In tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti. (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015 – dep. 2016, Aucello, Rv. 267710; Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014, Ghirardelli, Rv. 262740). Infatti il mancato rinvenimento all’atto di dichiarazione di fallimento di beni o valori societari costituisce valida presunzione della loro dolosa distrazione, a condizione che sia accertata la previa disponibilità, da parte dell’imputato, di detti beni o attività nella loro esatta dimensione e al di fuori di qualsivoglia presunzione (Sez. 5, n. 35882 del 17/06/2010, De Angelis, Rv. 248425).
Sulla base di tale principio la Suprema Corte ha riconosciuto nel caso di specie la sussistenza del reato del reato di bancarotta fraudolenta ex art. 216, comma 1, L.F. essendo stata accertata, nei precedenti gradi di giudizio, la mancanza di un considerevole quantitativo di merce senza che ne fosse stata dimostrata la relativa destinazione e senza che ne fosse stata data debita rappresentazione nelle scritture contabili.