Affinché il socio di una società di capitali cancellata dal registro delle imprese sia chiamato a rispondere delle obbligazioni sociali rimaste inadempiute, non è sufficiente la mera estinzione della società, in quanto il creditore che agisce in giudizio per veder soddisfatto il proprio credito deve provare anche che il socio convenuto sia stato assegnatario di una quota dell’attivo risultante dal bilancio finale di liquidazione.
Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte cassa con rinvio una decisione della Corte d’Appello di Milano, che aveva condannato, ai sensi dell’articolo 2495, comma 2 del codice civile, il socio unico di una S.r.l. estinta al pagamento di una somma di denaro – a titolo di compenso per lo svolgimento di un’attività di mediazione nell’ambito della vendita di un immobile – in favore di un creditore della S.r.l., rimasto insoddisfatto all’esito del procedimento di liquidazione della società.
La Cassazione conferma il dicutmdi legittimità fissato dalle Sezioni Unite nel 2013 (c.d. “sentenze Rordorf”), che hanno ricostruito il fenomeno della responsabilità dei soci di una società cancellata dal registro delle imprese in termini successori: a seguito dell’estinzione della società, le obbligazioni sociali rimaste insoddisfatte costituiscono oggetto di un fenomeno successorio a titolo universale, trasferendosi in capo ai soci – d’altra parte, ammettere che con l’estinzione dell’ente si estingua anche il rapporto sostanziale significherebbe legittimare il debitore a disporre in via unilaterale di un diritto altrui.
Tuttavia, in forza del principio di limitazione della responsabilità dei soci di società di capitali, la responsabilità di questi ultimi per le obbligazioni non soddisfatte pendente societateè limitata alla porzione che ciascuno di essi ha conseguito nella distribuzione dell’attivo risultante dal bilancio finale di liquidazione della società. Pertanto, il creditore che agisce in giudizio contro il socio deve provare non solo l’avvenuta estinzione della società, ma anche che vi sia stata distribuzione dell’attivo e che una quota di tale attivo sia stata effettivamente riscossa da parte del socio convenuto. In altre parole, la percezione della quota di liquidazione dell’attivo sociale diventa elemento costitutivo del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio.
Proprio per tale ragione, la decisione della Corte d’Appello viene cassata con rinvio: per aver il giudice di merito condannato il socio convenuto esclusivamente sulla base del trasferimento “mortis causa” del debito sociale a seguito dell’estinzione della società, senza aver esaminato l’adempimento del predetto onere probatorio da parte del creditore attore.
La Corte, infine, si sofferma su alcuni riflessi che il principio appena enunciato produce sul piano processuale. La limitazione di responsabilità dei soci prevista dall’articolo 2495, comma 2 del codice civile non priva questi ultimi della qualità di eredi della società (“il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore”) e dunque non incide sulla legittimazione passiva degli stessi, bensì sull’interesse ad agire dei creditori sociali: nel senso che, qualora il socio che s’intende convenire in giudizio non abbia percepito alcuna quota di liquidazione dell’attivo, un creditore non avrebbe alcun interesse ad agire in responsabilità.
Al contempo, possono configurarsi sul piano pratico alcune situazioni in cui, pur non avendo il socio conseguito alcuna utilità dalla liquidazione dell’attivo, sussista ugualmente un interesse del creditore sociale ad agire in giudizio. Ciò avviene, ad esempio, quando il debito della società estinta sia garantito da un terzo: in tal caso, il creditore avrà interesse ad agire per l’accertamento del proprio diritto al fine di ottenere un titolo esecutivo, necessario per l’escussione della garanzia.