Con la sentenza de qua la S.C. ribadisce il proprio orientamento secondo il quale la cancellazione di una società dal registro delle imprese priva la società stessa della capacità di stare in giudizio, con la sola eccezione della fictio iuris di cui all’art. 10 L. Fall. Ai sensi dell’art. 2495, cod. civ., infatti, l’iscrizione della cancellazione di una società di capitali – ma alla norma è riconosciuto, com’è noto, un “effetto espansivo” anche con riferimento alle società di persone (Cass. Sez. Un., 4062/10) – nel registro delle imprese ne comporta la estinzione, a prescindere dalla sussistenza di rapporti giuridici ancora pendenti.
In particolare, la Corte precisa che nessuna valenza interpretativa o efficacia retroattiva può essere riconosciuta al differimento quinquennale degli effetti della estinzione nei confronti dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti di cui all’art. 28, comma 4, D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 (Cass. Sez. V, 6743/15, 7923/16, 8140/16; Sez. VI-5, 15648/15, 19142/16, 11100/17).
Pertanto, nel caso in cui l’estinzione si verifichi nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte si determina un evento interruttivo, con la conseguenza che,sul piano processuale, «qualora esso non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando il farlo constare non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso» (nello stesso senso, Cass. Sez. Un. 6070/13).