Il Tribunale di Milano si è pronunciato in materia di azione di responsabilità “diretta” nei confronti degli amministratori, promossa dal socio o dal terzo ai sensi dell’articolo 2395 del Codice Civile, in base al quale: “le disposizioni dei precedenti articoli [in materia di azione sociale di responsabilità e di azione dei creditori sociali] non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori”.
In particolare, in materia di azioni giudiziali volte ad accertare la responsabilità degli amministratori per falsificazione del bilancio d’esercizio, la Sezione specializzata in materia di impresa ha dichiarato che spetta all’attore fornire un “rigoroso riscontro probatorio” volto a dimostrare la lamentata falsità dei dati di bilancio e la conseguente responsabilità degli amministratori. A tale riguardo, la pronuncia in esame ha sottolineato l’irrilevanza probatoria di “dati di bilancio largamente discordanti tra loro in un ristretto arco temporale”, elemento che ingenera un serio sospetto riguardo la correttezza dei dati contabili, ma che è certamente non idoneo a provare la lamentata falsità.
Quanto al (necessario) nesso causale fra condotta e pregiudizio, il Tribunale di Milano ha ribadito che a nulla rilevano le informazioni contenute in un piano industriale, che, per sua natura, viene redatto in ottica prognostica (dunque, sulla scorta di proiezioni su potenziali eventi futuri). Nel caso di specie alcune partecipazioni in altre società erano state fortemente svalutate e, in taluni casi, azzerate, a pochi mesi da un’ottimistica visione prospettica contenuta nel citato piano industriale.
Il giudice milanese si è poi pronunciato in merito alla conversione di un procedimento introdotto con rito sommario in un giudizio regolato dal rito ordinario. Il Tribunale ha dichiarato che nel caso in cui il convenuto, costituendosi in giudizio, introduca delle domande riconvenzionali per cui sia richiesta una decisione collegiale, il giudice istruttore è tenuto a convertire il rito in ordinario. Ciò, in particolare, si rende necessario qualora via sia “connessione forte” (ossia cumulo non separabile) fra la domanda che richieda una pronuncia collegiale e le altre presentate dalle parti in giudizio.