Con la sentenza in oggetto la Suprema Corte di Cassazione affronta il tema della natura della fattura commerciale e degli effetti che ad essa si associano.
In particolare, la Corte ricorda come la fattura commerciale, per la sua formazione unilaterale e la sua inerenza ad un rapporto già formato tra le parti, ha natura di atto partecipativo e non di prova documentale, o di indizio circa l’esistenza del credito in essa riportato.
Ne consegue che incombe sull’emittente l’onere di provare l’esatto ammontare del proprio credito.
Tale regola non varia allorchè il debitore, oltre a contestare la cifra fatturata, deduca e provi, sia pur genericamente, di aver già pagato la diversa e inferiore somma dovuta.
Secondo la Corte, infatti, poichè le dichiarazioni ammissive complesse o qualificate, in virtù dell’aggiunta di fatti favorevoli alla parte che le ha rese, sono inscindibili (come si desume dall’art.2734 c.c. in materia di confessione), e inidonee a invertire l’onere della prova secondo le rispettive aree di pertinenza che l’art. 2697 c.c. assegna ai soggetti del rapporto, resta pur sempre a carico del creditore dimostrare che una frazione del proprio credito sia rimasta comunque insoddisfatta.