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Giurisprudenza

Certificati a leva fissa acquistati mediante piattaforma on-line: responsabilità in capo all’intermediario per mancata compilazione del questionario MiFID

9 Maggio 2019

Biagio Campagna

Decisione ACF, 12 marzo 2019, n. 1470 – Pres. Barbuzzi, Rel. Guizzi

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. Premessa. I Certificates a leva fissa – 2. Una breve esposizione deifatti di causa ed i motivi della decisione dell’ACF – 3. L’importanza della normativa MiFID – 4. Il questionario MiFID: ruolo del cliente nel processo di valutazione di adeguatezza – 5. Spunti di riflessione

 

1. Premessa. I Certificates a leva fissa

I certificates a Leva Fissa sono strumenti derivati quotati che replicano, indicativamente e al lordo dei costi, la performancegiornaliera del sottostante moltiplicata per una leva che rimane fissa per tutta la durata del certificato. Il meccanismo di leva permette di investire con un consumo di capitale minore rispetto all’investimento diretto nel sottostante. Questi prodotti a leva possono essere utilizzati per strategie di trading e/o di copertura di breve o brevissimo termine ed espongono l’investitore al rischio di perdita totale del capitale. I prodotti a leva fissa e giornaliera si caratterizzano per l’effetto dell’interesse composto dovuto al fatto che la leva fissa è valida solo per una singola seduta di negoziazione. Per tale motivo se si detiene in portafoglio il certificate a leva fissa per più giorni di borsa aperta, la performancedel certificato potrà differire dalla performance del sottostante nello stesso periodo moltiplicata per la leva. L’effetto dell’interesse composto può giocare a favore o a sfavore dell’investitore, a seconda anche della volatilità che si verifica in alcuni periodi. Al riguardo si può rappresentare un esempio per far meglio intendere il tutto, pertanto se infatti in una giornata di borsa aperta il FTSE MIB registra una variazione del +1%, il certificato Long +5x avrà una performance giornaliera pari a circa +5%. Il giorno seguente se il FTSE MIB ottiene una performance pari a -1%, il medesimo certificato avrà ottenuto una performance pari a circa -5% calcolata però sul valore del certificato alla chiusura del giorno precedente. Questo impedisce al certificato di tornare al valore esatto che aveva il giorno precedente per uno stesso valore del FTSE MIB. La volatilità nei mercati finanziari è intesa come variabilità intorno ad un valore medio dei prezzi di un’attività finanziaria in una determinata finestra temporale. Esistono due nozioni di volatilità: volatilità storica, misura della variabilità intorno ad un valore medio registrata dai prezzi dell’attività finanziaria in passato, e volatilità implicita, misura della variabilità attesa dal mercato dei prezzi dell’attività finanziaria. Quando si parla di volatilità riguardo i certificates a Leva Fissa, si fa riferimento al susseguirsi di sedute in rialzo e in ribasso in un determinato periodo di tempo; laddove si registrino sedute positive e negative in alternanza, l’effetto dell’interesse composto tipico degli strumenti a leva fissa, impatta negativamente la valorizzazione del certificate a leva provocando delle discrepanze tra la performance del certificato e la performance del sottostante nello stesso periodo considerato, moltiplicata per la leva. La volatilità nei mercati finanziari è intesa come variabilità intorno ad un valore medio dei prezzi di un’attività finanziaria in una determinata finestra temporale. Esistono due nozioni di volatilità: volatilità storica, misura della variabilità intorno ad un valore medio registrata dai prezzi dell’attività finanziaria in passato, e volatilità implicita, misura della variabilità attesadal mercato dei prezzi dell’attività finanziaria. Quando si parla di volatilità riguardo i certificates a Leva Fissa, si fa riferimento al susseguirsi di sedute in rialzo e in ribasso in un determinato periodo di tempo; laddove si registrino sedute positive e negative in alternanza, l’effetto dell’interesse composto tipico degli strumenti a leva fissa, impatta negativamente la valorizzazione del certificate a leva provocando delle discrepanze tra la performance del certificato e la performance del sottostante nello stesso periodo considerato, moltiplicata per la leva.

2. Una breve esposizione dei fatti di causa ed i motivi della decisione dell’ACF

Parte ricorrente tra il dicembre 2014 e il settembre 2015 aveva acquistato, tramite la piattaforma on-line di un intermediario, diversi certificati «a leva fissa». Tali strumenti finanziari consistono in contratti derivati che conferiscono il diritto di comprare o vendere un’attività sottostante a un prezzo di esercizio (c.d. strike) e a una data prestabilita. La presenza dell’effetto leva (nel caso di specie x7 e x5) consente di amplificare le performance del sottostante (nel caso in oggetto, l’indice FTSE Mib). I certificati a leva fissa sono negoziati sulla piattaforma SeDeX «in continua»: i contratti vengono conclusi mediante l’abbinamento automatico delle proposte di acquisto e di vendita ordinate secondo criteri di priorità di prezzo prima e poi di tempo. Avendo subito delle perdite in relazione a tali investimenti, l’investitore ha adito l’ACF basando le proprie doglianze su due punti cardine. Da un lato, è stata contestata la mancata valutazione di appropriatezza delle operazioni quale conseguenza della mancata sottoposizione del cliente alla profilatura, e in particolare che l’intermediario non avesse mai proceduto alla rilevazione del profilo di rischio dell’investitore (questionario MIFID). Dall’altro, si è censurata la condotta dell’intermediario che aveva omesso di comunicare informazioni rilevanti sullo strumento finanziario, che oltretutto rientrava nella categoria degli strumenti complessi, il cui collocamento può avvenire solo sulla base della somministrazione di informazioni particolarmente stringenti. Da parte sua, l’intermediario resistente ha sottolineato che le operazioni contestate sono state disposte dal ricorrente di propria iniziativa tramite la piattaforma di trading on-line senza dunque che sia stato prestato alcun servizio di consulenza ma solo quello di “esecuzione ordini per conto dei clienti’ e che la mancata rilevazione del profilo non è dipesa da propria inerzia ma dal fatto che il ricorrente si sarebbe sempre astenuto dal compilare i questionari. L’ACF ha ritenuto che l’intermediario non potesse limitarsi ad una singola mail inviata nel 2008 all’investitore in cui lo si invitava a compilare il questionario MIFID, ritenendo tale circostanza “decisiva per configurare un inadempimento dell’intermediario, giacché così facendo egli ha reso possibile l’operatività̀ al cliente per ben sette anni senza tuttavia mai più richiedere un aggiornamento del profilo e al tempo stesso privandolo del presidio rappresentato dalla verifica di appropriatezza.” Anche con riferimento alla seconda contestazione l’Arbitro ha ritenuto che ci si trovasse al cospetto “di un inadempimento certamente grave, specie considerando che ci si trovava in presenza di strumenti finanziari estremamente complessi, oltre che con un elevatissimo livello di rischio, rispetto al quale l’obbligo di informazione si sarebbe dovuto assolvere in maniera particolarmente stringente.” L’ACF ha quindi dichiarato l’intermediario tenuto a corrispondere al ricorrente la somma persa con l’investimento, oltre alla rivalutazione monetaria.

3. L’importanza della normativa MIFID

La riforma iniziata, in materia bancaria, nel 2013, con l’approvazione del cosiddetto pacchetto dispositivo “CRD IV”[1] (Capital requirements directive), è stata finalizzata a rafforzare la solidità degli istituti creditizi a tutela dei risparmiatori e del sistema finanziario in generale, e nel 2014 con l’adozione dei tra pilastri della c.d. “Unione Bancaria”[2], hanno accentrato ulteriormente i poteri di vigilanza e risoluzione delle crisi bancarie nelle mani della Banca centrale europea introducendo, tra le altre cose, il meccanismo del bail in[3]. Sul lato dei mercati e degli intermediari finanziari, il legislatore è intervenuto nel 2014, con la revisione dell’impianto normativo di MiFID I, da cui sono scaturiti la direttiva n. 2014/65/UE (cd MiFID II) e il regolamento 2014/600/UE (cd MiFIR). La data di applicazione di tali disposizioni negli stati membri era prevista 30 mesi dopo la loro entrata in vigore (e MiFID II avrebbe dovuto essere recepita entro il 3 luglio del 2016) ma è poi stata prorogata di un anno, al 3 gennaio 2018[4]. Il legislatore italiano ha provveduto a recepire la MiFID II attraverso successive modifiche del TUF e la CONSOB, con delibera n. 19548 del 17 marzo 2016, ha provveduto ad attuare le nuove disposizioni attraverso l’aggiornamento, tra gli altri, del Regolamento Intermediari (n.16190 del 2007), del Regolamento Emittenti (n. 11971 del 1999) e del Regolamento Consulenti (n. 17130 del 2010). Lo schema di fondo della MiFID rimane impregiudicato nelle sue finalità di protezione del risparmiatore, in particolare attraverso la tutela differenziata dell’investitore in relazione al servizio prestato (regimi di adeguatezza, appropriatezza ed execution only) e alla categoria di appartenenza dell’investitore stesso (clienti retail, professionali e controparti qualificate). L’obiettivo principale della MiFID II è recuperare la fiducia degli investitori nei confronti dei mercati e degli operatori finanziari. Tale obiettivo viene perseguito attraverso alcune importanti novità rispetto alla MiIFID I. Sul piano dei mercati, la novità è la creazione giuridica del nuovo sistema di negoziazione denominato OTF (Organised trading facilities)[5], categoria residuale alla quale dovranno essere ricondotte tutte le sedi di negoziazione non rientranti nelle altre categorie. In base al considerando n. 8 del MiFIR, l’obiettivo di tale previsione è quello di accrescere la trasparenza e l’efficienza dei mercati e di ristabilire l’equità delle condizioni tra le varie sedi di negoziazione. Trattandosi di un servizio di investimento, infatti, l’attivazione di un OTF è sottoposta ad autorizzazione, con tutte le conseguenze in materia di conflitti di interesse e trasparenza che tale previsione comporta per i gestori. Sul piano degli intermediari, e specificamente dei rapporti tra questi ed i clienti, la MiFID II innalza il livello di trasparenza attraverso l’ampliamento delle modalità di acquisizione di informazioni dalla clientela e l’accresciuta informativa da fornire alla clientela stessa, in particolare in termini di costi. Le innovazioni più importanti, relative agli intermediari sono nello specifico: i) l’introduzione della consulenza indipendente; ii) le previsioni in materia di product governance, che mirano ad anticipare il momento dell’adattamento del prodotto al cliente target, dal momento della distribuzione a quello della sua ingegnerizzazione da parte delle imprese di investimento emittenti. Gli intermediari distributori sono tenuti quindi ad effettuare una attenta valutazione sui rischi connessi ai prodotti emessi dai manufacturer affinché la strategia di collocamento sia coerente con la clientela target[6]; l’introduzione di poteri di product intervention attribuiti all’ESMA. Questi poteri consistono nella possibilità di limitare o vietare la vendita di alcuni prodotti o categorie di prodotti finanziari in caso di “gravi timori in merito alla protezione degli investitori”, in presenza di determinate condizioni stabilite dal MiFIR, tra cui il fatto che le autorità nazionali competenti (in Italia Consob e Banca d’Italia) non abbiano “adottato misure per affrontare la minaccia o le misure adottate non sono sufficienti per farvi fronte”. L’attività di controllo dell’ESMA (e dell’EBA in caso di depositi strutturati), seppur sussidiaria rispetto a quella delle autorità nazionali, prevale su queste ultime essendo previsto che “una misura adottata dall’ESMA prevale su qualsiasi misura precedentemente adottata da un’autorità competente”. È prevista anche la possibilità in capo sia alle autorità di controllo domestiche sia a quelle europee, di imporre in via precauzionale divieti o restrizioni anche prima che uno strumento sia commercializzato, distribuito o venduto alla clientela[7].

4. Il questionario MiFID: ruolo del cliente nel processo di valutazione di adeguatezza

Il questionario MiFID ha l’obbligo di far valutare a banche e a intermediari finanziari, la veridicità e l’adeguatezza dei prodotti o servizi che vengono offerti, in base anche a quelle che sono le conoscenze della clientela. In questo modo viene delineato un profilo del cliente, il quale poi permette alla banca, al broker, al promotore finanziario, di procedere in sintonia con la conoscenza del cliente al tipo di investimento più adeguato. Il questionario MiFID non deve per tanto essere sottovalutato, preso sottogamba, ma è molto importante, sia per la banca, ma soprattutto per il cliente. È in base alle risposte fornite che la banca deciderà per conto del cliente sul tipo di investimento da effettuare, consigliando alcune operazioni piuttosto che altre, in questo modo, i reali obbiettivi di investimento saranno corrisposti in base alle e a quelle che sono le nostre conoscenze. Ferme restando le responsabilità degli intermediari, la qualità della profilatura del cliente trova un suo presupposto imprescindibile nella collaborazione del cliente stesso, che deve essere disposto a fornire le informazioni richieste. Al proposito, però, le evidenze disponibili non sono confortanti. Il Report CONSOB 2017 censisce una diffusa riluttanza a informare il professionista degli elementi che egli deve (o può) acquisire ai fini della valutazione di adeguatezza. In particolare, il 14% degli investitori che ricevono consulenza non ritiene di dover fornire alcuna informazione, mentre nei casi restanti la percentuale di intervistati che indica uno specifico elemento non supera il 36% (valore che si raggiunge, in particolare, rispetto all’obiettivo di investimento). ESMA 2018 riserva particolare attenzione a questo tema: l’orientamento 1, rafforzando quanto veniva evidenziato già in ESMA 2012, insiste sulla necessità di sottolineare e far comprendere al cliente lo scopo della valutazione dell’adeguatezza, al fine di spronarlo a fornire le informazioni, complete e accurate, di cui l’intermediario necessita per poter agire nel suo miglior interesse e per prestare il servizio di consulenza (che non può essere fornito in assenza di informazioni). La riluttanza del cliente a fornire informazioni al professionista si lega verosimilmente anche alla scarsa comprensione del processo decisionale di investimento, che nei suoi passaggi salienti (definizione degli obiettivi e del proprio orizzonte temporale, verifica della propria tolleranza al rischio e della propria comprensione delle caratteristiche delle opzioni di investimento) di fatto ripercorre le aree informative sui cui si fonda la valutazione di adeguatezza[8]. Non bisogna trascurare, inoltre, la difficoltà dell’investitore di apprezzare il valore della consulenza e, a monte, la scarsa comprensione dei contenuti del servizio stesso. Come emerge dall’ultimo Report CONSOB, infatti, quasi il 60% non è in grado di definire cosa si intenda per consulenza agli investimenti e il dato sale al 70% per la consulenza indipendente. Alla luce di queste evidenze non stupiscono né la riluttanza allo scambio informativo né la bassa disponibilità a pagare per il servizio, che rappresenta oramai un fatto stilizzato per il contesto italiano[9].

5. Spunti di riflessione

Anche se l’argomento è stato affrontato molte volte in passato, forse è il caso di ribadire l’importanza del questionario e della sua corretta compilazione, perché evidentemente ancora non ci siamo. È vero, forse troppo spesso ci troviamo di fronte a adempimenti burocratici richiesti per diversi motivi. A volte la mole delle “scartoffie” da leggere è così elevata che firmiamo senza aver chiaro cosa stiamo facendo. In alcuni casi, la fretta e il timore (ingiustificato) di passare da malfidati che voglio leggere prima di acquistare spingono il cliente a firmare velocemente e inconsapevolmente. Correre questo rischio nella compilazione del questionario MiFID è molto facile oltre che frequente anche a causa dei diffusi comportamenti degli operatori bancari, poco trasparenti. Si tratta dello strumento di maggiore tutela in materia di “consulenza finanziaria in materia di investimenti” e quindi di difesa dei diritti e soprattutto del “portafoglio” dei clienti. Non a caso spesso non gli viene data molta importanza perché, probabilmente, non ne viene percepita l’utilità. Ed è qui la pecca in cui incorre, incautamente, il cliente. Infatti, individuando il profilo di rischio del risparmiatore – cioè quanta parte dei soldi è disposto a rischiare – il consulente è in grado di individuare (e vendere) esclusivamente i prodotti adeguati, cioè quelli con un rischio di perdita inferiore a quella massima che il cliente è disposto a perdere. Oltre a rappresentare uno strumento di tutela dell’investitore, ha una elevata utilità anche per il consulente per capire le reali esigenze del cliente, la consapevolezza in materia di investimenti, gli obiettivi di rendimento e soprattutto quanto è disposto a rischiare. Tutto questo è alla base di un buon servizio di consulenza finanziaria e ne dovrebbe costituire il punto di partenza. La relazione tra rischio rendimento impone che se il rischio dell’investimento è alto, aumenta la probabilità di subire forti perdite quando le cose vanno male e, viceversa, quando le cose vanno bene, ottenere rendimenti importanti. L’aspettativa di ottenere un rendimento più alto per investimenti rischiosi ha un nome: “premio per il rischio”. Questo premio ricompensa il maggior rischio dell’investimento assunto dall’investitore. C’è solo un problema, non è detto che vada sempre bene e qui nascono i “veri” problemi…Più elevato è il profilo di rischio del cliente, maggiore è il livello di perdita che dichiara di poter sopportare. Sopportando maggiori perdite gli potranno essere venduti prodotti più rischiosi. Spesso i prodotti vengono venduti perché consentono, a chi li vende, maggiori guadagni (commissioni o costi del prodotto). Può capitare quindi che l’interesse del cliente, venga sacrificato per “correre dietro” agli obiettivi di vendita degli intermediari di questi prodotti. Ovviamente non sarebbe corretto generalizzare e accusare l’intero settore. Molti nel settore operano trasparentemente e in modo professionale, e credo che il ruolo della finanza non debba generare eccessivi conflitti correndo il rischio di allontanare i risparmiatori perché spaventati. È quindi fondamentale che il questionario rispecchi la reale capacità di sopportazione delle perdite, pertanto se si ha consapevolezza dei rischi finanziari contenuti, nulla vieta di acquistarli, anzi potrebbero anche rivelarsi delle buone occasioni. Pertanto, se manca questa consapevolezza è meglio lasciar perdere, imparando a sfruttare gli strumenti di difesa degli investimenti facendo un piccolo sforzo per conoscerli un po’ meglio. Il questionario MiFID è uno di questi e il tempo impiegato per la sua lettura, comprensione e compilazione non è assolutamente tempo perso e dovrebbe essere preteso come se fosse lo scontrino in un normale acquisto. A volte lo richiediamo solo perché vogliamo che la controparte faccia il proprio dovere. Sarebbe già un inizio.

 



[1] Costituito dal Regolamento n. 575/2013/UE e dalla Direttiva n. 2013/36/UE

[2] Si tratta del Regolamento n. 1024/2013/UE, istitutivo del Single supervisory mechanism (SSM); della Direttiva n. 2014/59/UE, nota come BRRD (Bank recovery amd resolution Directive) e del Regolamento n. 806/14/UE, istitutivi del Meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie; della Direttiva n. 2014/49/UE, che ha modificato le regole sui sistemi di garanzia dei depositi, introducendo il DGS (Deposit Guarantee Scheme).

[3] Per una sintetica ricostruzione delle tappe dell’Unione bancaria, si veda, tra gli altri, Mancini, Dalla vigilanza armonizzata alla banking union, in Quaderni di ricerca giuridica n. 73, Banca d’Italia, 2013

[4] Per una trattazione esaustiva della MiFID II, si veda AA.VV., (a cura di) V. Troiano e R. Motroni, La MiFID II, Rapporti con la clientela – governance – mercati, Wolters Kluwer – CEDAM, Padova, 2016

[5] Per un approfondimento sul funzionamento delle OTF, si veda: Tarola – Leoni – Giliberti – Rizzo – Mosco – Pace – Ciccaglioni – Tempestini – Amato – Giammarile, Mappatura delle infrastrutture di negoziazione in Italia, Consob, 2014

[6] Cfr.art. 24, co.2 MiFID II.

[7] Cfr. considerando n. 29 e artt. 40 co. 2, 41 co. 2 e 42 co. 2 MiFIR.

[8] Dal Rapporto CONSOB 2016 si evince che prima di investire il 41% dei decisori finanziari italiani non valuta in maniera specifica alcun elemento tra orizzonte temporale, obiettivi, capacità economica ed emotiva di sopportare il rischio; nei casi restanti, più dei due terzi indica solo uno degli elementi citati (prevalentemente l’orizzonte temporale).

[9] Secondo le ultime rilevazioni CONSOB, nel 37% dei casi gli investitori sono convinti che la consulenza sia gratuita, mentre nel 45% dei casi essi dichiarano di non sapere se il consulente venga retribuito. Nel complesso il 50% circa non è disposto a pagare per il servizio.

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