La sentenza in commento prende le mosse da una azione di responsabilità per singoli atti di mala gestio, promossa dalla curatela fallimentare nei confronti degli amministratori di una società fallita. In particolare, la curatela contesta agli amministratori convenuti la stipulazione di diversi contratti. Si contesta specificamente la conclusione di un contratto di leasing immobiliare, relativo ad immobile dove la società (poi dichiarata fallita) svolgeva la propria attività, di contratti di locazione finanziaria, per l’acquisto di beni strumentali all’attività svolta e di un contratto di sublocazione dell’intera struttura, ad altra società neocostituita, prevedendo però, in quest’ultimo caso, un canone insufficiente a coprire le rate relative ai contratti di leasing precedentemente stipulati.
Orbene, il Tribunale esclude che le predette locazioni finanziarie “fossero state negligentemente contrattate in modo particolarmente sfavorevole alla società, o che il piano industriale e finanziario sottostante fosse stato ab origine di impossibile attuazione”.
Il Tribunale giunge invece a diversa conclusione in ordine alla successiva cessione dei beni in sublocazione a favore della società neocostituita, la quale ha così, di fatto, potuto proseguire l’attività della società fallita, a condizioni particolarmente vantaggiose e, soprattutto, senza essere ostacolata dal fardello del passivo e dell’indebitamento ormai insostenibile, che gravava sulla conduttrice poi fallita. E ciò in considerazione del fatto che l’aver sublocato i beni immobili e mobiliricevuti in locazione – rimanendone però debitrice verso le società di leasing – ad un canone mensile eccessivamente inferiore a quello da corrispondere per le avvenute locazioni finanziarie, ha prodotto uno sbilancio finanziario mese per mese crescente e tale da provocare un ulteriore indebitamento. Tale condotta, secondo il Tribunale, configura “un illecito, se non doloso, quantomeno gravemente colposo”.