Nel caso in esame, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato dagli imputati avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino con la quale è stata confermata la condanna già emessa dal dal G.U.P. del Tribunale di Torino nei confronti dei predetti imputati per i reati di bancarotta distrattiva ed operazioni dolose dirette a cagionare il fallimento, aggravati dal danno di rilevante entità e dalla pluralità di condotte.
La Suprema Corte, richiamando l’orientamento consolidato dalla giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che è inammissibile il ricorso per cassazione che solleciti il giudice di legittimità a una rivalutazione o ad una diretta interpretazione dei frammenti probatori o indiziari offerti al medesimo giudice, anziché al controllo sulle modalità con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica della interpretazione che ne è stata fornita.
Secondo la Suprema Corte, il sindacato di legittimità va sollecitato sul “prodotto dell’ingegno” e non sul pure e semplice “materiale probatorio” e, pertanto, una volta indicati gli elementi probatori, il giudice di legittimità deve chiarire la ragione e sulla base di quali elementi sia stata elaborata una determinata ipotesi costruttiva e per quale ragione ne siano state scartate altre.
Ne consegue che, se si ipotizza un vizio dell’apparato motivazionale, alla Suprema Corte può essere chiesto un mero giudizio di congruità logica sulla interpretazione che del materiale probatorio e indiziario è stato fatto dai giudicanti.