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Giurisprudenza

Caratteri distintivi delle sopravvenienze attive

19 Febbraio 2021

Maria Cristina Latino, Avvocato presso EY

Cassazione Civile, Sez. V, 19 novembre 2020, n. 26314 – Pres. Virgilio, Rel. Nocella

Una società impugnava innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale competente (“CTP”) un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva rilevato, per l’anno 2003, l’omessa dichiarazione di sopravvenienze attive, conseguenti, a giudizio dell’Ufficio, dalla rilevazione nel bilancio 2002 di perdite dovute a pagamenti per operazioni inesistenti, risalenti invece al 2001.

La Società affermava che, in relazione alle prestazioni e fatture emesse nel corso del 2001, aveva aderito al condono c.d. tombale previsto dall’art. 9 L. n. 289/2002.

La stessa contestava, inoltre, l’infondatezza e la carenza di motivazione del provvedimento.

La Società, risultata soccombente, proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale (“CTR”), che confermava la pronuncia di primo grado, giudicando peraltro l’inoperatività e l’inefficacia del condono, in carenza della regolarizzazione delle scritture contabili ex art. 14 L. 27 dicembre 2002 n. 289.

Per quanto di interesse, la CTR ribadiva la legittimità del recupero ad imposizione derivante dalla omessa dichiarazione di una sopravvenienza, ai sensi dell’art. 88 dell’allegato al D.P.R. n. 917/1986 (“TUIR”), rigettando le argomentazioni della contribuente circa la non ricorrenza della straordinarietà e della non sopravvenuta insussistenza delle componenti passive, ritenendo assorbente l’incontestata fittizietà delle operazioni annotate nel 2001 e dei conseguenti pagamenti fittiziamente documentati.

La Società soccombente ha proceduto quindi con ricorso per cassazione sulla base di molteplici motivi.

Ai fini che qui rilevano, la Società ha censurato la sentenza ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 88 TUIR, in ordine alla definizione del concetto di “sopravvenienze attive”.

Tale motivo è stato giudicato dalla Corte adita fondato e meritevole di accoglimento, tale da assorbire tutte le altre censure.

Sul punto, infatti, la Suprema Corte ha ritenuto che la CTR abbia fatto erronea applicazione della nozione di sopravvenienza attiva disciplinata dall’art. 88 TUIR, a cui si ascrive anche “la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritti in bilancio in precedenti esercizi”.

A giudizio del collegio, però, “la sopravvenienza deve essere dichiarata e tassata nell’esercizio in cui si manifesta, solo se la posta passiva sia stata già iscritta in precedenti bilanci e se la sua insussistenza sia sopravvenuta e non originaria, derivi cioè da eventi ulteriori che ne modifichino l’effettività, e non già, a contrario, se se ne rilevi l’originaria inesistenza soltanto in un momento successivo. In tal senso il principio già affermato da questa Corte, ed al quale si intende dare continuità, per il quale non rientra tra le sopravvenienze attive l’accertamento sopravvenuto dell’insussistenza originaria di una posta passiva pure iscritta nel bilancio di un precedente esercizio (Cass. sez. V 2.08.2017 n.19219) in quanto essa rileva al momento della sua eliminazione per decisione discrezionale del contribuente”.

La Corte ha pertanto richiamato un orientamento a dire del quale, in via più generale, il concetto di sopravvenienza attiva implica che una spesa, perdita o passività, già iscritta in bilancio, sia reale ed esistente, e che successivamente, per qualsiasi ragione, prevedibile o imprevedibile, la sua operatività o effettività sia venuta meno, o che abbia subito una variazione quantitativa favorevole al contribuente.

Tale orientamento non può estendersi alle passività documentate da atti o fatture false materialmente o ideologicamente, come nel caso di specie; a nulla rileva la circostanza che i bilanci degli esercizi successivi siano indirettamente influenzati dalla falsità o insussistenza della perdita o passività già iscritta, atteso che gli effetti di detta passività, ai fini tributari, si sono manifestati nell’anno di originaria iscrizione.

Alla luce di tutto quanto sopra, è parso evidente alla Suprema Corte che l’Agenzia delle Entrate abbia erroneamente ritenuto di poter applicare l’art. 88 TUIR, nonostante avesse accertato che nell’esercizio 2001 erano stati contabilizzati insussistenti componenti negativi di reddito, con la conseguenza che non avrebbe potuto applicare per gli esercizi successivi l’invocato art. 88 TUIR, ma avrebbe dovuto procedere direttamente a contestare e dimostrare l’inesistenza o la fittizietà dei pagamenti eseguiti in relazione al debito originariamente inesistente.

Pertanto, in conseguenza della riconosciuta illegittima applicazione dell’art. 88 TUIR e non sussistendo motivazione idonea a sorreggere alternativamente la ripresa a tassazione effettuata dall’Agenzia delle Entrate, la Corte di Cassazione, in riforma totale della sentenza impugnata ed in accoglimento dell’originario ricorso della contribuente, ha proceduto con l’annullamento dell’avviso impugnato, decidendo nel merito.


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