Mediante la sentenza de qua la Corte di Cassazione ha confermato il proprio orientamento in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione e ha altresì precisato i presupposti di applicazione dell’aggravante del «danno patrimoniale di rilevante gravità» di cui all’art. 219, comma 1, l. fall.
Nel caso di specie, l’imputato era stato ritenuto responsabile in primo grado – con sentenza poi confermata dalla Corte territoriale – del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva di cui al combinato disposto degli artt. 216, comma 1, n. 1 e 223, comma 1, l. fall. per la condotta consistita nella sovrafatturazione con restituzione al terzo di parte del prezzo da quest’ultimo pagato. In sede di condanna, era stata inoltre ritenuta applicabile la circostanza aggravante di cui all’art. 219 l. fall.
In ordine alla configurazione del reato, la Suprema Corte ha ribadito il proprio orientamento per cui anche il temporaneo ingresso nel patrimonio della società fallita di denaro che, in forza di un patto illecito, venga restituito al dante causa, determina un incremento del patrimonio che espande le garanzie dei creditori, con la conseguenza che la predetta restituzione costituisce un atto ingiustificato idoneo ad integrare la condotta di distrazione rilevante ai sensi dell’art. 216, comma 1, n. 1, l. fall. Coerentemente, ad avviso della Corte non può invece sussistere distrazione laddove alla fatturazione per operazioni inesistenti non seguano l’effettivo pagamento e la conseguente restituzione delle somme ricevute. In forza di ciò, la Suprema Corte ha pertanto confermato il proprio consolidato indirizzo secondo cui “è configurabile il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione quando il denaro oggetto della condotta è pervenuto alla società, poi dichiarata fallita, con sistemi illeciti, e conserva la sua tracciabilità, perché lo stesso, in quanto bene fungibile, si confonde con il patrimonio del fallito, è oggetto dello spossessamento previsto dall’art. 42 l. fall. e, in relazione a tale res, l’originario titolare può vantare esclusivamente un diritto di credito azionabile a norma degli artt. 93 e ss. l. fall.” (cfr. Cassazione Penale, Sez. V, 15 maggio 2014, n. 24051; Cassazione Penale, Sez. V, 27 settembre 2013, n. 8373).
Con riguardo all’applicazione della circostanza aggravante del «danno patrimoniale di rilevante gravità», la Suprema Corte ha precisato come ricorrano gli estremi dell’aggravante in questione solo qualora la “rilevante gravità” del danno riguardi, cumulativamente, tanto l’entità dei beni o delle somme distratte quanto la diminuzione patrimoniale a danno dei creditori della società fallita. Nella specie, la Corte ha quindi chiarito che “la circostanza aggravante del «danno patrimoniale di rilevante gravità» di cui all’art. 219, comma 1, legge fall. si configura solo se ad un fatto di bancarotta di rilevante gravità, quanto al valore dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale, corrisponda un danno patrimoniale per i creditori che, complessivamente considerato, sia di entità altrettanto grave” (cfr. Cassazione Penale, Sez. V, 10 luglio 2017, n. 48203).