Nella sentenza in esame, l’acquirente di un immobile contro il quale il curatore del fallimento della società venditrice aveva promosso azione revocatoria ex art. 67, primo comma, l.fall., sostenendo che l’acquisto fosse stato compiuto (i) nel biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento e (ii) con una sproporzione tra il prezzo corrisposto e il valore rilevato al momento della conclusione del contratto, ha sollevato due questioni di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 67 l.fall. nella parte in cui prevede che le disposizioni del comma 1, lettere a) e b), si applicano soltanto alle azioni proposte nell’ambito di procedure iniziate dopo l’entrata in vigore del decreto stesso, cioè aperte dopo il 17 marzo 2005,in rapporto agli artt. 3, 42 comma 2 e 3, 10 e 117 Cost., nonché dell’art. 1 del Protocollo Addizionale alla CEDU, ritenendo che la non applicazione della novella integrerebbe una ipotesi espropriativa senza il presupposto dell’utilità pubblica.
La Suprema Corte, rigettando il ricorso presentato dall’acquirente dell’immobile, ha dichiarato l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale affermando che, in caso di successione di leggi nel tempo (anche mediante interventi di novellazione di disposizione normative), al fine di determinare quale disciplina applicare, occorre tener conto del momento in cui prende avvio la procedura fallimentare; con riferimento alla rilevanza dell’utilità sociale, invece, ha affermato che rientra nella discrezionalità del legislatore bilanciare la negativa incidenza sul mercato con l’utilità sociale correlata al sano e corretto funzionamento del mercato stesso e con la parità di trattamento di tutti i creditori in presenza della crisi dell’impresa debitrice.
Quanto, poi, ai presupposti per esercitare l’azione revocatoria fallimentare, i giudici di legittimità hanno confermato il proprio orientamento in merito al periodo temporale dal quale far decorrere i termini per l’esercizio dell’azione revocatoria, ossia dall’atto traslativo finale e non dagli atti preparatori.
Infine, nel caso in esame, la Suprema Corte chiarisce, ancora una volta, il principio di diritto relativo all’onere probatorio della inscientia decoctionis affermando che “al fine di vincere la presunzione semplice di conoscenza dello statod’insolvenza posta dal primo comma dell’art. 67 della leggefallimentare a favore del curatore, l’onere della provacontraria gravante sul convenuto in revocatoria non hacontenuto meramente negativo, equivalente alla mancanza della prova positiva della conoscenza, e non può quindiessere assolto con la mera dimostrazione dell’assenza dicircostanze idonee ad evidenziare lo stato d’insolvenza,occorrendo invece la positiva dimostrazione che, nelmomento in cui è stato posto in essere l’atto revocabile,sussistessero circostanze tali da fare ritenere ad unapersona di ordinaria prudenza ed avvedutezza chel’imprenditore si trovava in una situazione normale diesercizio dell’impresa, e tale prova deve essere ancora piùrigorosa quando le circostanze rivelino una accentuata“anormalità” dell’atto di disposizione patrimoniale oggettodella revocatoria”(Cass. Civ. 10432/2005; Corte Cost. 110/1995).