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Giurisprudenza

Azione revocatoria ordinaria esercitata dalla curatela fallimentare: onere della prova e presupposti

12 Giugno 2018

Carolina Gentile, praticante notaio presso Zabban, Notari, Rampolla & Associati, dottoranda in Impresa, Lavoro e Istituzioni presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore Milano

Cassazione Civile, Sez. I, 28 febbraio 2018, n. 4728 – Pres. Didone, Rel. Pazzi

Di cosa si parla in questo articolo

In tema di azione revocatoria ordinaria, non è richiesta – a fondamento dell’azione – la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito. L’onore di provare l’insussistenza di un simile rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, incombe sul convenuto che eccepisca, per questo motivo, la mancanza dell’eventusdamni (Cass. Sez. II, n. 1902/2015).

La regola generale appena espressa non trova, però, applicazione nel caso in cui l’azione pauliana venga esercitata dal fallimento, non solo perché il curatore rappresenta contemporaneamente sia la massa dei creditori che il debitore fallito, ma anche in ragione del principio della vicinanza della prova. In questo caso, quindi, l’onere di dimostrare che il patrimonio residuo era sufficiente a soddisfare le ragioni dei creditori non può essere posto a carico del convenuto, beneficiario dell’atto impugnato, il quale non è tenuto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale del suo dante causa (Cass. Sez. I, n. 8931/2013). Il curatore fallimentare, ove promuova l’azione revocatoria ordinaria, deve perciò dimostrare, sotto il profilo dell’eventusdamni, la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito, la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole e lo svantaggioso mutamento, qualitativo o quantitativo, del patrimonio del debitore per effetto di tale atto. All’esito dell’assolvimento di questo onere probatorio l’evenutsdamni potrà ritenersi sussistente ove risulti che per effetto dell’atto pregiudizievole sia divenuta oggettivamente più difficoltosa l’esazione del credito, in misura che ecceda la normale e fisiologica esposizione di un imprenditore verso i propri creditori (Cass. Sez. II, 26331/2008).

L’atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una modificazione qualitativa di esso, soprattutto in caso di monetizzazione dell’intero patrimonio immobiliare dell’imprenditore, poiché la sostituzione di un immobile con il denaro derivante dalla compravendita comporta di per sé una rilevante modifica qualitativa della garanzia patrimoniale, in considerazione della maggiore facilità di cessione del denaro (Cass. Civ. Sez. III, n. 1896/2012).

Il presupposto soggettivo dell’azione revocatoria promossa nei confronti di società di capitali non conosce criteri differenziati di valutazione dello stato di scienza o di ignoranza dello stato d’insolvenza, che, pertanto, nel caso delle persone giuridiche, si identificano normalmente in quelli delle persone fisiche che ne hanno la rappresentanza in virtù del nesso organico (Cass. Sez. I, 5106/2012; Cass. Sez. II, 23685/2014).

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