La possibile uscita del Regno Unito dall’UE, se e quando accadrà, avrà un impatto considerevole su quello che è un settore cruciale per l’economia UK ovvero quello dei servizi finanziari. Tale impatto potrebbe dipendere in parte anche dall’esito delle negoziazioni che avverranno nel periodo intermedio. La City e l’UE sono sostanzialmente e fortemente intricate dal punto di vista finanziario e regolamentare. La Brexit potrebbe richiedere agli istituti finanziari un ripensamento dei loro business in altri paesi dell’UE e la Financial Conduct Authority UK è già in stretto contatto con le imprese soggette alla sua supervisione e con le altre autorità UK interessate. La maggior parte delle norme del settore dei servizi finanziari è di origine europea e probabilmente continuerà ad applicarsi fino a quando Governo e Parlamento UK non introdurranno a livello nazionale le modifiche normative conseguenti alla Brexit.
Fino ad oggi, non è possibile prevedere se gli istituti finanziari UK potranno continuare a beneficiare del regime del passaporto europeo per la prestazione di servizi di investimento, bancari, assicurativi e di pagamento e per la commercializzazione di specifici prodotti, tra i quali, a titolo esemplificativo, i fondi comuni di investimento. Essi si ritrovano quindi a dover pianificare le proprie strategie con largo anticipo rispetto all’effettiva uscita del Regno Unito dall’UE, al fine di evitare una discontinuità del business.
Al momento, gli istituti finanziari UK operano in Italia su base transfrontaliera in regime di stabilimento o di libera prestazione di servizi. Ad oggi, ad esempio, delle 64 imprese di investimento operanti in Italia tramite succursale ben 51 hanno sede nel Regno Unito[1]. Sul fronte dei servizi di pagamento, su 65 istituti di pagamento (Italiani e comunitari operanti in Italia tramite succursale), sono 17 quelli aventi sede nel Regno Unito[2]. A tal riguardo, nel caso in cui la Brexit dovesse effettivamente verificarsi, e a seconda delle relative condizioni, ci sarà un impatto anche sull’attività degli agenti degli istituti di pagamento in quanto essi non potranno continuare ad operare in Italia per conto degli istituti di pagamento UK, e questi ultimi dovranno trasferire le loro sedi in altri paesi EU al fine di poter continuare ad operare in Italia. Analoga situazione riguarda i consulenti finanziari operanti per conto di imprese di investimento comunitarie.
Similmente, su 100 imprese di assicurazione comunitarie operanti in Italia tramite succursale, 29 hanno sede nel Regno Unito; inoltre, sono 1539 gli intermediari assicurativi UK operanti in Italia su un totale di 7975[3]. Con particolare riferimento a questi ultimi, non essendo prevista la possibilità di operare in Italia da un paese non-EU, salvo che in futuro non si concordino soluzioni differenti, gli attuali intermediari UK potrebbero dover trasferire la loro sede in un altro paese EU per poter continuare a prestare la propria attività nell’Unione, qualora il Regno Unito dovesse effettivamente smettere di farne parte.
L’incertezza sulla possibilità di un’effettiva Brexit e sulle conseguenze nei rapporti con le istituzioni europee, determina diversi possibili scenari per le istituzioni finanziarie UK. Qualora la Brexit dovesse verificarsi, e a seconda delle relative condizioni, il Regno Unito non avrà più il potere di influenzare e determinare le politiche finanziarie a livello comunitario – per quanto un’influenza indiretta sarà probabilmente esercitata per mezzo dei c.d. “proxy states” quali la Repubblica d’Irlanda e il Lussemburgo. Finché il Regno Unito continuerà ad essere parte dell’UE, potrebbe essere più facile per gli istituti finanziari UK stabilire soggetti locali in altri stati UE, rispetto a istituti aventi sede in paesi non-EU come gli USA o la Svizzera. A tal riguardo, potrebbe essere rischioso attendere l’esito delle negoziazioni prima di richiedere l’autorizzazione necessaria. Infatti, considerando che il normale processo di autorizzazione può durare a lungo, potrebbe non esserci abbastanza tempo oppure le autorità di vigilanza potrebbero non essere disponibili a compiere valutazioni specifiche durante il periodo di uscita dall’UE.
L’impatto della Brexit potrebbe essere diverso anche a seconda del tipo di istituto finanziario e della natura del business. Con riferimento alle banche è ragionevole aspettarsi dalla Brexit un impatto significativo. In aggiunta, i gestori collettivi UK potrebbero non poter più avvalersi del passaporto per la commercializzazione delle quote dei fondi in UE. Tuttavia, per quanto riguarda i fondi di investimento, l’impatto potrebbe essere minore. La Brexit, infatti, non dovrebbe avere delle conseguenze particolarmente negative con riferimento al mercato degli UCITS poiché i principali gruppi finanziari UK, così come quelli non EU, in particolare statunitensi, si avvalgono principalmente di società di gestione del risparmio costituite nella Repubblica di Irlanda e in Lussemburgo per la commercializzazione di quote di UCITS all’interno dell’UE. Pertanto, in questo settore, il trasferimento delle sedi principali non dovrebbe essere necessario considerato che i principali operatori del mercato continuerebbero ad utilizzare le loro società stabilite in UE per la commercializzazione di quote UCITS – avvalendosi del passaporto europeo – in tutti i mercati UE, incluso quello italiano.
Discorso diverso vale invece per i fondi di investimento alternativi (FIA). Infatti, molti di questisono stabiliti nel Regno Unito e, di conseguenza, un’eventuale restrizione alla possibilità di avvalersi del passaporto europeo potrebbe avere un impatto ben più significativo su questo settore di mercato rispetto a quello degli UCITS. Fermo restando quanto sopra, non ci dovrebbero essere comunque conseguenze rilevanti sul mercato italiano dei FIA, giacché, ad oggi, il numero di FIA UK commercializzati in Italia avvalendosi del passaporto europeo è alquanto ridotto.
Ci potrebbero essere, tuttavia, conseguenze più rilevanti con riferimento alle imprese di investimento che svolgono attività di gestione individuale in Italia in regime di libera prestazione di servizi. A tal riguardo, ad oggi, la normativa italiana prevede che soltanto le imprese di investimento comunitarie autorizzate ad operare in Italia possano gestire gli asset dei fondi pensione. Tale previsione dovrà essere gestita e gli operatori italiani (e UE autorizzati) potrebbero avere l’opportunità di sostituirsi nei mandati di gestione fino ad ora assegnati ad imprese di investimento UK. Inoltre, bisogna considerare che la Brexit potrebbe avere anche un impatto sull’operatività degli istituti finanziari italiani attivi nel Regno Unito. Difatti, la Brexit potrebbe rappresentare un ostacolo per i soggetti regolamentati italiani che ad oggi offrono servizi e prodotti finanziari nel Regno Unito in regime di stabilimento o di libera prestazione di servizi. In merito, è plausibile che, per proseguire il loro business, gli istituti italiani dovranno ottenere una specifica autorizzazione o costituire società controllate debitamente autorizzate in UK, circostanza che richiederebbe una significativa riorganizzazione societaria. Essi potrebbero avvalersi di un regime di “reverse enquiry”. Tale regime permetterebbe agli stessi di prestare servizi direttamente dall’Italia anche in assenza di passaporto o di specifica autorizzazione nel Regno Unito. Tuttavia, tale possibilità richiederebbe un’attenta analisi delle norme UK in materia anche alla luce del fatto che i parametri per la “reverse enquiry” potrebbero essere rivisti a seguito della Brexit al fine di limitarla, o addirittura escluderla.
In conclusione, il Regno Unito sarà probabilmente intenzionato, in sede di negoziazione del futuro rapporto con l’EU, a mantenere un accesso al mercato EU per il proprio settore dei servizi finanziari. Anche qualora non dovesse essere così, potrà decidere di mantenere gran parte della regolamentazione finanziaria comunitaria che ha applicato fino ad oggi, in modo tale da sviluppare uno status di favore a fini autorizzativi o di equivalenza. D’altra parte, ci si potrebbe ugualmente aspettare un allontanamento del Regno Unito dalla regolamentazione UE e l’adozione di politiche fiscali o finanziarie volte a rendere il mercato UK appetibile come sede “off-shore” degli investimenti finanziari. Ciò spingerebbe gli istituti finanziari UK verso uno scenario molto diverso nelle relazioni con le proprie controparti europee. In ogni caso, i prossimi mesi promettono di essere davvero interessanti.
[1] Fonte: albo CONSOB.
[2] Fonte: albo Banca d’Italia.
[3] Fonte: albi ed elenchi IVASS.