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Giurisprudenza

Caso Parmalat: la Cassazione condanna il revisore contabile e lancia un monito alle agenzie di rating

18 Ottobre 2011

Cassazione Penale, Sez. V, 17 ottobre 2011, n. 37370

Di cosa si parla in questo articolo

Dopo aver condannato l’ex patron Calisto Tanzi, la Corte di Cassazione torna sul caso Parmalat confermando la responsabilità di due amministratori e del revisore dei conti.

Con riferimento a quest’ultimo, la Cassazione ne evidenzia il ruolo focale e di maggiore delicatezza nello sviluppo della vicenda Parmalat, questo proprio in ragione delle delicate funzioni di controllo che gli erano attribuite.

Il mancato rispetto di tali funzioni, avvenuto, sottolinea la Cassazione, “in una clamorosa disattenzione dei controlli istituzionali”, ha infatti rivestito un ruolo fondamentale nel dissesto della società.

Nel caso Parmalat, poi, la posizione di tale soggetto di controllo risulta aggravata dal fatto che, dalle emergenze processuali, è emersa una sorprendente commistione di ruoli nella posizione del revisore, il quale, dismesse alla scadenza ex lege del mandato della società di revisione di cui egli era partner le vesti di controllore, ha assunto il ruolo di suggeritore esterno di quelle più accorte strategie fraudolente che sarebbero valse ad eludere le verifiche dei nuovi controllori.

In tal modo, evidenzia la Corte, la funzione di controllo, tradendo le ragioni di garanzia ad essa sottese, diviene – per eterogenesi dei fini – forma di compartecipazione delittuosa.

Di particolare interesse, poi, le considerazioni che la Corte di Cassazione, muovendo dal caso di specie, svolge rispetto alle agenzie di rating.

Secondo la Corte, infatti, il ruolo svolto dal revisore nella vicenda Parmalat deve essere accomunato, in chiave delittuosa, allo stesso fenomeno degenerativo – segnalato anche da recente cronaca – che avrebbe inquinato rilevanti settori dell'economia globale, per cui accreditati operatori di rating, dal cui severo giudizio dipende la credibilità economica di grandi imprese e persino di interi Stati (sub specie della certificata capacità di far fronte agli impegni finanziari assunti: c.d. solvenza) diventano, ad un certo punto, consiglieri privilegiati del soggetto da controllare, suggerendo le iniziative strategiche più opportune per mantenere, comunque, un determinato coefficiente di affidabilità tale da consentire, nonostante tutto, una rassicurante valutazione.

In tale prospettiva, il controllore si pone dalla stessa parte del soggetto che dovrebbe controllare.

A parte i profili di illecito, prosegue la Corte, siffatta commistione di ruoli – se in altri ambiti si traduce in disdicevoli trasgressioni di doveri di deontologia professionale – nel campo economico può avere effetti devastanti, stante le giustificate aspettative che una platea sconfinata di utenti (investitori istituzionali, piccoli risparmiatori, creditori e quant'altro) ripone nella serietà ed attendibilità del controllo, in quanto proprio su di esse poggiano il ragionevole affidamento sulla redditività di determinati investimenti ed il credito da accordare o meno a determinate realtà economiche od istituzionali.

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