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Attualità

Brevi note sulla fiscalità dei conferimenti in società di opere e collezioni d’arte

18 Marzo 2019

Gabriele Giusti, Dottore di ricerca in diritto tributario, Tinelli & Associati – Studio legale tributario

Di cosa si parla in questo articolo

1. Il regime fiscale della circolazione delle opere d’arte ha suscitato, negli ultimi anni, l’interesse degli operatori, anche a causa della scarsa attenzione che ad esso è stata riservata dal legislatore. Ciò anche perché il mercato dell’arte, (specie nella fascia elevata), sembra non conoscere crisi, e va assumendo caratteristiche sempre più “professionali”, tanto che oggi la circolazione delle opere può avvenire non soltanto mediante cessioni a titolo oneroso, ma anche attraverso l’utilizzo di veicoli societari. Per tali ragioni, certamente utile si rivela un’indagine sui riflessi fiscali del conferimento in società di opere e collezioni d’arte.

Come noto, l’art. 9, comma 5, del TUIR, assimila alle cessioni onerose i conferimenti e gli apporti in società, per i quali si considera corrispettivo conseguito il valore normale dei beni conferiti (che viene a costituire anche il valore fiscalmente riconosciuto del bene per il conferitario). Per tali ragioni, il regime fiscale dei conferimenti in società di opere e collezioni d’arte può essere ricostruito proprio partendo dall’esame del trattamento tributario riservato alle plusvalenze derivanti dalla cessione di tali beni. Così, va ricordato cheun’opera d’arte può essere ceduta sia nell’ambito di un’attività commerciale, sia nell’ambito di un’attività di collezionismo, il che dovrebbe implicare un differente trattamento dei proventi conseguiti in dipendenza dell’alienazione[1].

Se, infatti, non sembrano esservi dubbi sull’imponibilità dei proventi conseguiti a seguito della cessione di un’opera perfezionata nell’esercizio di un’attività commerciale, trattandosi, evidentemente, di componenti positivi di reddito d’impresa da assoggettare a tassazione secondo le modalità ordinarie, più di una perplessità solleva, nel contesto del D.P.R. n. 917/1986, il trattamento da riservare alle plusvalenze derivanti da cessioni di opere d’arte che si inseriscano nell’ambito di un’attività di collezionismo.

L’attuale Testo Unico non ha, difatti, riproposto, tra le disposizioni oggi vigenti, il contenuto dell’art. 76 del previgente D.P.R. n. 597/1973, il quale, al primo comma, disponeva che “Le plusvalenze conseguite mediante operazioni poste in essere con fini speculativi e non rientranti fra i redditi d’impresa concorrono alla formazione del reddito complessivo per il periodo d’imposta in cui le operazioni si sono concluse”, includendo, tra le operazioni speculative per presunzione assoluta, “l’acquisto e la vendita di oggetti d’arte, di antiquariato o in genere da collezione, se il periodo intercorrente tra l’acquisto e la vendita non è superiore a due anni”. L’art. 67, comma primo, lett. i) del TUIR oggi vigente si limita, infatti, ad includere tra i redditi diversi, “i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente”.

Ci si chiede, pertanto, in quali casi, nell’attuale contesto normativo, le plusvalenze derivanti dalla cessione (o dal conferimento) di opere d’arte possano reputarsi imponibili anche per i collezionisti, ossia per coloro che operano sul mercato dell’arte per scopi estranei all’esercizio di un’attività d’impresa.

2. Nella giurisprudenza di legittimità si possono segnalare sia pronunce che hanno confermato l’imponibilità delle plusvalenze derivanti dalla cessione di opere d’arte[2], sia pronunce che hanno disposto l’annullamento dei recuperi erariali all’esito di una più accurata indagine, sostanzialmente volta a ravvisare l’esercizio di un’attività commerciale (peraltro non necessariamente “occasionale”) da parte del cedente.

Così, si è ad esempio optato per la non imponibilità della plusvalenza derivante dalla cessione di un’auto d’epoca, essendosi ritenuto che il semplice atto traslativo del diritto a titolo oneroso non fosse sufficiente ad integrare la nozione di “attività” commerciale, sia pure occasionale. In tale occasione si è, infatti, considerato che la predetta nozione implica necessariamente il riscontro di una stretta correlazione tra l’atto di acquisto e l’atto di vendita, ovvero il compimento di una serie di atti intermedi volti ad incrementare il valore del bene destinato alla cessione[3].

Più di recente la giurisprudenza di merito ha, invece, escluso la ricorrenza di un’attività d’impresa nella vendita on line di bottiglie “mignon” di un pregiato liquore, all’esito di una rapida (ma accurata) analisi delle differenze ravvisabili tra la figura del “mercante d’arte” e la figura del “collezionista”. In questo caso sono state valorizzate, a sostegno della tesi del contribuente, l’esiguità delle operazioni realizzate e la destinazione delle stesse ad una ristretta cerchia di collezionisti piuttosto che al mercato[4]. Una ancor più recente sentenza ha, infine, ritenuto non imponibili i proventi derivanti da una cessione (ancorché in blocco), di una collezione, per mancanza di finalità lucrative, essendosi dimostrato che la cessione era stata motivata da esigenze economiche personali del contribuente[5].

La più recente giurisprudenza, insomma, sembra aver escluso la rilevanza fiscale della cessione occasionale di opere o collezioni d’arte, non ravvisando, nei casi sottoposti al proprio scrutinio, la ricorrenza di un “intento speculativo” del cedente. In tal modo, si è tentato di tracciare una linea di confine tra la figura del “mercante d’arte” e la figura del “collezionista”, che, a differenza del primo, investe in opere d’arte per finalità estranee all’esercizio dell’impresa. Tra le due, nondimeno, sembra residuare spazio per una terza figura, rappresentata dallo “speculatore occasionale”, ossia da chi, pur non operando in via abituale come “mercante d’arte”, acquisti e rivenda una o più opere al fine di trarne un guadagno, sia pure in via “occasionale”. In tali casi, sembra difficile escludere a priori la rilevanza fiscale della plusvalenza ai sensi dell’art. 67, comma primo, lett. i) del TUIR, richiedendosi, invece, un’accurata indagine sulla ricorrenza di elementi fattuali che possano confermare la presenza di un “intento speculativo” del cedente, da escludere, in via di principio, soltanto nel caso in cui l’opera d’arte sia pervenuta all’alienante attraverso un atto di acquisto a titolo gratuito (ad esempio per successione o per donazione).

3. In questo contesto, vengono ad inquadrarsi anche i conferimenti in società di opere e collezioni d’arte, ai quali paiono, come detto, potersi estendere le considerazioni sin qui espresse per le cessioni a titolo oneroso. Per tali ragioni, l’imponibilità della plusvalenza risultante dalla differenza tra il valore normale dell’opera conferita ed il costo fiscalmente riconosciuto dovrebbe, in linea teorica, dipendere, per un cedente non imprenditore, dall’accertata ricorrenza di un “intento speculativo”. Tuttavia, considerato che, rispetto ad una cessione onerosa, il conferimento non consente l’immediato conseguimento di un lucro, l’esistenza di un intento speculativo pare, in tal caso, se non del tutto da escludere, comunque concretamente ben più difficile da dimostrare.



[1] Sul regime fiscale della cessione di opere d’arte si consenta il rinvio a E. Tito, G. Giusti, Sono tassabili le plusvalenze da cessione occasionale di opere d’arte, in Corr. trib., 2016, 3666 ss.

[2] Cass., sez. trib., 8 febbraio 2008, n. 3039; Cass., sez. trib., 21 marzo 2008, n. 7760 e 7761; Cass., sez. trib., 31 marzo 2008, n. 8196, 8198, 8199 e 8200.

[3] Così, invece, Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21776.

[4] In tal senso cfr. Comm. trib. reg. Firenze, Sez. XXXI, 9 maggio 2016, n. 826; Comm. trib. reg. Palermo, Sez. XXIX, 13 gennaio 2012, n. 2. Sul punto cfr. A. Gatto, I redditi da cessione di oggetti da collezione, in Rass. trib., 2017, 828 ss.

[5] Così Comm. trib. reg. Piemonte, Sez. III, 11 giugno 2018, n. 1412. Per un commento A. Vannini, F. Di Cesare, I recenti orientamenti della giurisprudenza di merito in tema di compravendita di opere d’arte, in www.dirittobancario.it dell’8 febbraio 2019.

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