In tema di cessione d’azienda, non vi è alcun obbligo, per l’Ufficio, di rettificare preliminarmente il valore dell’azienda indicato nell’atto di cessione ai fini dell’imposta di registro prima di procedere all’accertamento di una plusvalenza ai fini delle imposte dirette.
In altri termini, è legittima la valutazione aziendale posta in essere dall’Amministrazione finanziaria in altro settore impositivo a prescindere dall’attività di accertamento ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro.
Nella fattispecie in esame, un contribuente persona fisica, titolare di una ditta individuale, proponeva ricorso, presso la Commissione Tributaria competente, avverso un avviso di accertamento attraverso cui, in relazione ad una cessione d’azienda, veniva contestato un maggior valore dell’avviamento e una sopravvenienza attiva riguardante due contratti di leasing afferenti due autocarri facenti parte del complesso aziendale.
Tale contestazione determinava per l’anno 2003, una plusvalenza che veniva ripresa a tassazione ai fini IRPEF.
A seguito dell’accoglimento del ricorso del contribuente, l’Amministrazione finanziaria ricorreva infruttuosamente in appello.
In particolare, la Commissione Tributaria regionale sosteneva che l’Ufficio aveva erroneamente applicato il metodo di determinazione del maggior valore di avviamento di cui all’art. 2, co. 4 del d.P.R. 31 luglio 1996 n. 460 (rilevante ai fini del procedimento di accertamento per adesione, con riferimento alle imposte sulle successioni e donazioni, di registro, ipotecaria, catastale e comunale sull’incremento di valore degli immobili), senza contestare preventivamente la congruità dei valori della cessione dell’azienda ai fini dell’applicazione dell’imposta sul registro.
Pertanto, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione lamentando, per quanto di interesse, la violazione e falsa applicazione degli articoli 39, comma primo, lettera d) del d. P.R. 29 settembre 1973 n. 600 nonché del menzionato art. 2, comma quarto del d.P.R. 460/1996, ritenendo che la CTR avesse affermato in modo erroneo che l’utilizzo, ai fini delle imposte dirette, del valore dell’azienda determinato secondo i parametri previsti dal già citato art. 2, co. 4, dovesse essere preceduto dall’accertamento dell’imposta di registro.
Il motivo di ricorso veniva accolto dal Collegio di Legittimità adito.
A parere della Suprema Corte, non sussiste alcun obbligo dell’Agenzia delle Entrate di rettificare il valore dell’azienda indicato nell’atto di cessione per la determinazione della corretta imposta di registro prima di procedere all’accertamento della plusvalenza in relazione a diversi settori impositivi.
Tale considerazione non contrasta con quanto già statuito dalla giurisprudenza di Legittimità (Cfr. Cass 10552/2012), secondo cui in tema di accertamento del reddito, il valore di mercato determinato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro può essere legittimamente utilizzato dall’Amministrazione finanziaria come dato presuntivo ai fini dell’accertamento di una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione d’azienda.
In tale ipotesi, resta a carico del contribuente l’onere di provare un diverso valore, anche dimostrando di non avere interamente realizzato, in concreto, il valore di mercato dell’azienda ceduta ( Cfr. Cass. nn. 5070/2011; 19830/2007; 4057/2007).
Di conseguenza, il valore stabilito in sede di applicazione dell’imposta di registro deve essere considerato come un dato obiettivo idoneo, di per sé, a fondare l’accertamento della plusvalenza da cessione, a prescindere dalle modalità con le quali esso sia stato determinato, e fatta salva la possibilità di prova contraria da parte del contribuente.
In giurisprudenza, viene, quindi, affermato il carattere presuntivo della determinazione del valore di mercato fatta nell’ambito dell’imposta di registro; tuttavia, non è imposto all’Ufficio che agisce per la quantificazione della plusvalenza alcun onere di preventiva contestazione dell’atto.
Da ultimo, i giudici di legittimità coglievano l’occasione per sottolineare che nelle more del giudizio, era sopravvenuto l’art. 5, co. 3 del D. Lgs. 14 settembre 2015 n. 147, che ha sancito come le disposizioni in tema di imposizione diretta sulle plusvalenze da cessioni di immobili e di aziende si interpretano nel senso che l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro.
Ciò premesso, la Corte di Cassazione riteneva che la Commissione regionale non avesse tenuto conto dei principi giurisprudenziali sopra esposti e pertanto, accoglieva il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate e cassava la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR in diversa composizione.