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Attualità

Cessione dei crediti e procedure concorsuali: brevi note sui più recenti orientamenti giurisprudenziali

2 Maggio 2022

Simone Bertolotti, Partner, La Scala Società Tra Avvocati

Roberta Pagani, Senior Associate, La Scala Società Tra Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il rapporto tra l’istituto della cessione di credito e le procedure concorsuali ha costituito e costituisce tuttora un fertile terreno di dibattito per dottrina e giurisprudenza in relazione alle molteplici questioni che ne derivano e che, come noto, riguardano pressoché ogni aspetto della vicenda successoria nella titolarità del credito.

In tale prospettiva, infatti, assume particolare rilevanza proprio la natura stessa dell’operazione di cessione in considerazione del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che vi individua un negozio a causa variabile in ragione della flessibile destinazione che le parti, cedente e cessionario, possono attribuirvi, potendo la cessione essere effettuata con causa vendendi, causa solvendi o in funzione di garanzia.

Proprio in considerazione della sconfinata casistica, si ritiene di limitare la presente trattazione alle seguenti questioni:

– opponibilità della cessione di credito nei confronti del debitore ceduto in procedura concorsuale;

– prova della titolarità del credito in capo al cessionario;

– partecipazione del cessionario al riparto fallimentare.

Opponibilità della cessione al debitore ceduto in procedura concorsuale

La prima fondamentale questione inerisce alla opponibilità della cessione rispetto al debitore ceduto allorché quest’ultimo si trovi in procedura concorsuale e ciò a seconda che la cessione avvenga prima o dopo l’apertura di tale procedura nonché le modalità tramite le quali dimostrare l’intervenuta cessione e, quindi, il subentro del cessionario nella titolarità del credito.

Detta questione trova, peraltro, una connotazione di specialità in considerazione della normativa sulla cartolarizzazione di cui alla Legge 30 aprile 1999, n. 130, il cui art. 4, comma 1, espressamente richiama l’art. 58, commi 2, 3 e 4, TUB quale disposizione di favore per i cessionari, esonerandoli dall’onere di procedere alla notifica della cessione a ciascun singolo debitore ceduto – tenuto conto del numero spesso elevato di crediti ceduti nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione – e consentendo loro di determinare l’efficacia delle cessioni nei confronti dei debitori ceduti e soprattutto, ai fini qui rilevanti, dei terzi mediante la pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale e nel registro delle imprese.

In realtà, proprio tale normativa “di favore” è utilizzata, spesso strumentalmente, dai Curatori nell’ambito dei procedimenti di verifica crediti e dei successivi giudizi di opposizione allo stato passivo al fine di negare il diritto dei cessionari ad essere ammessi al passivo fallimentare in caso di domande di ammissione o di ricorsi in opposizione allo stato passivo proposti direttamente da questi ultimi. Non sono, infatti, mancate pronunce di merito che, anche in accoglimento delle eccezioni sollevate nell’ambito dei procedimenti di verifica crediti o nel corso dei successivi giudizi di opposizione allo stato passivo, hanno affermato, richiamando il disposto di cui al comma 2 dell’art. 58 TUB, che, in mancanza della prova di tale pubblicità, non risulterebbero dimostrati i requisiti per rendere opponibile ai terzi la cessione[1].

Si tratta di approccio palesemente errato, atteso che il cessionario non ha alcun onere di dimostrare l’avvenuta effettuazione di tali oneri pubblicitari, atteso che essi non incidono minimamente sulla titolarità del credito ceduto, la quale è acquisita immediatamente dal cessionario per effetto della natura consensuale della cessione. Non a caso, del resto, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “la suddetta pubblicazione costituisce presupposto di efficacia della cessione “in blocco” dei rapporti giuridici nei confronti dei debitori ceduti che dispensa la banca dall’onere di provvedere alla notifica della cessione alle singole controparti dei rapporti acquisiti, ma tale adempimento è estraneo) al perfezionamento della fattispecie traslativa e non incide sulla circolazione del credito, il quale, fin dal momento in cui la cessione si è perfezionata, è nella titolarità del cessionario che è, quindi, legittimato a ricevere la prestazione dovuta anche se gli adempimenti richiesti non sono stati ancora eseguiti. Ed infatti la suddetta pubblicazione può essere validamente surrogata dagli adempimenti prescritti in via generale dall’art. 1264 c.c. e segnatamente dalla notificazione della cessione che non è subordinata a particolari requisiti di forma e può quindi aver luogo anche mediante l’atto di citazione con cui il cessionario intima il pagamento al debitore ceduto, ovvero nel corso del giudizio (Cass. n. 5997 del 2006) [enfasi aggiunta, n.d.r.]” (Cass. 29 settembre 2020, n. 20495, in motivazione).

Va da sé che il mero deposito della domanda di ammissione al passivo da parte del cessionario nel fallimento del debitore ceduto (o la proposizione del ricorso in opposizione al passivo e la successiva notifica) è di per sé idonea a superare qualsivoglia questione di opponibilità della cessione nei confronti del debitore ceduto e dei terzi, rappresentati dal Curatore nell’ambito del procedimento di verifica crediti, valendo quale equipollente rispetto sia alla notifica della cessione, sia alla pubblicazione degli avvisi di cui all’art. 58, comma 2, TUB, in quanto idonea a consentire al Curatore di essere al corrente dell’intervenuta cessione. Né, in tale prospettiva, può assumere rilevanza alcuna la circostanza per la quale la cessione sia intervenuta prima o dopo l’apertura del fallimento, atteso che la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente evidenziato come il Curatore non abbia in realtà un interesse effettivo a che la domanda di ammissione venga proposta dal creditore originario piuttosto che dal cessionario subentrato nella titolarità del credito insinuato, attesane l’irrilevanza rispetto al patrimonio fallimentare[2].

Non a caso, del resto, la giurisprudenza di legittimità ha escluso che possa avere rilevanza la circostanza per la quale l’annotazione della cessione o della surrogazione a margine della nota di iscrizione ipotecaria possa avvenire anche in epoca successiva all’apertura del fallimento del debitore, non venendo in rilievo in tale prospettiva il disposto di cui all’art. 45 l.f.: “l’annotazione della surrogazione ex art. 2843 c.c. può avvenire anche in data posteriore al fallimento; la natura costitutiva di tale formalità, invero, non rende applicabile la L.Fall., art. 45, – pur nella disciplina anteriore a quella introdotta dal nuovo testo della L.Fall., art. 115, comma 2, poiché, come detto, il predetto pagamento, lasciando immutato nella sua oggettività il rapporto obbligatorio, si limita a modificarne il profilo soggettivo e non configura un atto pregiudizievole per i creditori (Cass. 16669/2008)” (Cass. 14 febbraio 2022, n. 4774, in motivazione).

***

La prova della titolarità del credito in capo al cessionario

La questione dell’opponibilità della cessione nei termini di cui sopra non ha invece nulla a che fare con il diverso tema della prova della titolarità del credito in capo al cessionario che presenti la domanda di ammissione al passivo fallimentare, benché gli argomenti siano a volte impropriamente sovrapposti in considerazione della prassi seguita dai cessionari di tentare di dimostrare di essere i titolari dei crediti producendo contestualmente alla domanda di ammissione al passivo il solo avviso di cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

A conferma di quanto precede è sufficiente evidenziare come, a voler ben vedere, la prova della titolarità del credito in capo al cessionario istante per l’ammissione al passivo possa essere fornita anche al di là dell’avviso di cessione sulla Gazzetta Ufficiale e ciò sia mediante la produzione dell’intero contratto di cessione, sia in considerazione del principio di omessa contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., ritenuto pacificamente applicabile anche nell’ambito del giudizio di opposizione allo stato passivo (cfr. Cass. 17 luglio 2020, n. 15339)[3]. Ulteriore modalità tramite la quale è stata ritenuta validamente dimostrata la titolarità del credito in sede di verifica crediti è rappresentata dalla dichiarazione rilasciata dal cedente volta a confermare l’effettivo trasferimento al cessionario dello specifico credito di cui è causa. Si tratta di elemento ritenuto a tal fine decisivo dalla giurisprudenza di legittimità al fine di dimostrare la titolarità del credito:

la cessione del credito è negozio consensuale, mentre la notifica al debitore ceduto ha solo la funzione di assicurare l’efficacia liberatoria del pagamento e regolare il conflitto tra cessionari (cfr., di recente, Cass., 19/02/2019, n. 4713);

nel caso di cessioni in blocco L. n. 130 del 1999, ex art. 4 la pubblicazione della notizia, richiamata anche dall’art. 58 Testo Unico Bancario (L. n. 385 del 1993), ha la funzione di esonerare dalla notificazione stabilita in generale dell’art. 1264 c.c.;

le previsioni in parola, dunque, hanno inteso agevolare la realizzazione della cessione “in blocco” di rapporti giuridici, stabilendo, quale presupposto di efficacia della stessa nei confronti dei debitori ceduti, la pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale e dispensando la cessionaria dall’onere di provvedere alla notifica della cessione alle singole controparti dei rapporti acquisiti: tale adempimento, ponendosi sullo stesso piano di quelli prescritti in via generale dall’art. 1264 c.c., può essere validamente surrogato da questi ultimi e segnatamente dalla notificazione della cessione, che non è subordinata a particolari requisiti di forma; e può quindi aver luogo anche mediante l’atto di citazione con cui il cessionario intima il pagamento al debitore ceduto, ovvero nel corso del giudizio (Cass., 29/09/2020, n. 20495, Cass., 17/03/2006, n. 5997);

in altri termini, la notifica al ceduto può avvenire utilmente e successivamente alla pubblicazione richiamata, rendendo quella specifica cessione egualmente opponibile; ne discende che non può neppure esservi un ostacolo a che la stessa prova della cessione avvenga con documentazione successiva alla pubblicazione della notizia in Gazzetta Ufficiale, offerta in produzione nel corso del giudizio innescato proprio dall’intimazione al ceduto notificata dal cessionario;

sono così individuabili distinti profili:

a) il perfezionamento della cessione;

b) la prova dello stesso;

c) l’opponibilità di quella al debitore ceduto;

la Corte di appello, pertanto, avrebbe dovuto e dovrà valutare se, alla luce di tutto l’incarto processuale, risulti prova:

i) della cessione e;

ii) del fatto che questa si sia perfezionata prima dell’intimazione opposta;

in caso di esito positivo, la Corte territoriale dovrà vagliare l’intervenuta utile notizia del medesimo negozio al debitore ceduto, in coerenza con quanto osservatole perciò anche con la notifica del precetto;

in questo senso, la pubblicazione in Gazzetta della “notizia” della cessione svolge funzione differente da quella di cristallizzare modalità formali in quel momento già implementate, per ritenere che un determinato credito sia stato ceduto;

nella descritta cornice ricostruttiva, la dichiarazione del cedente infine notiziata dal cessionario intimante al debitore ceduto con la produzione in giudizio, al pari della disponibilità del titolo esecutivo, era un elemento documentale rilevante, potenzialmente decisivo, e come tale ammissibile anche in grado di appello (Cass., Sez. U., 04/05/2017, n. 10790 e succ. conf.): ciò ai fini sopra evidenziati, salvo, poi, l’ulteriore apprezzamento complessivo della condotta delle parti sia nella prospettiva del corretto esercizio della pretesa di pagamento e del corretto adempimento dell’obbligazione, sia in quella, connessa, processuale;

trattandosi della verifica “in iure” del ragionamento svolto dalla Corte, non vi è alcuna novità ostativa quale eccepita nel controricorso [enfasi aggiunta, n.d.r.]” (Cass. 16 aprile 2021, n. 10200, in motivazione).

***

La partecipazione del cessionario al riparto fallimentare

Ulteriore questione rilevante per i rapporti tra cessione e fallimento riguarda la fase di riparto, atteso che, una volta intervenuta l’ammissione al passivo del soggetto titolare del credito (sia esso il creditore originario o un cessionario), nulla vieta che il credito ammesso circoli per effetto di ulteriori cessioni, cosicché interessato al riparto fallimentare sarà l’ultimo cessionario in luogo del soggetto ammesso al passivo.

La fattispecie trova un’espressa disciplina nel disposto di cui all’art. 115, secondo comma, l.f., il quale prevede che “Se prima della ripartizione i crediti ammessi sono stati ceduti, il curatore attribuisce le quote di riparto ai cessionari, qualora la cessione sia stata tempestivamente comunicata, unitamente alla documentazione che attesti, con atto recante le sottoscrizioni autenticate di cedente e cessionario, l’intervenuta cessione. In questo caso, il curatore provvede alla rettifica formale dello stato passivo. Le stesse disposizioni si applicano in caso di surrogazione del creditore”.

Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ne ha ritenuto l’applicabilità anche a riparti effettuati nell’ambito di procedure fallimentari cui detta disposizione non avrebbe potuto direttamente applicarsi, essendo la stessa stata introdotta con l’art. 8 D.Lgs. 12 settembre 2007, con entrata in vigore al 1° gennaio 2008 per i fallimenti dichiarati a partire da tale data (cfr. Cass. 15 luglio 2011, n. 15660; Cass. 14 maggio 2014, n. 10454; contra, ma senza alcuna motivazione a contrasto dei citati precedenti, Cass. 11 marzo 2019, n. 6930).

V’è da rilevare come, in realtà, le formalità richieste dalla citata disposizione, che come visto richiede “atto recante le sottoscrizioni autenticate di cedente e cessionario”, potrebbero sembrare eccessive rispetto al corredo probatorio richiesto per l’ammissione del cessionario al passivo fallimentare e ciò a maggior ragione ove si consideri che la cessione è negozio a forma libera e che anche per quanto concerne le operazioni di cartolarizzazione viene normalmente stipulata mediante scrittura privata non autenticata mediante scambio di proposta ed accettazione.

A tal proposito si può evidenziare come nella prassi tale disposizione venga infatti interpretata in senso lato, atteso che i Curatori tendono per lo più a richiedere copia del solo avviso di cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale, eventualmente accompagnato dalla dichiarazione rilasciata dal cedente volta a confermare l’effettivo trasferimento del credito al cessionario.

La disposizione nulla prevede, invece, in merito al limite temporale entro cui dover comunicare la cessione del credito al fine di ottenere la rettifica dello stato passivo (e la relativa ripartizione) in favore del cessionario. Sul punto pare ragionevole ritenere di poter effettuare la comunicazione di cui si discute quantomeno fino alla dichiarazione di esecutività del riparto, se non sino all’effettiva ripartizione dell’attivo.

 

[1]Gli adempimenti prescritti dall’art. 58 TUB – ovvero pubblicità in Gazzetta Ufficiale ed iscrizione su Registro delle imprese – costituiscono entrambi indispensabili requisiti rispondenti, per un verso, ad esigenze di conoscibilità del credito da parte del debitore ceduto (permettendo a questi di conoscere i fatti modificativi relativi al suo rapporto contrattuale ed eventualmente opporsi alla cessione del credito) e, per altro verso, di certezza del rapporto creditizio come rientrante tra quelli oggetto di cessione “in blocco” (l’iscrizione nel Registro delle Imprese dei singoli crediti varrebbe a fornire indicazioni precise con riferimento ad ognuno di essi)” (Trib. Spoleto, 31 agosto 2020, in Redazione Giuffré, 2020; cfr., nell’ambito di giudizio di opposizione al passivo, Trib. Vicenza, 15 luglio 2021, inedita).

[2]L’applicazione dell’art. 2704 c.c., tuttavia, discende dalla necessità di distinguere tra crediti concorsuali, cioè quei crediti anteriori alla dichiarazione di fallimento che, per tale ragione, possono partecipare al concorso, come previsto dall’art. 52 l. fall., e crediti successivi che, ai sensi dell’art. 44 l. fall., sono inopponibili ai creditori. Ne consegue che nel caso di cessione di un credito la possibilità di partecipare al concorso dipende dalla anteriorità del credito ceduto e non dalla anteriorità della cessione; il credito verso il fallito può, infatti, essere ceduto anche dopo la dichiarazione di fallimento (come espressamente previsto dall’art. 56, comma 2 e art. 127, u.c., l. fall., che prendono in considerazione le cessioni successive al fallimento, presupponendone l’efficacia e limitandone gli effetti rispettivamente ai fini della compensazione e del diritto di voto nel concordato fallimentare). Neppure si può ipotizzare un rilievo della data della cessione sotto il profilo della opponibilità degli atti relativi alla circolazione dei diritti; la relativa disciplina, infatti, è diretta a dirimere il conflitto tra gli acquirenti, nel caso in cui lo stesso titolare abbia ceduto più di una volta il proprio diritto, ovvero il conflitto tra l’acquirente ed i creditori del venditore (art. 2914 c.c.)” Ne consegue, sotto tale profilo, che l’art. 2704 c.c. può venire in rilievo, ai sensi dell’art. 45 l. fall., soltanto in caso di fallimento del cedente e non certamente nel caso, come quello in esame, di fallimento del debitore ceduto” (Cass. 14 maggio 2014, n. 10454, in motivazione).

[3] Al contrario, detto principio non opera nell’ambito del procedimento di verifica crediti: “in tema di verificazione del passivo, il principio di non contestazione non comporta l’automatica ammissione del credito allo stato passivo solo perché non sia stato contestato dal curatore, competendo al giudice delegato (e al tribunale fallimentare) il potere di sollevare, in via ufficiosa, ogni sorta di eccezioni in tema di verificazione dei fatti e delle prove (Cass. 6 agosto 2015, n. 16554; Cass. 8 agosto 2017, n. 19734; Cass. 24 maggio 2018, n. 12973)” (Cass. 19 novembre 2021, n. 35530, in motivazione).

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