Nell’affermare la compatibilità con le norme comunitarie dell’azione revocatoria esercitata nell’ambito dell’amministrazione straordinaria, questa Corte ha negato ripetutamente qualsiasi rilevanza alla distinzione tra la fase conservativa e la fase liquidatoria della procedura, affermando che, in quanto volta a tutelare in ogni caso gli interessi delle generalità dei creditori, l’azione in esame non è configurabile come aiuto di Stato neppure qualora venga esercitata nella prima fase.
Il fatto: la Corte di Appello di Bologna ha dichiarato inefficace ex art. 67 l. fall. il pagamento effettuato dalla società A, in amministrazione straordinaria, alla società B, che proponeva quindi ricorso in Cassazione.
In particolare, parte ricorrente sostiene che, “in quanto sottrae al fallimento e ammette alla continuazione dell’attività un’impresa dichiarata insolvente, la L. n. 95 del 1979 [sull’amministrazione straordinaria] prevede un aiuto di Stato e deve essere disapplicata per incompatibilità con il diritto comunitario, con la conseguenza dell’inammissibilità dell’azione revocatoria fallimentare esercitata. Lamenta pertanto che i giudici del merito abbiano omesso di considerare la distinzione tra fase conservativa e liquidatoria, essendo l’azione revocatoria esperibile soltanto nella seconda”.
Preliminarmente, per comprendere il carattere innovativo della sentenza in esame, sembra opportuno riepilogare in breve: (i) l’iter normativo della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi; (ii) la compatibilità della suddetta procedura con la normativa comunitaria; (iii) il dibattito giurisprudenziale sviluppatosi in ordine al legittimo (o meno) esercizio – una volta avviata la procedura nei confronti di un’impresa – dell’azione revocatoria fallimentare.
(i) Sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese
Sul finire degli anni settanta cominciarono a verificarsi i primi fallimenti di primarie industrie nazionali. Per far fronte a questa situazione di crisi fu introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (D. L. 26/1979, convertito in L. 95/1979, da ora in seguito anche “Legge Prodi”): una nuova procedura concorsuale gestita dall’autorità amministrativa (la stessa, infatti, era disposta con decreto del Ministro dell’Industria, che provvedeva inoltre ad indicare uno o più commissari), preordinata in primis alla conservazione delle strutture produttive delle imprese “rilevanti a causa delle loro stesse dimensioni rispetto all’interesse pubblico dell’economia generale”[1] e, qualora tale obiettivo non fosse realizzabile, alla attuazione di adeguate forme di liquidazione.
Di riflesso, con riferimento a queste due finalità, la procedura è stata generalmente suddivisa in: (i) una prima – eventuale – fase “conservativa”, durante la quale “tenendo anche conto dell’interesse dei creditori” poteva essere disposta– con decreto ministeriale– “la continuazione dell’esercizio dell’impresa da parte del commissario per un periodo non superiore a due anni, prorogabile non più di due volte”; (ii) una fase “liquidatoria” – successiva alla eventuale fase conservativa, qualora quest’ultima fosse stata disposta dal Ministro – disciplinata dalle norme della liquidazione coatta amministrativa che, come noto, prevedela liquidazione dei beni dell’imprenditore (e successiva ripartizione dell’attivo) al fine della soddisfazione dei creditori, caratterizzandosi anche per una finalità pubblicistica (ad essere tutelato, infatti, è anche l’interesse pubblico legato alla natura o all’attività dell’impresa).
La Legge Prodi è stata successivamente abrogata dal D. Lgs. 270/1999 che, tuttavia, ne ha prorogato la vigenza per le procedure di amministrazione straordinaria in corso a quella data (nel caso in esame, si tratta di una procedura disciplinata ancora dalla previgente legge Prodi).
(ii) Sul rapporto con la normativa comunitaria
La Corte di Giustizia Europea (C-200/97 del 1 dicembre 1998, c.d. caso Ecotrade, e C-295/97 del 17 giugno 1999, c.d. caso Piaggio) e la Commissione Europea (decisione n. 2001/212/Ce del 16 maggio 2000) “censurarono” – in parte – la Legge Prodi (di riflesso il legislatore decise, come già detto, di superare – rectius: abrogare – il D. L. 26/1979); in particolare, si rilevava come alcune disposizioni della predetta legge fossero in contrasto con i divieti, di fonte comunitaria, degli aiuti di Stato, cioè quegli aiuti concessi, sotto qualsiasi forma, mediante risorse statali, che, favorendo talune imprese, falsano il normale regime di concorrenza.
In sintesi (non essendo possibile, nella presente trattazione, illustrare l’ampio dibattito che è susseguito alle “censure europee”[2]), è stato affermato che configurano “aiuto di Stato” – e quindi sono incompatibili con l’ordinamento comunitario – soltanto quelle disposizioni della Legge Prodi che, in concreto, prevedono la concessione di vantaggi specifici e l’attribuzione di risorse pubbliche a favore di beneficiari individuabili[3].
Ciò premesso (quindi esclusa la contrarietà dell’intero D. L. 26/1979 alle norme comunitarie, come parte ricorrente paventa), spetta al giudice nazionale verificare, caso per caso, se siano soddisfatte nell’ambito della specifica procedura di amministrazione straordinaria le condizioni che configurano o meno un “aiuto di Stato”.
(iii) Sulla revocatoria fallimentare nell’amministrazione straordinaria (e sulla sua eventuale contrarietà alla normativa comunitaria): la decisione della Cassazione
Come noto, l’azione revocatoria ex art. 67 l. fall. può essere proposta nel corso della procedura di amministrazione straordinaria poiché l’art. 1 della Legge Prodi rimanda agli artt. 195 ss. della legge fallimentare che regolano la liquidazione coatta amministrativa (i quali prevedono l’applicabilità, tra gli altri, dell’art. 67 l. fall.).
Nel caso in esame, la Corte doveva stabilire se la revocatoria fallimentare esperita nel corso della amministrazione straordinaria è compatibile con la normativa comunitaria (in materia di aiuti di Stato) ove la stessa venga esercitata nella fase conservativa della procedura (cioè quando si è in un periodo di prosecuzione dell’attività di impresa).
Per maggiore chiarezza, pare utile sin d’ora far presente che un orientamento giurisprudenziale[4] non ritiene esperibile la revocatoria fallimentare nella fase c.d. conservativa della procedura di amministrazione straordinaria, in quanto, tra l’altro, la stessa non sarebbe compatibile con le disposizioni comunitarie in materia di “aiuti di Stato”. Difatti, l’esercizio dell’azione revocatoria nella fase conservativa – cioè quando l’impresa continua ancora la sua attività economica e non è posta in liquidazione – permetterebbe una sorta di “finanziamento” a carico dei soggetti revocati e in favore dello stesso debitore; quest’ultimo recupererebbe delle risorse economiche finalizzate unicamente alla conservazione delle proprio complesso aziendale, avvantaggiandosi rispetto alle imprese “avversarie” (ciò a discapito della libera concorrenza nel mercato). Invece, la revocatoria esercitata nella fase liquidatoria (cioè quando l’impresa non opera più sul mercato, e si procede alla “vendita” dei suoi beni) non comporta – ovviamente – alcuna lesione della libera concorrenza del mercato; l’azione, in questo caso, ha la medesima funzione di quella esercitata in sede fallimentare (soddisfare gli interessi dei creditori).
La Corte si contrappone al citato orientamento giurisprudenziale e, conformemente a una precedente (ma isolata) decisione[5]: (i) nega “qualsiasi distinzione tra fase conservativa e fase liquidatoria della procedura”, in quanto la finalità del risanamento (“conservazione”) e quella satisfattiva (interesse dei creditori ad essere soddisfatti) non corrispondono a “due distinti periodi della procedura, potendo le attività di liquidazione e ripartizione dell’attivo essere svolte anche durante la prosecuzione dell’esercizio dell’impresa”[6]; (ii) non ritiene qualificabile come aiuto di Stato l’esercizio della revocatoria – nel periodo in cui è disposta la continuazione dell’attività d’impresa – in quanto l’azione ex art. 67 legge fallimentare “è preordinata […], anche a produrre risorse da destinare alla soddisfazione dei creditori, il cui interesse costituisce comunque il fine della procedura”.
Provando a riassumere il ragionamento della Corte: non appare veritiero che la continuazione dell’attività d’impresa – eventualmente disposta con decreto ministeriale – sia finalizzata soltanto alla conservazione dei complessi produttivi; invece, la procedura – sia quando è disposta la continuazione dell’attività d’impresa, sia quando si procede alla liquidazione dei beni – appare preordinata “in ogni caso” a tutelare gli interessi della generalità dei creditori.
Di riflesso, l’azione ex art. 67 l. fall. nella amministrazione straordinaria consente il recupero di risorse da destinare alla soddisfazione dei creditori (e non invece – soltanto – a “finanziare” l’impresa, causando così una lesione della libera concorrenza nel mercato). Pertanto, l’esercizio dell’azione revocatoria, anche quando l’impresa opera ancora nel mercato, non può considerarsi in contrasto con la normativa comunitaria in materia di “aiuti di Stato”.
Per concludere: il principio enunciato dalla Corte, anche se ormai sono esigui i casi in cui trova applicazione la (ormai abrogata) legge Prodi, permette una rivisitazione – in un’ottica critica – dell’opposto (e citato) orientamento giurisprudenziale, aprendo così a nuove interpretazioni in ordine alla finalità della procedura di amministrazione straordinaria e all’esercizio dell’azione revocatoria nel contesto della stessa.
[1] Cosi si esprimeva la Relazione illustrativa alD. L. 26/1979.
[2] Per una disanima degli orientamenti giurisprudenziali in materia si può fare riferimento a Jeantet, “Legge Prodi”: aiuto di stato integrale ed effettivo ovvero parziale e potenziale? Il dibattito prosegue, in Giurisprudenza Commerciale, 2003, 351 ss.
[3] In tal senso v. Cass. Civ. 5561/2004, rinvenibile su www.ilcaso.it; Cass. Civ. 5241/2003, rinvenibile su www.italgiure.giustizia.it. Si sono tuttavia registrate anche opinioni contrarie che, considerato in sé e per sé il D. L. 26/1979 un aiuto di Stato, lo hanno disapplicato in toto; si veda, ex multis, Lamanna, Incompatibilità tra il «regime di aiuti di stato» introdotto dall’ex «legge prodi» e la normativa comunitaria: disapplicazione ed effetti conseguenti, commento a Trib. Padova 28.6.2002, in Il Fallimento, n. 6/2003, 645 ss.
[4] Cass. Civ. 21083/05, rinvenibile suwww.italgiure.giustizia.it; Cass. Civ. 4206/15, in www.ilcaso.it. V. anche Tarantino, Si all’azione revocatoria durante il procedimento di amministrazione straordinaria, ma solo nella fase liquidatoria, in commento a Cass. Civ. 227876/2013, in Diritto e Giustizia, 2013, 1701 ss. Per una sintesi sul dibattito giurisprudenziale v. De Cesari, Amministrazione straordinaria, Aiuti di Stato – revocatoria: la Cassazione torna a distinguere tra fase conservativa e liquidatoria, in Il Fallimento, n. 10/2006, 1168 ss. Si faccia riferimento inoltre a Cass. Civ. 11519/1996, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata,n. 4/1997, con nota adesiva di Ponti; Cass. Civ. 12396/2003, Cass. Civ. 6192/2005, entrambe rinvenibili su www.italgiure.giustizia.it; Cass. Civ. 8539/2000, in Foro Italiano, 2001, I, 1302 ss.; Trib. Brescia 22.4.2004., inLa Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n. 6/2005, 843 ss., con nota di Pasini. Oltre alla compatibilità con la normativa comunitaria della revocatoria nel corso della procedura di amministrazione straordinaria, in alcune decisioni si è ribadito che l’azione revocatoria può essere esercitata solo nella fase c.d. liquidatoria della procedura, perché sussisterebbe un’incompatibilità logica e di fatto tra fase c.d. conservativa (che è finalizzata al mantenimento “in vita” dell’impresa) e azione revocatoria fallimentare che, invece, è ispirata a finalità “recuperatorie” a vantaggio dei creditori, e quindi estranee alla fase conservativa dell’amministrazione straordinaria.
[5] Cass. Civ. 21823/2005, in Il Fallimento, n. 7/2006, 779 ss., con nota di Cataldo.
[6] Il ragionamento della Corte tiene anche conto di esigenze di “certezza” e “stabilità” nei rapporti economici tra imprese. Infatti – correttamente – la decisione evidenza che: (i) non è agevoleindividuare il momento in cui dalla fase conservativa si “passa” alla fase liquidatoria; quindi, ipotizzare una netta distinzione tra le due fasi non consente di “soddisfare le esigenze di stabilità delle situazioni giuridiche sottese alla delimitazione normativa del c.d. periodo sospetto” della revocatoria fallimentare (cioè sarebbe incerto il giorno dal quale far decorrere i termini previsti dall’art. 67 legge fallimentare per individuare gli “atti” revocabili); (ii) il richiamo alla disciplina della liquidazione coatta amministrativa implica invece che la decorrenza del periodo sospetto deve essere ricollegata al momento della dichiarazione d’insolvenza, e non invece al momento di “transito” tra la fase conservativa e liquidatoria che, come detto, non è di facile individuazione.