Con sentenza del 29 luglio 2015, la Suprema Corte si è occupata dell’ipotesi della cessione del credito da parte del socio di una società di capitali che abbia effettuato dazioni di denaro in favore della stessa (diverse dai conferimenti), soffermandosi sul problema della configurabilità in tali casi di un vero e proprio diritto alla restituzione delle somme così erogate, nonchè sul rapporto tra la disciplina della garanzia dell’esistenza del credito prevista all’art. 1266 c.c., e le diverse e svariate tipologie di versamenti generalmente effettuati nella prassi societaria.
La Corte, dopo aver chiarito che ai fini dell’esatta qualificazione del versamento, è necessario rifarsi alla “reale intenzione dei soggetti” (socio e società) che hanno posto in essere il negozio, evitando di arrestarsi alla mera denominazione adoperata nelle scritture contabili dell’ente, afferma che la “garanzia” di cui all’art. 1266 c.c. opera soltanto quando la causa concreta del negozio è ricondubile ad un versamento assimilabile a capitale di rischio (il ché si verifica – spiegano i giudici – per i c.d. versamenti a fondo perduto o in conto capitale), poiché dazioni di tal fatta sono definitivamente acquisite al patrimonio della società (al pari dei conferimenti), senza che il socio possa reclamare un qualche diritto di credito alla restituzione degli stessi.
Al contrario la garanzia non opera, e il credito può dirsi esistente, nelle ipotesi in cui l’attribuzione patrimoniale rientri nella definizione di finanziamento del socio (applicandosi in quest’evenienza la disciplina del mutuo – art. 1813 c.c.), o persino quando si tratti di un versamento finalizzato ad un futuro aumento di capitale, a condizione, in quest’ultimo caso, che non si realizzi l’aumento predetto, e venga meno di conseguenza la causa giustificativa del negozio.
La Corte si interroga poi sulla possibilità che un simile ragionamento venga esteso anche al credito connesso al diritto agli utili di un socio di Srl. Per quest’ultima fattispecie può farsi applicazione del medesimo principio operante per gli altri tipi societari, in ordine al quale il diritto agli utili del socio (e dunque il relativo “credito”) si origina soltanto a seguito di una deliberazione dell’assemblea che ne determini espressamente la distribuzione in favore della compagine. Al contrario, se l’assemblea rifiuta di attibuirli ai soci (apponendo le somme a riserva), non potrà configurarsi alcun diritto di credito agli utili, e sul socio che abbia eventualmente posto in essere una cessione, graverà l’obbligazione di “garanzia” di cui all’art. 1266 del codice civile.