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Attualità

Bozza della Legge di Stabilità 2017: le principali misure fiscali

28 Ottobre 2016

Alessandro Giannelli, Dottore di ricerca in diritto tributario, Studio Pirola Pennuto Zei e Ass.

Di cosa si parla in questo articolo

Benché non siano ancora noti i tempi dell’esame parlamentare della legge di stabilità 2017, il testo in bozza che ha iniziato a circolare in questi giorni contiene alcuni importanti interventi in materia fiscale. In particolare, tra le principali novità sono annoverate misure in tema di IVA di gruppo, A.C.E., rivalutazione delle partecipazioni, terreni e beni d’impresa e di assegnazioni, cessioni e trasformazioni agevolate brevemente illustrate nel proseguo.

Iva di gruppo

L’art. 6 della bozza di legge di stabilità per il 2017 introduce il lungamente atteso regime del “gruppo IVA” con efficacia a partire dal 1° gennaio 2018, a condizione, tuttavia, che venga ottenuto il placet comunitario ai sensi dell’art. 11 della Direttiva 2006/112/CE.

La disciplina del “gruppo IVA” non sostituisce ma si affianca a quella della liquidazione IVA di gruppo prevista dall’art. 73 del D.p.R. n. 633/72 da cui si differenzia in primis per l’importante novità di attribuire – sul modello di altre esperienze europee – piena soggettività IVA al “gruppo”; conseguentemente, le operazioni realizzate tra i partecipanti al “gruppo” non sono più considerate cessioni di beni o prestazioni di servizi agli effetti dell’IVA, mentre le operazioni verso, e da, il “gruppo” con controparti non partecipanti ad esso sono considerate, rispettivamente, eseguite a carico ovvero a favore del “gruppo”.

Il regime in esame si differenza dalla disciplina dell’IVA di gruppo anche in relazione alle condizioni di accesso. Il primo comma del nuovo art. 70-bis prevede, infatti, che l’opzione per il gruppo IVA potrà essere esercitata da soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato esercenti attività d’impresa, arte o professione per i quali ricorrano congiuntamente i vincoli “finanziario”, “economico” e “organizzativo”, così come definiti dal successivo art. 70-ter.

In particolare, il vincolo finanziario sussiste, quando, ai sensi dell’articolo 2359 del Codice civile e almeno dal 1° luglio dell’anno solare precedente, fra i soggetti che possono accedere al regime esiste, direttamente o indirettamente, un rapporto di controllo ovvero quando detti soggetti sono controllati, direttamente o indirettamente, dal medesimo soggetto, purché residente nel territorio dello Stato ovvero in uno Stato con il quale l’Italia ha stipulato un accordo che assicura un effettivo scambio di informazioni.

Viceversa, il vincolo economico sussiste quando tra i soggetti interessati a partecipare al Gruppo vi sia una forma di cooperazione economica o come svolgimento di un’attività principale dello stesso genere, o come svolgimento di attività complementari o interdipendenti ovvero come svolgimento di attività che avvantaggiano, pienamente o sostanzialmente, uno o più dei soggetti partecipanti.

Il vincolo organizzativo sussiste, invece, quando tra i partecipanti vi è un coordinamento o nella forma della direzione e coordinamento ai sensi del codice civile ovvero quando vi è coordinamento fra gli organi decisionali degli stessi (ed anche tale coordinamento sia svolto da un altro soggetto). Sul punto è però bene segnalare che ai sensi del comma 4 del predetto art. 70-ter i vincoli di tipo economico ed organizzativo si presumo sussistenti, salvo prova contraria, ove sia soddisfatto il vincolo finanziario.

In ogni caso va osservato che, infine, non possono mai partecipare a un gruppo IVA le sedi e le stabili organizzazioni situate all’estero, i soggetti la cui azienda sia sottoposta a sequestro giudiziario, i soggetti sottoposti a una procedura concorsuale, i soggetti posti in liquidazione ordinaria.

Quanto alle modalità di esercizio dell’opzione per il gruppo IVA, la nuova disciplina prevede che l’adesione debba essere espressa mediante opzione da parte di tutti i soggetti che intendono parteciparvi ed avrà effetto, previo invio telematico, già a partire dall’anno solare successivo se il relativo invio si perfeziona tra il 1° gennaio e il 30 settembre, mentre avrà effetto – come per la liquidazione IVA di gruppo – dal secondo anno solare successivo qualora l’invio sia effettuato tra il 1° ottobre ed il 31 dicembre. Similmente a quanto accade per il consolidato fiscale, la nuova opzione per il gruppo IVA ha durata triennale salvo revoca espressa; tuttavia, diversamente dal consolidato, l’opzione in esame se non revocata si rinnova automaticamente per ciascun anno successivo.

Modifiche alla disciplina IVA delle note di variazione

L’art. 26 del D.p.R. n. 633/72 subisce ulteriori modifiche con specifico riferimento alla disciplina applicabile ai casi in cui vengano meno in tutto o in parte delle operazioni precedentemente assoggettate ad imposta per effetto di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del medesimo decreto, pubblicato nel registro delle imprese. L’art. 76 della bozza di legge di stabilità prevede, infatti, l’abrogazione, tra gli altri, del comma 4 dell’art. 26 che, come noto, per effetto delle modifiche recate dalla legge di stabilità 2016 (L. 208/2015) consentiva al cedente o prestatore di emettere la nota di variazione ai sensi del comma 2 dell’art. 26 a partire dalla data in cui il cessionario o committente risultava assoggettato ad una delle suddette procedure o accordi stragiudiziali. Coerentemente a tale approccio, il comma 1 dell’art. 76 della bozza di legge di stabilità modifica anche il comma 2 dell’art. 26 (ri)portandolo sostanzialmente alla versione formulata dall’art. 31, comma 1, D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 che, tuttavia, lasciava del tutto imprecisato il momento a partire dal quale poteva essere emessa la suddetta nota di variazione. Si tratta, evidentemente, di un ritorno al passato che rischia di riproporre questioni e problemi che sembravano – finalmente – superati[1].

Razionalizzazione dell’Aiuto alla crescita economica – ACE

Il comma 4 dell’art. 73 della bozza in esame prevede delle importanti modifiche alla disciplina ACE recata dall’art. 1 del D.L. n. 201/2011 – talune anche con efficacia già a partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016.

In particolare, salta immediatamente agli occhi una drastica riduzione del rendimento nozionale attribuito al capitale proprio rilevante per la deduzione ACE. Infatti, per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2017 l’aliquota percentuale del citato rendimento nozionale viene portata al 2,3%, mentre “a regime” si prevede un’aliquota del 2,7%.

Sul punto val la pena di osservare che diversamente dalla previgente formulazione del comma 3 dell’art. 1 del D.L. n. 201/2011, l’aliquota “a regime” è ora direttamente individuata dal legislatore, mentre in precedenza si rinviava ad un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. Tale novità non appare priva di conseguenze in quanto, pur volendo vederci un effetto positivo in termini di certezza e stabilità dei rapporti giuridici, ciò non toglie che così disponendo sarà più difficile, o comunque esposto a maggiori lungaggini, ogni eventuale “ritocco” della suddetta percentuale, anche al solo fine di adeguarla al futuro trend dell’economia; rischio che in un certo senso non sembrava affliggere la norma previgente laddove si prevedeva non solo la fissazione dell’aliquota con un procedimento indubbiamente più snello, ossia mediante decreto del Ministero dell’economica e delle finanze, mentre ora occorrerà una modifica legislativa, ma soprattutto si prevedeva espressamente il dovere di aggiornare annualmente l’aliquota del rendimento nozionale – visto che il decreto era “da emanare entro il 31 gennaio di ogni anno” – e, in aggiunta, proprio allo scopo di “tene[re]conto dei rendimenti finanziari medi dei titoli obbligazionari pubblici, aumentabili di ulteriori tre punti percentuali a titolo di compensazione del maggior rischio”.

Altra importante novità è rappresentata dalla stretta antielusiva operante su titoli e valori mobiliari; nel corpus dell’art. 1 del D.L. n. 201/2011 viene, infatti, inserito il comma 6-bis secondo cui “per i soggetti diversi dalle banche e dalle imprese di assicurazione la variazione in aumento del capitale proprio non ha effetto fino a concorrenza dell’incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010”. La disposizione riecheggia la formulazione dell’art. 2, D.Lgs. 466/1997 sulla DIT e non sembrerebbe avere effetti sugli incrementi di capitale proprio utilizzati per l’acquisto di azioni o quote di società target. Ciò dovrebbe evitare un “effetto boomerang” sulle operazioni di acquisizione, rispetto alle quali anche l’Agenzia delle Entrate aveva in precedenza implicitamente sdoganato la fruibilità del beneficio ACE[2]. Sul punto va però osservato che il comma 3 dell’art. 73 della bozza di legge in commento ha esteso anche alle eccedenze ACE di cui al comma 4 dell’art. 1 del D.L. n. 201/2011 la disciplina antielusiva prevista dal comma 7 dell’art. 172 del Tuir e del comma 10 dell’art. 173, Tuir in tema di riporto delle perdite pregresse ed eccedenze di interessi passivi indeducibili[3]. Con la stessa logica, il medesimo comma 3 ha esteso anche al riporto delle predette eccedenze di ACE la limitazione prevista dall’art. 84, comma 3, Tuir in relazione al riporto delle perdite pregresse e degli interessi passivi in caso di cessione della maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nelle assemblee ordinarie del soggetto che ha diritto al riporto e di modifica dell’attività da questo svolta intervenuta nel medesimo periodo in cui la suddetta partecipazione è stata trasferita o nei sue successivi ovvero anteriori – fatte salve, naturalmente, le esclusioni prevista alla lett. b) del comma 3 dell’art. 84.

È opportuno anche evidenziare come il comma 4 abbia previsto l’abrogazione del cd. “super-ACE” di cui al comma 2-bis, D.l. n. 201/2011. La previsione prevedeva una maggiorazione del 40% della base ACE per le società le cui azioni sono quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di Stati membri della UE o appartenenti allo Spazio economico europeo.

L’ultimo comma dell’art. 73 in commento ha stabilito che l’acconto per il periodo d’imposta 2017 dovrà essere determinato, con riferimento all’imposta del periodo precedente (2016), considerando quella che sarebbe stata l’imposta teorica per lo stesso periodo (2016) applicando le previsioni innovate dal comma 4.

Quanto alla decorrenza delle predette modifiche normative in tema Ace, occorre rilevare che ai sensi del comma 5, dell’art. 73 citato, le suddette disposizioni recanti la stretta anti-elusiva sugli investimenti in titoli e azioni, si applicano – in deroga espressa allo Statuto dei diritto dei contribuenti (L. 212/2000) – a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 2015, ossia già a partire dal 2016.

Proroga della rideterminazione del valore di acquisto dei terreni e delle partecipazioni nonché della rivalutazione dei beni d’impresa

L’art. 74 della bozza di legge di bilancio prevede una serie di disposizioni che consentono la riapertura dei termini per la rivalutazione dei terreni e delle partecipazioni posseduti non in regime d’impresa e la possibilità di rivalutare i beni d’impresa concedendo, anche in deroga all’art. 2426 c.c., l’iscrizione in bilancio dei maggiori valori derivanti dalla rivalutazione.

Nello specifico, il primo comma dell’articolo 74, modificando l’art. 2, comma 2 del Decreto legge 24 dicembre 2002, n. 282, ha confermato, anche per il 2017, la possibilità di rideterminare i valori di acquisto dei terreni e delle partecipazioni possedute, al di fuori del regime d’impresa, alla data del 1° gennaio 2017. Si tratta in particolare di una disciplina facoltativa, a suo tempo introdotta dagli artt. 5 e 7 della L. 448 del 2001 e prorogata di anno in anno, che consente un risparmio fiscale nel caso di cessione del bene rivalutato, in quanto aumentando il valore fiscale del bene si riduce l’eventuale plusvalenza.

Per fruire di tale beneficio, il comma 2 dell’art. 74 prevede il versamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con aliquota dell’8% da corrispondere, sia ai fini della rivalutazione dei terreni sia con riferimento alla rideterminazione del valore delle partecipazioni, entro il 30 giugno 2017. Sul punto, va segnalato, che ai sensi dell’art. 2, comma 2, del Decreto legge 24 dicembre 2002, n. 282, l’imposta sostitutiva può essere rateizzata fino ad un massimo di 3 rate annuali di pari importo con l’aggiunta degli interessi nella misura del 3% annuo.

Riguardo la rivalutazione dei beni d’impresa, l’art. 74, commi 3-11, ripropone la disciplina speciale della rivalutazione dei beni di impresa già prevista dalla Legge di stabilità 2016. Inoltre, come avvenuto in passato per altri provvedimenti di rivalutazione, anche la bozza di legge in esame richiama i principali aspetti delle disposizioni previste dalla Legge 21 novembre 2000, n. 342[4].

In base alla norma citata, i soggetti indicati dall’art. 73, comma 1, lett. a) e b), del Tuir (ad esempio, le società per azioni e quelle a responsabilità limitata residenti nel territorio dello Stato), in deroga a quanto previsto dall’art. 2426c.c., possono rivalutare i beni d’impresa risultanti dal bilancio d’esercizio in corso al 31 dicembre 2015 – con la sola esclusione dei beni immobili destinati alla vendita o scambio.

La rivalutazione dovrà essere eseguita nel bilancio dell’esercizio successivo a quello precedentemente indicato, e comporta l’applicazione dell’imposta sostitutiva, diversificata tra beni ammortizzabili (16%) e non ammortizzabili (12%): il corrispondente importo dovrà essere versato entro il termine di pagamento a saldo dell’imposte sui redditi relative al periodo d’imposta per il quale è stata eseguita la rivalutazione. È, inoltre, possibile procedere all’affrancamento della relativa riserva da rivalutazione[5], previo pagamento del tributo sostitutivo del 10%, anch’esso in una sola rata entro il termine precedentemente indicato.

Al riguardo, appare opportuno segnalare che ai fini fiscali i maggiori valori iscritti in bilancio a seguito della rivalutazione dei beni d’impresa sono riconosciuti, per effetto del comma 6, dell’art. 74, “a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata eseguita” ovvero, dall’esercizio chiuso al 31 dicembre 2019, per i soggetti solari. Tuttavia, con riferimento alla determinazione delle plusvalenze e delle minusvalenze, in virtù del disposto di cui al comma 7 dell’art. 74, il valore rivalutato assume efficacia a decorrere dal quarto esercizio successivo a quello nel cui bilancio la rivalutazione è stata eseguita (ovvero, dall’esercizio chiuso al 31 dicembre 2020, per i soggetti solari). Limitatamente ai beni immobili, invece, il comma 10 dell’art. 74 prevede il riconoscimento agli effetti fiscali dei maggiori valori iscritti in bilancio “dal periodo d’imposta in corso alla data del 1 dicembre 2018”.

Riapertura dei termini in tema di assegnazione o cessione di taluni beni ai soci e di estromissione dei beni immobili dal patrimonio dell’impresa da parte dell’imprenditore individuale

L’art. 75 della bozza di legge di bilancio 2017 ha previsto la riapertura dei termini per accedere all’assegnazione/cessione agevolata dei beni ai soci nonché per escludere i beni immobili dal patrimonio aziendale di un imprenditore individuale.

Si tratta di disposizioni agevolative che vengono riproposte tel quel rispetto alla loro introduzione con la precedente L. 28 dicembre 2015, n. 208 (“Legge di stabilità 2016”) con il semplice differimento dei termini a disposizione dei contribuenti ai fini della loro eventuale fruizione.

In estrema sintesi, l’art. 1, commi da 115 a 120, L. n. 208/2015 dispone l’applicazione di un’imposta sostitutiva nella misura dell’8% (o del 10,5% nel caso di società considerate non operative) sulle plusvalenze emerse a seguito di un’assegnazione o una cessione di beni non strumentali ai soci e sui plusvalori latenti attribuiti agli stessi beni in conseguenza di una trasformazione omogenea regressiva che dia origine ad una società semplice.

Le medesime condizioni di vantaggio sono riconosciute all’imprenditore individuale che voglia escludere un bene immobile strumentale dal patrimonio della propria impresa.

In aggiunta, occorre notare come il regime de qua stabilisca previsioni di favore anche sul fronte delle imposte d’atto. Qualora applicabili, infatti, l’aliquota dell’imposta di registro verrebbe ridotta alla metà di quella ordinariamente prevista e le ipo-catastali sarebbero dovute nella misura fissa di 50 o 200 Euro cadauna.

Il regime sostitutivo delle imposte sui redditi (Ires ed Irpef) e dell’Irap appena tratteggiato è rivolto a tutti i soggetti che elettivamente svolgono un’attività commerciale ai sensi dell’art. 55, D.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir). In particolare, il comma 115 dell’art. 1, L. n. 208/2015 si riferisce alle “società in nome collettivo, in accomandita semplice, a responsabilità limitata, per azioni e in accomandita per azioni”. Il successivo comma 121 dispone l’applicazione della disciplina anche per “l’imprenditore individuale”.

Le operazioni interessate sono l’assegnazione/cessione ai soci di beni immobili non strumentali, diversi dunque da quelli di cui all’art. 43, co. 2 del Tuir, e di beni mobili registrati, anch’essi non strumentali rispetto all’attività d’impresa, effettuate entro il 30 settembre 2017.

La norma si rivolge in tal senso anche all’ipotesi della trasformazione in società semplice della persona giuridica che ha “per oggetto esclusivo o principale la gestione dei predetti beni” posta in essere entro la medesima data del 30 settembre 2017.

Il comma 121 prevede, quindi, la facoltà per l’imprenditore individuale di escludere dal patrimonio aziendale entro il termine del 31 maggio 2017 (e con efficacia a decorrere dal 1° gennaio dello stesso anno), e alle condizioni di vantaggio appena esposte, gli immobili strumentali di cui all’art. 43, co. 2, Tuir.

La base imponibile dell’imposta sostitutiva è in via generale determinata dalla differenza tra il valore normale dei beni assegnati, ceduti o posseduti dalla società trasformanda e il loro costo fiscalmente riconosciuto. Per i beni immobili vi è poi l’opportunità di definire la base imponibile ricorrendo al metodo del “prezzo-valore” di cui al comma 4 dell’art. 52, D.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 (Tur) ovverosia maggiorando le rendite catastali con criteri e modalità previste dalla legge.

L’aliquota è ordinariamente prevista nella misura dell’8% ma nel caso in cui la società interessata risulti non operativa ai sensi e per gli effetti dell’art. 30, L. 23 dicembre 1994, n. 724 viene elevata al 10,5%. Alle “riserve in sospensione d’imposta annullate per effetto dell’assegnazione dei beni ai soci e quelle delle società che si trasformano sono assoggettate ad imposta sostitutiva nella misura del 13 per cento”.

I versamenti dell’imposta sostitutiva de qua verranno effettuati in forma rateale: il 60% del totale dovuto entro la scadenza del 30 novembre 2017 e la restante parte entro il 16 giugno 2018.

 


[1] Sul punto si ricorda, ad es., che ad avviso dell’Agenzia delle Entrate (Ris. n. 120/2009) “nell’ipotesi di procedure concorsuali, affinché il cedente conservi il diritto ad emettere la nota di variazione, è tuttavia necessario che lo stesso si sia insinuato al passivo del fallimento prima di aver ceduto il credito. Diversamente l’originario cedente/prestatore non avrebbe più alcun titolo a disposizione per insinuarsi nel fallimento del debitore e per emettere, quindi, alla chiusura del fallimento la nota di variazione. È necessario, altresì, che il cedente rimanga parte processuale del fallimento, ossia che non vi sia estromissione del medesimo da parte del cessionario”.

[2] Cfr. Agenzia delle Entrate, circolare 6/2016, p. 34

[3] Dal tenore letterale di tale disposizione risulterebbe che l’applicazione del comma 7 dell’art. 172 e del comma 10 dell’art. 173 riguardi solo le eccedenze di deduzione ACE non fruita per incapienza del reddito e non anche le eccedenze di base ACE non utilizzate per mancato superato del limite del patrimonio netto di cui all’art. 11 del D.M. 14 marzo 2012.

[4] In particolare l’art. 74, comma 9 della bozza di Legge di stabilità 2017 rimanda espressamente, in quanto compatibili, alle seguenti disposizioni:

– artt. 11, 13, 14 e 15 della Legge n. 342/2000;

– D.M. 13 aprile 2001, n. 162, emanato in attuazione della disciplina di rivalutazione prevista dalla suddetta legge;

– D.M. 19 aprile 2002, n. 86, emanato in attuazione della Legge n. 448/2001 avente ad oggetto la disciplina di rivalutazione dei beni di impresa secondo le medesime disposizioni della Legge n. 342/2000, ma con effetti fiscali differiti;

– art. 1, commi 475, 477 e 478 della Legge n. 311/2004.

[5] La riserva esposta in bilancio a seguito dell’iscrizione dei maggiori valori, ai sensi dell’art. 74, co. 3-11, della bozza di legge, è soggetta alla disciplina prevista dall’art. 13,L. 342/2000, secondo cui il saldo attivo risultante dalla rivalutazione deve essere imputato al capitale sociale oppure accantonato in un’apposita riserva, designata con riferimento alle suddette disposizioni della bozza di legge, con esclusione di ogni diversa utilizzazione. Sotto il profilo tributario, il saldo attivo di rivalutazione costituisce una riserva in sospensione d’imposta, suscettibile di dare luogo a tassazione in caso di distribuzione, salvo il caso in cui l’impresa abbia correttamente proceduto all’affrancamento della riserva, come meglio illustrato nel prosieguo, oppure l’impresa si trovi in contabilità semplificata (CC.MM. 11/E/2009 e 18/E/2006)

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