Nella pronuncia in esame la Cassazione si è pronunciata, tra le altre cose, in merito ai presupposti per la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione a carico di amministratori di diritto e di fatto di società di capitali appartenenti ad un gruppo, riaffermando principi consolidati nella giurisprudenza della stessa Suprema Corte.
In primo luogo, con riferimento ai finanziamenti concessi dalla società fallita in favore delle altre società del gruppo (legate da reciproci rapporti fideiussori) e astrattamente produttivi di interessi attivi, la Suprema Corte ha ribadito che «la natura distrattiva di un’operazione infra-gruppo può essere esclusa in presenza di vantaggi compensativi che riequilibrino gli effetti immediatamente negativi per la società fallita e neutralizzino gli svantaggi per i creditori della stessa». In tal senso- osserva la Corte – gli interessi attivi «sostanzialmente “figurativi”» generati dai finanziamenti infragruppo non integrano vantaggi compensativi, anche solo al fine di escludere il dolo dell’imputato, posto peraltro che questi era perfettamente consapevole della situazione in cui versavano le società destinatarie dei finanziamenti e della prospettiva solo virtuale del conseguimento degli interessi o della conservazione del relativo credito.
In secondo luogo, la Suprema Corte – sul presupposto che amministratori di diritto e di fatto possano concorrere attivamente nella gestione – ha richiamato il consolidato orientamento secondo cui «l’amministratore di diritto risponde in concorso con l’amministratore di fatto anche quando risulti aver avuto solo generica consapevolezza che quest’ultimo abbia posto in essere condotte depauperative del patrimonio sociale, senza che sia necessario provare che egli sia stato consapevole di tutti i singoli investire i singoli episodi nei quali l’azione dell’amministratore di fatto si è estrinsecata».
Inoltre, con riferimento all’ipotesi di gestione extracontabile dei fondi della società fallita da parte degli amministratori,la Suprema Corte ha ribadito che, in caso di mancato rinvenimento dei cespiti da parte della procedura fallimentare,la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte degli amministratori stessi, della loro utilizzazione per finalità sociali; tale sorta di “inversione dell’onere della prova” trova giustificazione nella responsabilità del gestore per la conservazione della garanzia patrimoniale nei confronti dei creditori.
Da ultimo, la Cassazione ha ricordato che il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione non presuppone la sussistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il dissesto della società, atteso che assumono rilevanza penale le condotte distrattive abbiano cagionato «il depauperamento dell’impresa destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività», in qualunque tempo commessi. Pertanto, «ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato, non è richiesta la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte».