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Giurisprudenza

Bancarotta: anche il giudice dell’esecuzione può rideterminare la durata delle pene accessorie

24 Marzo 2020

Enrico Pezzi, dottore di ricerca in Studi Giuridici Comparati ed Europei, curriculum di diritto e procedura penale e filosofia del diritto, Università di Trento

Cassazione Penale, Sez. I, 03 dicembre 2019, n. 3290 – Pres. Mazzei, Rel. Boni

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Con la presente pronuncia la Cassazione ritiene “consentito anche al giudice dell’esecuzione di procedere alla nuova determinazione della durata delle pene accessorie, previste dalla l. fall. art. 216 u.c., quando siano state inflitte in misura pari a dieci anni e sia richiesto di adeguarle al nuovo testo della norma come risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018, che prevede una durata variabile con il solo limite massimo insuperabile di dieci anni”.

La sentenza in commento si inscrive nel solco della più recente giurisprudenza in tema di automatismi sanzionatori, ed in particolare della sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 216 l. fall., nella parte in cui prevedeva la durata fissa, pari a dieci anni, delle pene accessorie, e non variabile, fino a dieci anni (C. cost., 05 dicembre 2018, n. 222, con nota di Bartoli, Dalle “rime obbligate” alla discrezionalità: consacrata la svolta, in Giur. cost., 6/2018, 2566).

Sul punto la Prima Sezione evidenzia che risultava ancora insoluta la questione della possibilità, per il giudice dell’esecuzione, di rideterminare o meno la durata della pena accessoria precedentemente stabilita, con statuizione passata in giudicato, in misura fissa ed invariabile di dieci anni, nell’ambito dell’incidente esecutivo. Nel fornire soluzione positiva al quesito, gli Ermellini procedono ad una parziale rivisitazione di un precedente indirizzo delle Sezioni Unite, secondo il quale l’intervento del giudice dell’esecuzione sulle pene accessorie è riconosciuto solo ove non implichi valutazioni discrezionali in ordine alla loro specie e durata, non essendo pertanto consentiti interventi manipolatori del giudicato per la rideterminazione, in base all’art. 133 c.p., della pena accessoria. (Sez. Un., 02 febbraio 2015, n. 6240, con nota di Costantini, L’intervento in executivis per erronea applicazione di una pena accessoria tra principio di legalità e intangibilità del giudicato: la decisione delle Sezioni Unite, in Cass. Pen., 7-8/2015, 2578).

Questo parziale revirement è giustificato dal Collegio facendo ricorso alla giurisprudenza di legittimità che ha dichiarato l’incostituzionalità del trattamento sanzionatorio degli illeciti concernenti le sostanze stupefacenti, che confermano la possibilità per il giudice dell’esecuzione di adeguare la pena precedentemente inflitta in via discrezionale, per riportarla a legalità, con il solo limite dell’obbligo di conformazione agli accertamenti effettuati in fase di cognizione e del mancato esaurimento del rapporto esecutivo (così Sez. Un., 29 maggio 2014, n. 42858; Sez. Un., 26 febbraio 2015, n. 33040).

 

Sotto questo punto di vista, la finalità di garantire la proporzione anche sul terreno delle pene accessorie deve trovare realizzazione, nelle ipotesi di modificazione degli estremi edittali della sanzione ad opera del legislatore o della Consulta, mediante una riqualificazione della stessa da attuarsi in via postuma rispetto al giudicato già formatosi; ossia, in definitiva, nella fase dell’esecuzione. Tale assunto, in conclusione del ragionamento, trova conferma nella ampia formulazione dell’art. 676 c.p.p., il quale non contiene alcuna limitazione sulle attribuzioni decisorie del giudice dell’esecuzione in materia di pene accessorie, così legittimando qualsiasi tipo di statuizione, anche di eliminazione o di modifica della precedente pronuncia già intervenuta sul punto (Della Noce, Rideterminazione della durata delle pene accessorie da parte del giudice dell’esecuzione, in Dir. Gius., 19/2020, 5).

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