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Attualità

Brexit: l’ESMA interviene per fornire precisazioni in tema di derivati, MiFID II/MiFIR Benchmark Regulation

14 Marzo 2019

Avv. Vincenzo La Malfa, Partner, Dott. Filippo Giacumbo, Trainee Lawyer, DLA Piper

Di cosa si parla in questo articolo

Il 29 marzo prossimo il Regno Unito potrebbe abbandonare ufficialmente l’Unione Europea. Mente perdurano le incertezze circa le concrete modalità attuative del suddetto procedimento di uscita l’ESMA ha dato il via ad una serie di attività finalizzate ad arginare le potenziali conseguenze negative derivanti dal fenomeno della Brexit. Il 7 marzo scorso l’ESMA ha infatti pubblicato un public statement[1] finalizzato a fornire alcuni chiarimenti circa l’approccio che essa adotterà, nel caso di una Brexit senza accordo (no-deal), nei confronti di alcuni aspetti dell’operatività in derivati e di altre attività per come disciplinati dalla Direttiva 2014/65 UE[2] (“MiFID II”).

Tale documento trova la sua collocazione in una più ampia serie di iniziative intraprese dalle autorità europee volte a mitigare gli eventuali effetti dannosi per la stabilità derivanti dal fenomeno Brexit, cui vanno ad aggiungersi ulteriori iniziative intraprese (o pronte per essere intraprese) dai vari governi nazionali di taluni paesi (incluso il medesimo Regno Unito e l’Italia) per limitare gli effetti potenzialmente dannosi della Brexit.

Il documento ESMA analizza una serie di argomenti sui quali definisce l’approccio regolamentare dell’Autorità per il caso di Brexit senza accordo tra le parti né periodi transitori.

1) I derivati su prodotti energetici e la possibilità di sfruttare il c.d. “Remit carve-out

L’Allegato I, Sezione C della MiFID II fornisce un’elencazione delle tipologie di strumenti finanziari. Tra questi vi sono tre classi di derivati su merci individuati sulla base delle caratteristiche minime indicate ai punti 5), 6) e 7) della Sezione C.

Risultano esclusi dal novero degli strumenti finanziari derivati i prodotti energetici che presentino le seguenti tre caratteristiche:

  1. si qualifichino come prodotti energetici all’ingrosso (wholesale energy products);
  2. siano negoziati su un OTF (Organised Trading Facility); e
  3. prevedano come necessaria la consegna fisica del sottostante.

A questo proposito, si tenga presente che il Regolamento 1227/2011 UE (“REMIT”)[3], identifica i prodotti energetici all’ingrosso (wholesale energy products) nelle seguenti categorie contrattuali, indipendentemente dal luogo e dalla modalità di negoziazione:

  • contratti per la fornitura di energia elettrica o di gas naturale, qualora la consegna avvenga nell’Unione;
  • derivati riguardanti l’energia elettrica o il gas naturale prodotti, commercializzati o consegnati nell’Unione;
  • i contratti relativi al trasporto di energia elettrica o di gas naturale nell’Unione;
  • i derivati relativi al trasporto di energia elettrica o di gas naturale nell’Unione.

A giudizio dell’ESMA un no-deal Brexit risulterebbe destinato ad avere un impatto principalmente nell’individuazione “geografica” dell’attività posta in essere su prodotti energetici, che non essendo più rivolti alla commercializzazione, alla consegna e/o al trasporto in senso all’Unione Europea potrebbero perdere la loro caratteristica di prodotti esentati dal novero di strumenti finanziari.

Siffatta conclusione, comunque, presenta alcune eccezioni: si pensi, a titolo meramente esemplificativo, al caso in cui gas naturale di provenienza del Regno Unito sia scambiato tramite una piattaforma di spot trading localizzata all’interno dei confini dell’Unione Europea post Brexit (cd. UE 27). In tal caso i contratti derivati afferenti al gas naturale “inglese” continuerebbero ad essere qualificabili come prodotti energetici all’ingrosso grazie ad un’altra previsione del REMIT (art. 2, par. 4 REMIT) e quindi potrebbero seguitare a beneficiare dell’esenzione di cui all’Allegato I, Sezione C, n. 6) della MiFID II.

Dunque, in virtù di quanto precede, un contratto derivato, che non rientri più nel campo di applicazione del REMIT carve-out, potrebbe essere ricondotto nella categoria degli strumenti finanziari derivati, con serie conseguenze in termini di operatività e di compliance per tutti gli operatori industriali che non intendano operare sui mercati finanziari.

La suddetta conclusione sta portando gli operatori del mercato energetico all’ingrosso ad effettuare verifiche ed analisi volte ad accertare se e come possa essere impattata la propria operatività qualora lo scenario sopradescritto dovesse verificarsi.

È ovvio come il ricondurre a partire dalla data di Brexit nel novero degli strumenti finanziari prodotti che fino al 28 marzo 2019 non lo erano (in forza di una specifica esenzione normativa) creerebbe scompiglio negli operatori del mercato energetico che, anche a seguito di MiFID II e di REMIT, avevano delineato il proprio modello di business in un ambiente “non finanziario”, seppur ad alto tasso di regolamentazione.

2) Obblighi in materia di trading sui derivati

Di minor rilievo, seppur sempre di un certo impatto, sembrerebbero le conseguenze di un no-deal Brexit sugli obblighi previsti dall’art. 28 del Regolamento 600/2014 UE (“MiFIR”)[4].

Tale norma dispone che le “controparti finanziarie” (FCs) (per come definite dall’art. 2, par. 8, del Regolamento 684/2012 UE, “EMIR”)[5] nonché le controparti non finanziarie che soddisfino determinati requisiti (NFC+) siano tenute a concludere determinate operazioni in derivati esclusivamente per il tramite di:

  • mercati regolamentati (RM);
  • sistemi multilaterali di negoziazione (MTF);
  • sistemi organizzati di negoziazione (OTF);
  • sedi di negoziazione, anche di paesi terzi (third-country trading venue), a condizione che la Commissione Europea abbia adottato una decisione di equivalenza ai sensi del par. 4 dello stesso art. 28 MiFIR e che il paese terzo in questione sia dotato di un sistema effettivo ed equivalente per il riconoscimento delle sedi di negoziazione autorizzate.

Occorre chiedersi quali siano le classi di strumenti derivati sottoposti al suddetto obbligo. Tali strumenti derivati sono identificati dalle tabelle allegate al Regolamento Delegato 2017/2417 UE e si sostanziano in particolari fixed-to-float interest rate swap (denominati in euro, dollari e sterline inglesi) ed in due tipologie di credit default swap index.

Ciò chiarito, l’ESMA nel public statement prende atto del fatto che allo stato attuale la maggior parte delle trading venue che consentono l’esecuzione delle operazioni in strumenti finanziari sottoposte all’obbligo ex art. 28 MiFIR sono attualmente dislocate nel Regno Unito[6].

Al momento, l’ESMA ritiene che non vi siano indizi e/o indicazioni per ritenere che gli operatori di mercato non saranno più in grado, qualora si concretizzasse lo scenario diunno-deal Brexit, di continuare a soddisfare le obbligazioni su di essi gravanti in conseguenza dell’art. 28 MiFIR ed in assenza di una decisione da parte della Commissione Europea che affermi l’equivalenza delle sedi di negoziazione del Regno Unito. In sostanza, la previsione dell’ESMA è che si arrivi in brevissimo tempo (se non nello stesso giorno della Brexit) ad una pronuncia di equivalenza rispetto alle trading venue del Regno Unito, ovvero ad un celere riconoscimento delle succursali dislocate nella UE delle sedi di negoziazione inglesi.

3) Informativa post-negoziazione e limiti all’assunzione di posizioni in derivati su commodities

A partire dalla data di Brexit, le operazioni in derivati concluse tramite trading venue del Regno Unito saranno da considerarsi come operazioni over-the-counter (OTC) e saranno assoggettate al regime informativo post-negoziazione delineato dagli articoli 20 e 21 MiFIR.

Sotto questo profilo, al fine di evitare il cd. double-reporting e l’inclusione dei contratti derivati su commodity negoziati tramite di third county trading venues per quanto riguarda il regime dei limiti di posizione sui derivati su merci di cui alla MiFiD II, l’ESMA già nel 2017 aveva rilasciato due distinte opinions:

a) nella prima opinion[7] si affermava che solo una third-country trading facility che soddisfacesse i seguenti criteri potrebbe essere considerata come una trading venue ai sensi del regime sui limiti di posizione delineato da MiFID II; in tal senso la trading venue dovrebbe:

  • operare come sistema multilaterale di negoziazione;
  • essere soggetta ad autorizzazione in conformità con quadro legislativo e regolamentare del paese terzo rilevante; ed infine
  • essere sottoposta alla supervisione costante, in accordo con il quadro legislativo e regolamentare del paese terzo di riferimento, da parte della competente autorità che sia firmataria dell’ IOSCO Multilateral Memorandum of Understanding concerning Consultation and Cooperation and the Exchange of Information (MMoU)[8].

Parimenti, nella stessa opinion si è affermato che non vi è l’obbligo per le imprese d’investimento che concludano operazioni in derivati per il tramite di trading venues aventi le suddette caratteristiche di rendere pubbliche tali operazioni tramite un APA.

b) Nella seconda opinion[9], invece, si è ulteriormente chiarito che i contratti derivati su commodity negoziati per il tramite di sedi di negoziazione di paesi terzi (che soddisfino i requisiti di cui alla precedente lett. a)) non possano essere considerati come contratti equivalenti over-the-counter ai fini del regime di limite di posizione ex MiFID II.

Si tenga presente che allo stato attuale, poiché il Regno Unito è ancor uno Stato Membro dell’Unione, l’ESMA non ha ancora proceduto a valutare alcuna trading venue inglese assumendo come parametro i criteri riportati nelle due sopra menzionate opinions.

È plausibile ritenere, tuttavia, che tale valutazione potrà essere effettuata al momento della vera e propria uscita del Regno Unito dall’Unione e non si vedono motivi rilevanti che possano portare l’ESMA a negare tale riconoscimento di equivalenza.

4) Regime di trasparenza per le operazioni in derivati OTC concluse tra un’impresa d’investimento UE ed una controparte UK

Come si è avuto modo di vedere gli obblighi di cui agli articoli 20 e 21 MiFIR che impongono alle investment firms europee di pubblicare, tramite un APA, le operazioni in strumenti finanziari negoziati per mezzo di una sede di negoziazione, trovano applicazione anche nei confronti delle operazioni in derivati OTC che vedano coinvolti un’impresa d’investimento UE ed una controparte appartenente ad un paese terzo (come confermato anche in una Q&A dell’ESMA su MiFID “transparency”).

In virtù di ciò, qualora si verificasse uno scenario di no-deal Brexit le imprese d’investimento dell’Unione Europea risulterebbero tenute a rendere pubbliche, tramite un APA, le operazioni in derivati OTC concluse anche con una controparte inglese.

5) Benchmark Regulation: impatti sul registro ESMA degli amministratori di indici

L’ESMA coglie l’occasione per svolgere alcune considerazioni circa la sorte delle società e dei soggetti inglesi che svolgano il ruolo di “amministratori” (administrators) di indici su strumenti finanziari o indici utilizzati per misurare la performance si fondi o prodotti finanziari, ai sensi di quanto previsto dal Regolamento 2016/1011 UE (in materia di benchmark)[10] (“BMR”).

Gli amministratori di indici devono essere inclusi nell’ ESMA register of administrators and third-country benchmarks (il “Registro ESMA”). I soggetti inglesi amministratori sono stati naturalmente ricompresi nel Registro ESMA ma, a partire dalla data di Brexit, tali soggetti dovranno essere cancellati dal registro in quanto qualificabili come amministratori di un indice provenienti da un paese terzo.

L’ESMA ricorda tuttavia che il BMR contiene già alcune previsioni transitorie (art. 51 BMR, inserite a prescindere da Brexit) che consentiranno ai paesi membri della UE di seguitare utilizzare gli indici in uso al 30 giugno 2016 fino al termine del periodo transitorio, anche qualora tale indice sia fornito da un amministratore di un paese terzo (come il Regno Unito, post-Brexit).

 

 


[1] https://www.esma.europa.eu/press-news/esma-news/esma-sets-out-its-approach-several-mifid-iimifir-and-bmr-provisions-under-no

[2] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX%3A32014L0065

[3] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A32011R1227

[4] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32014R0600&from=IT

[5] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32014R0600&from=IT

[6] Si tenga presente che numerose sedi di negoziazione inglesi soggette all’obbligo di trading si stanno accingendo ad avviare un processo finalizzato alla costituzione di nuove sedi/succursali nell’ambito dell’UE 27 e, parimenti, alla fornitura dello stesso portafoglio di prodotti che al momento offrono nel Regno Unito.

[7] https://www.esma.europa.eu/sites/default/files/library/esma70-154-165_smsc_opinion_transparency_third_countries.pdf

[8] https://www.iosco.org/library/pubdocs/pdf/IOSCOPD386.pdf

[9] https://www.esma.europa.eu/sites/default/files/library/esma70-156-112_cdtf_opinion_eeotc_third_countries.pdf

[10] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32016R1011

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