La Cassazione Penale (sentenza 13 settembre 2012 n. 35244) ha affermato il principio secondo cui, in tema di bancarotta c.d. impropria da reato societario (nel caso di specie, false comunicazioni sociali), la configurabilità della particolare fattispecie di bancarotta fraudolenta prevista dall’art. 223, comma secondo, n. 1, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, in rapporto agli artt. 2621 e 2622 cod.civ., nel testo riformulato dall’art. 4 del D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, presuppone, oltre all’esistenza del nesso causale tra condotta e dissesto, anche il superamento delle soglie di punibilità previste dal nuovo reato di false comunicazioni sociali, come modificato dall’art. 1 dello stesso D.Lgs. n. 61/2002.
In mancanza dell’accertamento delle “soglie”, conclude la Cassazione, la condotta richiamata nel reato di bancarotta con riferimento alle false comunicazioni sociali sarebbe penalmente indifferente. Né, in senso contrario potrebbe valere la osservazione che il richiamo contenuto nell’art. 223 I. fall., ai “fatti” previsti dall’art. 2621 cc prescinderebbe dall’accertamento delle soglie quantomeno dopo la riforma intervenuta con I. 28 dicembre 2005 n. 262 che ha previsto, comunque, la sanzione amministrativa per la fattispecie sottratta alla punibilità penale, sottraendola all’area della “indifferenza” dal punto di vista sanzionatorio. Invero, non potrebbe non obiettarsi che trattandosi di una novella capace, in via interpretativa, di fai/ritenere integrato il reato fallimentare che, in base al precedente stato normativo, era invece ritenuto, dalla citata giurisprudenza, insussistente, la stessa non potrebbe trovare operatività in relazione ai fatti, quali quello in esame, commesso nel 2003 e quindi antecedentemente.