Il caso concerne una società di diritto inglese che svolgeva attività bancaria in Italia per mezzo di una stabile organizzazione. Non disponendo del fondo di dotazione prescritto da Bankitalia per le banche residenti, l’Agenzia delle Entrate considerava deducibili soltanto gli interessi passivi maturati sull’ammontare del finanziamento concesso da casa madre alla SO eccedente il capitale figurativo e la quota delle perdite su crediti parametrata alla percentuale di reddito dichiarato dalla SO in Italia.
La Suprema Corte ha richiamato il Commentario OCSE, per il quale la stabile organizzazione deve essere dotata “di una struttura patrimoniale appropriata sia per l’impresa, sia per le funzioni che esercita. Per tali ragioni, il divieto di dedurre le spese connesse ai finanziamenti interni (ossia quelli che costituiscono mere attribuzioni di risorse proprie della casa madre) dovrebbe continuare ad applicarsi in via generale”.
È dunque da reputarsi legittima l’azione accertatrice dell’Amministrazione finanziaria che, conformandosi al canone giuridico per il quale, in ogni Stato, vanno tassati gli utili che si ritiene che la “SO” avrebbe conseguito se avesse assunto la configurazione di un’impresa distinta, svolgente attività identica o analoga, in condizioni identiche o analoghe, e in piena indipendenza dalla “casa madre”, ai fini del calcolo del reddito imponibile, ha quantificato il capitale figurativo congruo della branch correlandolo agli indici di capitalizzazione delle banche italiane e all’entità dei finanziamenti erogati.
Pertanto, in presenza di una branch bancaria sottocapitalizzata, la deducibilità dei componenti negativi, secondo i criteri dettati dall’art. 109, TUIR, impone di adottare dei correttivi individuando un “fondo di dotazione figurativo”, con riferimento al quantum degli interessi passivi deducibili, e un “patrimonio di vigilanza” anch’esso figurativo ed ipotetico, con riferimento al quantum delle “perdite” imputabili, rispettivamente, alla “SO” e alla “casa madre”.