La confisca per equivalente o di valore[1] può essere disposta in via residuale e sussidiaria solo quando non possa essere eseguita in via diretta nei confronti della società beneficiaria del vantaggio derivante dal reato. Poiché si tratta di una vera e propria sanzione, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, tale strumento può essere adottato solo quando sia impossibile reperire i beni che costituiscono il profitto del reato.
Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato.
Nella pronuncia in esame, pertanto, la Corte di legittimità ha dichiarato illegittima la sentenza impugnata poiché non spiega le ragioni per cui è stata senz’altro disposta la confisca per equivalente dei beni dell’imputato, senza prima dar conto dell’impossibilità di procedere alla confisca diretta del profitto conseguito dalla società.
[1] L’istituto della confisca per equivalente (o di valore) del profitto del reato, di cui all’art. 322 ter c.p., comma 2, originariamente introdotto dalla L. 29 settembre 2000, n. 300, art. 31, per il solo delitto di cui all’art. 321 c.p., è stato progressivamente esteso anche ad altri reati e, della L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143, anche ai delitti di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000.
Attualmente l’istituto trova una sua autonoma (e parzialmente nuova) disciplina nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis, introdotto dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 10, comma 1.