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Giurisprudenza

Cessione dei crediti in blocco e contratto autonomo di garanzia: la Cassazione fa il punto

5 Marzo 2024

Cassazione Civile, Sez. I, 29 febbraio 2024, n. 5478 – Presidente De Chiara, Relatore Campese

La Cassazione, con sentenza n. 5478 del 29 febbraio 2024 (Presidente De Chiara, Relatore Campese), ha affermato un triplice principio di diritto in ordine alla prova della cessione dei crediti in blocco, all’onere della prova incombente sulla banca, ed in ordine ai criteri differenziali fra contratto autonomo di garanzia e fideiussione.

  • La prova della cessione dei crediti in blocco

Secondo la Cassazione, ai fini della prova della cessione di un credito, benché non sia di regola necessaria la prova scritta, non può ritenersi idonea, di per sé, la mera notificazione della stessa operata al debitore ceduto dal preteso cessionario ai sensi dell’art. 1264 cod. civ., quanto meno nel caso in cui, sul punto, il debitore ceduto stesso abbia sollevato una espressa e specifica contestazione, trattandosi, in sostanza, di una mera dichiarazione della parte interessata.

E ciò anche se la cessione sia avvenuta nell’ambito di un’operazione di cessione di crediti in blocco da parte di istituti bancari a ciò autorizzati e la notizia della cessione dei crediti in blocco sia stata data dalla banca cessionaria mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 T.U.B.

Questo il principio di diritto espresso:

Il soggetto che propone impugnazione oppure vi resista nell’asserita qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado o fase di giudizio, deve non soltanto allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma altresì fornire la prova – la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, è rilevabile d’ufficio – delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel processo ex artt. 110 e 111 cod. proc. civ.; ne discende che [la società cessionaria dei crediti in blocco] benché gravata del corrispondente onere fin dal momento del deposito del proprio “controricorso”, non ha dimostrato adeguatamente la propria qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso della [banca cedente], posto che la sola documentazione dalla prima prodotta contestualmente al deposito del suo “controricorso” è inidonea a provare il contratto di cessione in suo favore dei crediti: tale documentazione prova solo la “notificazione” della cessione al debitore ceduto, necessario ai fini dell’efficacia della cessione stessa nei confronti di quest’ultimo e dell’esclusione del carattere liberatorio dell’eventuale pagamento dal medesimo effettuato in favore del cedente, ma non anche l’effettiva avvenuta stipulazione del contratto di cessione e, quindi, dell’effettivo trasferimento della titolarità di quel credito.

  • L’onere della prova in capo alla banca

La banca che si pretenda creditrice di un soggetto deve fornire la prova del proprio assunto e, in presenza di un rapporto regolato in conto corrente (come quello di apertura di credito), produrre gli estratti a partire dall’inizio del rapporto medesimo, dando così integrale dimostrazione del credito vantato con riguardo alle afferenti risultanze, esattamente come accade a parti invertite per il correntista, ove si tratti di azione di ripetizione da questi avanzata per effetto della dedotta nullità di alcune clausole del contratto di conto.

Nel caso di specie, la banca aveva inteso provare il proprio preteso credito mediante il deposito dell’estratto conto sofferenziale ex art. 50 del T.U.B., regolarmente autenticato ed attestato dalla sottoscrizione al piano di rientro sottoscritto dal legale rappresentante della società e dai garanti.

Tuttavia, tale norma, afferma la Cassazione, come reso evidente dalla sua stessa rubrica (Decreto ingiuntivo), ha esclusivo ambito di applicazione nel procedimento speciale monitorio: l’onere probatorio documentale assolto ex art. 633, cod. proc. civ. attraverso la produzione dell’estratto conto certificato non è esaustivo, invece, nel caso in cui il decreto ingiuntivo venga opposto.

Questo il principio di diritto espresso dalla Corte sul punto:

Ove l’opposizione all’ingiunzione di pagamento del saldo passivo di un conto corrente sia stata fondata su motivi non solo formali (inutilizzabilità dell’estratto conto certificato) ma sostanziali (contestazione dell’estratto conto e dell’importo a debito, anche in ragione dell’applicazione di tassi ultralegali ed anatocismo), nel giudizio a cognizione piena, successivo all’opposizione, spetta alla banca opposta (od alla cessionaria che sia subentrata nella sua posizione) produrre la documentazione attestante l’andamento del rapporto e fornire, così, la piena prova della propria pretesa.

Il piano di rientro sottoscritto, inoltre, per la Cassazione, non può considerarsi decisivo: la promessa di pagamento e la ricognizione di debito, di cui all’art. 1988 cod. civ., hanno un effetto meramente confermativo, nella sfera probatoria, di un preesistente rapporto fondamentale di debito e, pertanto, sono inidonee a costituire nuove obbligazioni.

Pertanto, proprio alla luce delle doglianze mosse dagli opponenti/odierni ricorrenti circa l’asserita applicazione, al rapporto in questione, di tassi ultralegali, anatocistici ed usurari, il saldo risultante dal menzionato estratto conto ex art. 50 T.U.B., attestato anche con la sottoscrizione del piano di rientro, aveva perso il proprio valore stante la contestazione della validità del credito ivi complessivamente indicato, quanto meno nella parte risultante dalla dedotta applicazione degli interessi suddetti.

  • Clausola di pagamento a prima richiesta e contratto autonomo di garanzia

La Corte, nell’esaminare la causa concreta del contratto autonomo di garanzia ed i caratteri differenziali che lo stesso presenta rispetto al contratto di fideiussione, richiama la nota sentenza delle Sezioni Unite n. 3947 del 2010,  ove viene precisato che l’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale.

Secondo la Corte, tuttavia, il Giudice di merito ha errato nel ritenere la garanzia oggetto di causa come riconducibile al contratto autonomo di garanzia in ragione della sola presenza in esso, della riportata clausola di pagamento cd. “a prima richiesta”, peraltro erroneamente equiparandola a quella “senza eccezioni”, senza vagliarne tuttavia l’esistenza nella specifica garanzia oggetto di causa.

Questo il principio di diritto espresso, richiamando precedenti sul punto:

La deroga all’art. 1957 c.c. non può infatti ritenersi implicita laddove sia inserita, all’interno del contratto di fideiussione, una clausola di “pagamento a prima richiesta”, non solo perché la disposizione è espressione di un’esigenza di protezione del fideiussore che, prescindendo dall’esistenza di un vincolo di accessorietà tra l’obbligazione di garanzia e quella del debitore principale, può essere considerata meritevole di tutela anche quando tale collegamento sia assente, ma anche perché una tale clausola non ha rilievo decisivo per la qualificazione di un negozio come “contratto autonomo di garanzia” o come “fideiussione”, potendo tali espressioni riferirsi sia a forme di garanzia svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome), sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di accessorietà, più o meno accentuato, nei riguardi dell’obbligazione garantita, sia, infine, a clausole il cui inserimento nel contratto di garanzia è finalizzato, nella comune intenzione dei contraenti, a una deroga parziale della disciplina dettata dal citato art. 1957 c.c. (ad esempio, limitata alla previsione che una semplice richiesta scritta sia sufficiente ad escludere l’estinzione della garanzia), esonerando il creditore dall’onere di proporre l’azione giudiziaria. Ne consegue che, non essendo la clausola di pagamento “a prima richiesta” incompatibile con l’applicazione dell’art. 1957 c.c., spetta al giudice di merito accertare la volontà in concreto manifestata dalle parti con la sua stipulazione, prendendo in esame le pattuizioni negoziali […]. Solo la presenza di entrambe le clausole cd. “a prima richiesta” e “senza eccezioni” (e non dunque, solo della prima) vale, di per sé, a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia – in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione – salvo che quando vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale.


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