Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione ha chiarito che la disciplina prevista per la responsabilità degli Amministratori si applica, ai sensi dell’art. 2396 c.c., se la posizione apicale del Direttore Generale all’interno della società sia desumibile da una nomina formale da parte dell’Assemblea o del Consiglio di Amministrazione in base ad apposita previsione statutaria, poiché, non avendo il Legislatore fornito una nozione intrinseca di Direttore Generale collegata alle mansioni svolte, non è configurabile alcuna interpretazione estensiva od analogica che consenta di estendere lo speciale ed eccezionale regime di responsabilità di tale figura ad altre ipotesi, salva la ricorrenza dei diversi presupposti dell’Amministratore di fatto.
Dunque, il perimetro delle attribuzioni e dei doveri conseguenti del Direttore Generale munito di deleghe da parte del Consiglio di Amministrazione, conferite conformemente allo statuto della società, non si differenzia da quello di un normale Amministratore esecutivo. Sul Direttore Generale incombono gli “obblighi informativi e di corretta gestione societaria” di cui all’art. 2392 c.c., in particolare essendo il Direttore Generale “certamente tenuto a rapportarsi con il Consiglio di Amministrazione”, onde consentire al medesimo di ‘agire informato’. Ciò detto, la responsabilità del Direttore Generale può pacificamente ritenersi di natura contrattuale ai sensi dell’art. 2396 c.c..
Nel caso di specie, l’oggetto della materia del contendere trova le sue origini nell’accoglimento, da parte del giudice di primo grado, dell’azione di responsabilità ex art. 2392 e 2396 c.c. promossa nei confronti dell’ex Direttore Generale per atti di mala gestio andati a danno del patrimonio sociale dell’attore. Quest’ultimo addebitava al suo ex Direttore di aver realizzato una serie di operazioni estremamente rischiose, non comunicate al Consiglio di Amministrazione – come sarebbe dovuto avvenire, in ragione della rilevanza che esse avevano – e non appostate correttamente nel bilancio chiuso all’esercizio interessato, rivelatesi rovinose per l’attore.
Tali operazioni avrebbero avuto l’unico obiettivo di occultare il “salvataggio” di una pregressa operazione in perdita avente ad oggetto sei contratti di scambio di strumenti finanziari derivati a copertura di acquisti di azioni e buoni del tesoro italiani che, con artifizi contabili non in linea con i criteri di redazione del bilancio sociale, avevano permesso l’occultamento delle ingenti perdite. L’attore otteneva, così, la condanna dell’ex Direttore Generale, che aveva ricevuto le deleghe di gestione dal Consiglio di Amministrazione ex art. 2396 c.c., di tutti i danni patiti e patiendi in relazione all’esito dell’operazione.
In seguito, la Corte d’Appello rigettava i motivi del ricorso del Direttore, accogliendo la ricostruzione dei fatti avanzata dall’attore e già accertata dal giudice di primo grado, evidenziando che dette operazioni, pur rientrando nei suoi poteri statutari, vennero attuate in spregio degli obblighi informativi e di corretta gestione societaria sul medesimo incombenti ex art. 2392 c.c..
Consegue ricorso innanzi alla Corte di Cassazione posto a fondamento della Sentenza in oggetto, nel quale l’ex Direttore Generale contestava l’errata valutazione circa l’obbligo di comunicare al Consiglio di Amministrazione qualsiasi operazione posta in essere, a prescindere dalla effettiva incidenza della stessa sul capitale sociale; in tal caso, si sarebbe erroneamente ritenuto privo di autonomia decisionale rispetto al Consiglio di Amministrazione.
Il Direttore, infatti, rivendicava la discrezionalità di cui sono dotati gli organi apicali di una società per azioni e l’insindacabilità del merito delle sue scelte di gestione.
Sennonché, secondo la Corte, la cd. business judgement rule di matrice americana, quale parametro per circoscrivere la sfera di responsabilità di un Amministratore esecutivo, trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse scelte, da compiersi ex ante, sulla base della diligenza necessaria all’apprezzamento preventivo dei margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere; le scelte risultano insindacabili a meno che, se valutate ex ante, risultino manifestamente avventate ed imprudenti.
Rileva, dunque, l’opzione interpretativa della Cassazione che ha ritenuto l’operato dell’ex Direttore Generale un atto di piena mala gestio societaria per le modalità non ortodosse con cui è stata condotta sotto il profilo gestionale, amministrativo e contabile, senza oltretutto riferire al Consiglio di Amministrazione.