dei potenziali aderenti (…) si ravvisa nel caso in cui la fonte del danno sia comune per tutti e la quantificazione del risarcimento appaia effettuabile in base a criteri uniformi” (App. Milano, 3 marzo 2014, in Foro it., 2014, 5, I, 1619).
In ogni caso, i principali punti sui quali valutare di articolare la difesa dell’impresa resistente sono i seguenti: a) incompetenza del tribunale; b) difetto di legittimazione del ricorrente; c) difetto di legittimazione della parte resistente; d) omessa compiuta allegazione degli elementi costitutivi della domanda e, in particolare, degli atti o comportamenti asseritamente lesivi; e) inconfigurabilità di diritti individuali omogenei ovvero della classe; f) esistenza di un conflitto di interessi del ricorrente; g) inadeguatezza del ricorrente a curare i diritti individuali fatti valere (da valutarsi anche sotto il profilo della non corretta e/o completa indicazione degli elementi costitutivi della domanda).
4. – In tutti i casi in cui il tribunale dichiara l’inammissibilità della domanda, il giudice regola le spese (art. 840-ter, u.c., c.p.c.).
La regolazione delle spese, nel silenzio della norma, non potrà che avvenire in base al principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c.
La disposizione, a differenza di quella corrispondente del codice del consumo[7], ora abrogata, non fa riferimento alla possibilità per il giudice di emettere una condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. per lite temeraria.
Tuttavia, a parere di chi scrive, tale mancata previsione non dovrebbe ostare all’applicazione anche nell’azione di classe delle norme di cui all’art. 96 c.p.c., norme che dovrebbero tutelare le imprese, la loro immagine e reputazione commerciale contro gli abusi del processo.
In ogni caso l’applicabilità dell’art. 96 c.p.c. dovrebbe discendere anche quale principio generale dell’ordinamento processuale; al riguardo va, in particolare, ricordato che la Corte Costituzionale ha affermato che la legge che ha introdotto il terzo comma dell’art. 96 c.p.c. ha “voluto elevare (sia pur con alcune varianti) a principio generale il meccanismo processuale predisposto per il procedimento di cassazione, facendolo rifluire in una disciplina valevole per tutti i gradi del giudizio” (Corte Cost., 23 giugno 2016, n. 152) (il riferimento è all’abrogato art. 385, comma 4, c.p.c., che stabiliva che la “la Corte, anche d’ufficio, condanna, altresì la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave”).
Inoltre è ormai consolidato in giurisprudenza il principio generale del divieto di abuso del processo[8].
5. – In quest’ottica, viene in considerazione sia la previsione del primo che quella del terzo comma dell’art. 96 c.p.c.[9]
Nel caso in cui si formuli una domanda ai sensi del primo comma, occorrerà peraltro allegare e provare in modo rigoroso i danni derivanti con nesso causale dalla imprudente o dolosa proposizione dell’azione, pena il rigetto della domanda in quanto indimostrata (con possibile compensazione delle spese di lite, per soccombenza reciproca); diversamente, nel caso di cui al terzo comma, ciò non è necessario, potendo il giudice provvedere anche d’ufficio.
In ogni caso l’applicabilità, pur nel silenzio della norma, dell’art. 96 c.p.c. dovrebbe costituire un deterrente rispetto al promuovimento di azioni abusive e pretestuose.
Infatti i danni reputazionali che un’impresa, soprattutto di rilevanti dimensioni, potrebbe subire a causa di un’iniziativa abusiva potrebbero essere incalcolabili ovvero comunque rilevanti.
V. – Segue.
1. – In ogni caso, particolare attenzione dovrà essere dedicata alla contestazione della narrazione in fatto del ricorso e delle domande degli aderenti, che dovranno essere specificamente contestate.
Diversamente, tali fatti saranno considerati pacifici, cioè non necessitanti di prova (cfr. art. 115 c.p.c. e anche art. 840-octies c.p.c.).
Al riguardo va ricordato che in generale il principio di non contestazione, ora codificato in via generale nell’art. 115 c.p.c:
a) “non opera in difetto di specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati” (Cass., 22 settembre 2017, n.22055);
b) “concerne le sole allegazioni assertive”, e non anche i “documenti” o le “prove assunte” (Cass., 27 giugno 2018, n. 16908 e Cass., 1° febbraio 2019, n.3126);
c) implica che “il convenuto (…) non” possa “limitarsi ad una generica affermazione della infondatezza della pretesa creditoria, ma deve avere ad oggetto i suoi fatti costitutivi, così come emergenti dalle allegazioni dell’attore” (Cass., 28 gennaio 2015, n. 1609).
2. – Nell’ambito di un’azione di classe la contestazione specifica dei fatti potrebbe rivelarsi molto onerosa e/o difficoltosa tenuto conto del numero delle controparti e degli aderenti e del tempo a disposizione.
Tuttavia si tratta di attività ineludibile e fondamentale per la difesa nel processo e che richiede una proficua collaborazione tra il difensore incaricato delle difesa dell’impresa e il legale interno dell’azienda. Al riguardo va ricordato che il legale interno di un’azienda rappresenta una figura preziosa per l’efficiente gestione di ogni contenzioso e, a maggior ragione, di un’azione di classe.
3. – Sempre a proposito della necessaria collaborazione tra il legale esterno e il giurista d’impresa, va considerato che l’art. 840-quinquies, comma 10, c.p.c., nel trattare dell’ordine di esibizione anche di informazioni riservate, precisa che “resta ferma la riservatezza delle comunicazioni tra gli avvocati incaricati di assistere la parte e il cliente stesso”[10].
La precisazione, se (come sembrerebbe) riferita agli avvocati esterni, dovrebbe ritenersi in realtà superflua alla luce degli artt. 118 c.p.c., 200 c.p.p. e 6 della legge professionale forense in tema di segreto professionale e obblighi di riservatezza.
Peraltro, ai sensi dell’art. 6 della legge professionale, l’obbligo del segreto professionale e la tutela della riservatezza riguardano anche lo svolgimento dell’attività stragiudiziale.
Tuttavia l’art. 840-quinquies c.p.c. – che fa riferimento agli “avvocati incaricati di assistere la parte” – è rubricato “procedimento”: si potrebbe, quindi, in ipotesi sostenere che tale riservatezza sarebbe limitata appunto alle “comunicazioni tra gli avvocati incaricati di assistere la parte” nell’ambito del “procedimento”, ossia soltanto in sede giudiziale.
Senonché una tale interpretazione non apparirebbe compatibile con i principi di cui alle predette disposizioni e con il diritto di difesa anche in sede pre-contenziosa funzionale alla difesa in giudizio.
Ad ogni modo, tenuto conto che la norma fa riferimento soltanto agli “avvocati incaricati”, occorrerà comunque la dimostrazione dell’esistenza di un mandato; inoltre, in via prudenziale, quantomeno per la corrispondenza avente contenuti più delicati, sarà opportuno che questa sia intrattenuta direttamente con l’avvocato incaricato, ossia munito di mandato, e non con eventuali altri professionisti che siano coinvolti nella pratica ma, pur appartenenti al medesimo studio, non siano investiti di un incarico formale.
La norma poi sembra assimilare la “parte” al “cliente”, essendo invece nozioni distinte; ad ogni modo, anche a questo riguardo prudenza imporrà di intrattenere la corrispondenza più delicata direttamente con l’organo munito dei relativi poteri di rappresentanza ovvero con il soggetto che abbia ricevuto una valida delega al riguardo[11].
VI.- Conclusioni
In conclusione, se può essere condivisibile in linea generale il fatto di aver superato la categoria del consumatore e reso l’istituto di carattere generale, certamente la nuova normativa imporrà ai potenziali destinatari dell’azione un rinnovamento culturale importante legato sia all’ampliamento dei soggetti legittimati a esperire l’azione di classe e all’ambito oggettivo della tutela, sia alle agevolazioni probatorie previste a vantaggio dei potenziali aventi diritto e alla tutela delle informazioni segrete e riservate; in tale contesto, un ruolo fondamentale potrà essere assunto anche dai responsabili e operatori legali interni all’azienda, ossia dai giuristi d’impresa, quali soggetti esperti del diritto e al contempo conoscitori della realtà e problematiche aziendali, e quindi figure essenziali per la gestione, anzitutto in chiave preventiva, del contenzioso, in collaborazione col legale esterno.
[1] Per i primi commenti alla nuova legge cfr., in particolare, Consolo, La terza generazione di azione di classe fra giuste articolate novità e qualche aporia tecnica, in www.dirittobancario.it; Palmieri, Class Action in G.U.: nuovi orizzonti per la tutela collettiva, in www.quotidianogiuridico.it.
[2] Tale disciplina risulta in parte mutuata dal D.Lgs del 19 gennaio 2017, n. 3 in tema di “risarcimento del danno antitrust” (il quale, mediante rinvio all’art. 140-bis del codice del consumo, prevede anche l’esperibilità di azioni di classe al riguardo): cfr. in particolare, artt. 3 e ss.
[3] Su questo tema cfr. anche Falco-Dell’Isola, Un anno appena per minimizzare i rischi connessi alla nuova class action, in www.diritto24.it.
[4] Bona-Camusso-Oliva-Vercelli, La tutela del Know-how. Diritto industriale, del lavoro, penale e responsabilità civile, Milano, 2012, 57. Cfr., ad esempio, in giurisprudenza: Trib. Bologna, 25 ottobre 2017, in www.dejure.it: “ai sensi dell’art.98 C.P.I., le “informazioni segrete” per essere protette come tali devono avere una serie di connotati tassativi di seguito elencati: 1) che siano soggette al legittimo controllo del detentore, sia esso l’ideatore delle stesse, sia esso colui che è autorizzato ad utilizzarle con il consenso del titolare; 2) che siano segrete: in tal senso non occorre che siano assolutamente inaccessibili, ma è necessario che la loro acquisizione, quando sia possibile, sia soggetta a sforzi non indifferenti, superiori rispetto a quelli che occorrono per effettuare una accurata ricerca; esse devono altresì essere state accumulate con un lavoro intellettuale di progettazione individuale; 3) che abbiano valore economico, in quanto sia stato necessario anche uno sforzo economico per ottenerle, mentre analogo sforzo economico sarebbe stato richiesto presumibilmente per duplicarle; 4) che siano sottoposte a misure di segregazione, con particolare riferimento sia ad una protezione fisica, assicurata da sistemi di protezione adeguati, sia ad una protezione giuridica, assicurata da una informazione adeguata, data ai terzi che vengono in contatto con le informazioni, sul carattere riservato e sulla necessità che venga mantenuto tale”; Trib. Bologna, 27 luglio 2015, in www.dejure.it: “è insufficiente a conferire ai dati aziendali in esame il carattere della segretezza nell’accezione di cui alla lett. c) dell’art. 98 CPI, custodire i disegni tecnici in un personal computer privato, dotato di password ed in uso esclusivo al socio-amministratore e coprogettista, misura non adeguatamente protettiva, in quanto, in primo luogo, le informazioni erano state immesse in un computer privato ed in dotazione esclusiva al socio anziché in un sistema informatico aziendale direttamente gestibile e controllabile dalla società, oltre che sull’operato del medesimo e, segnatamente sull’utilizzo dei dati e delle informazioni in questione, non risulta che la società abbia esercitato alcun controllo, dato specifiche direttive o posto limiti atti a prevenirne un uso abusivo”.
[5] Bona-Camusso-Oliva-Vercelli, op. cit., 57.
[6] Bendandi, La protezione e il controllo delle informazioni segrete aziendali, in www.altalex.com.
[7] Art. 140-bis: “con l’ordinanza di inammissibilita’, il giudice regola le spese, anche ai sensi dell’articolo 96 del codice di procedura civile, e ordina la piu’ opportuna pubblicita’ a cura e spese del soccombente”.
[8] Cfr. per tutte Cass., 11 ottobre 2018, n. 25210, secondo cui “l’abuso del processo ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede, nonché dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha predisposti”.
[9] Art. 96, comma 1, c.p.c.:“Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza”.
Art. 96, comma 3, c.p.c.: “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.
[10] Come si è detto, la formulazione della norma riprende quelle dell’art. 3 del D.Lgs n. 3/2017 in tema di “Risarcimento del danno antitrust”.
[11] La disciplina in esame ripropone il tema del legal privilege dei legali interni di azienda, ossia della tutelabilità in quanto riservate delle comunicazioni intercorse tra l’impresa e il proprio legale interno; tema ampiamente dibattuto, per il quale si rinvia alla letteratura esistente in argomento. Qui è sufficiente ricordare che in ambito antitrust la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che “la giurisprudenza comunitaria e nazionale riconoscono la tutela del legal professional privilege con riferimento alla corrispondenza tra avvocato esterno all’impresa e impresa-cliente (Cons. St., sez. VI, n. 2199/2002). Tale tutela viene invece negata in caso di corrispondenza interna all’impresa. La tutela del legal privilege viene dalla giurisprudenza estesa alle note interne nella misura in cui esse si limitano a riportare il testo o il contenuto di comunicazioni con avvocati indipendenti, esterni all’impresa, comportanti pareri giuridici” (Consiglio di Stato, 24 giugno 2010, n. 4016).