Con la sentenza 7 maggio 2024, n. 12395, la Suprema Corte ha stabilito che il regime sostitutivo di tassazione dei canoni derivanti dalla locazione di un immobile ad uso abitativo (c.d. cedolare secca) resta applicabile anche quando l’inquilino sia una società o un’impresa, non essendo tale facoltà impedita dall’art. 3, comma 6, D. Lgs. n. 23 del 2011.
Nel caso esaminato, un privato aveva locato ad una compagnia aerea un’abitazione destinata ad ospitare il legale rappresentante della stessa conduttrice.
Come ha condivisibilmente osservato la Corte, l’esclusione ex art. 3, comma 6 cit., opera soltanto nei confronti delle locazioni residenziali poste in essere dal locatore nell’ambito di un’attività di impresa, arte o professione, restando, di contro, privi di rilevanza la natura giuridica della controparte contrattuale e la riconducibilità della locazione, se ad uso abitativo, all’attività professionale esercitata dal conduttore.
Questo il principio di diritto affermato dalla Corte in accoglimento del ricorso proposto dal contribuente: “in tema di redditi da locazione, il locatore può optare per la cedolare secca anche nell’ ipotesi in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo nell’esercizio della sua attività professionale, atteso che l’esclusione di cui all’art. 3, sesto comma, D. Lgs. n. 23 del 2011 si riferisce esclusivamente alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate dal locatore nell’esercizio di una attività d’impresa o di arti e professioni”.
Il rilievo che dall’applicazione del regime possa trarre vantaggio anche il conduttore (i.e. non applicabilità dell’imposta di registro e non adeguamento periodico del canone) non giustifica un’interpretazione restrittiva della disciplina della cedolare secca, poiché ne deriverebbe un’irrazionale compressione del suo ambito applicativo in danno del locatore, beneficiario naturale del regime impositivo in parola.