Con la sentenza n. 20844/2015, il Tribunale di Roma chiarisce che la circostanza per cui, in base al terzo comma dell’art. 2476 c.c., a ciascun socio sia attribuita la titolarità dell’esercizio dell’azione sociale non significa che la società, quale titolare del diritto al risarcimento del danno, non sia legittimata all’esercizio dell’azione in questione. Al contrario, il socio agisce sostituto processuale, in nome proprio ma nell’interesse della società, la quale è e rimane titolare del diritto al risarcimento del danno sofferto a causa della condotta di mala gestio del proprio amministratore e, pertanto, è altresì pienamente legittimata ad agire per il relativo risarcimento.
Sempre in tema di risarcibilità del danno derivante dalla mala gestio dell’amministratore, il Tribunale ricorda che spetta alla parte attrice allegare l’inadempimento – da parte dell’amministratore – degli obblighi a lui imposti dalla legge e/o dall’atto costitutivo e/o dal generale obbligo di vigilanza e di intervento preventivo o successivo volto ad evitare pregiudizi per la società: si tratta di una diligenza desumibile in relazione alla natura dell’incarico ed alle specifiche competenze, ossia quella speciale diligenza prevista ex art. 1176 c.c., secondo comma c.c. per il professionista. Inoltre, parte attrice è altresì tenuta ad allegare e provare l’esistenza di un danno attuale e concreto, cioè il depauperamento del patrimonio sociale. In difetto di tale allegazione e prova, come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, la domanda risarcitoria sarebbe priva di oggetto (cfr. inter alia Cass. 5960/2005).
Incombe viceversa sugli amministratori l’onere di dimostrare l’inesistenza del danno ovvero la non imputabilità del fatto dannoso, provando l’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (cfr. Cass. 22911/2010).
A riguardo, occorre peraltro richiamare il principio di matrice statunitense, ma avvallato anche dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiane, della business judgmenet rule, il quale sancisce l’insindacabilità delle scelte gestionali degli amministratori di società di capitali. Il Tribunale sottolinea, infatti, che l’inadempimento, da parte degli amministratori di società di capitali, degli obblighi imposti loro dalla legge o dall’atto costitutivo non può essere desunto da una scelta di gestione, ma dalle modalità con cui questa è stata compiuta: in altri termini, solo l’omissione, da parte dell’amministratore, delle cautele e delle verifiche ovvero dell’assunzione delle necessarie informazioni preliminari al compimento dell’atto gestorio può configurare violazione dell’obbligazione di fonte legale in questione.