Tra il dicembre 2014 e il settembre 2015 un cliente aveva acquistato, tramite la piattaforma on-line di un intermediario, diversi certificati «a leva fissa». Tali strumenti finanziari consistono in contratti derivati che conferiscono il diritto di comprare o vendere un’attività sottostante a un prezzo di esercizio (c.d. strike) e a una data prestabilita. La presenza dell’effetto leva (nel caso di specie x7 e x5) consente di amplificare le performance del sottostante (nel caso in oggetto, l’indice FTSE Mib). I certificati a leva fissa sono negoziati sulla piattaforma SeDeX «in continua»: i contratti vengono conclusi mediante l’abbinamento automatico delle proposte di acquisto e di vendita ordinate secondo criteri di priorità di prezzo prima e poi di tempo.
Avendo subito delle perdite in relazione a tali investimenti, l’investitore ha adito l’ACF basando le proprie doglianze su due punti cardine. Da un lato, è stata contestata la mancata valutazione di appropriatezza delle operazioni quale conseguenza della mancata sottoposizione del cliente alla profilatura, e in particolare che l’intermediario non avesse mai proceduto alla rilevazione del profilo di rischio dell’investitore (questionario MIFID). Dall’altro, si è censurata la condotta dell’intermediario che aveva omesso di comunicare informazioni rilevanti sullo strumento finanziario, che oltretutto rientrava nella categoria degli strumenti complessi, il cui collocamento può avvenire solo sulla base della somministrazione di informazioni particolarmente stringenti.
Da parte sua, l’intermediario resistente ha sottolineato che le operazioni contestate sono state disposte dal ricorrente di propria iniziativa tramite la piattaforma di trading on-line senza dunque che sia stato prestato alcun servizio di consulenza ma solo quello di “esecuzione ordini per conto dei clienti’ e che la mancata rilevazione del profilo non è dipesa da propria inerzia ma dal fatto che il ricorrente si sarebbe sempre astenuto dal compilare i questionari;
L’ACF ha ritenuto che l’Intermediario non potesse limitarsi ad una singola mail inviata nel 2008 all’investitore in cui lo si invitava a compilare il questionario MIFID, ritenendo tale circostanza “decisiva per configurare un inadempimento dell’intermediario, giacché così facendo egli ha reso possibile l’operatività al cliente per ben sette anni senza tuttavia mai più richiedere un aggiornamento del profilo e al tempo stesso privandolo del presidio rappresentato dalla verifica di appropriatezza.”
Anche con riferimento alla seconda contestazione l’Arbitro ha ritenuto che ci si trovasse al cospetto “di un inadempimento certamente grave, specie considerando che ci si trovava in presenza di strumenti finanziari […] estremamente complessi, oltre che con un elevatissimo livello di rischio, rispetto al quale l’obbligo di informazione si sarebbe dovuto assolvere in maniera particolarmente stringente.”
L’ACF ha quindi dichiarato l’intermediario tenuto a corrispondere al ricorrente la somma persa con l’investimento, oltre alla rivalutazione monetaria.