Con la risposta a istanza di interpello n. 156 del 25 marzo 2022, l’Agenzia delle Entrate si è espressa in merito agli eventuali profili di abuso del diritto ai sensi dell’art. 10-bis della Legge n. 212 del 2000 della cessione di partecipazioni previa rideterminazione del costo di acquisto ai sensi dell’art. 2, comma 2, del decreto legge 282 del 2002 e art. 7, comma 2 del decreto legge 70 del 2011.
L’Agenzia delle Entrate afferma che la ratio della norma fiscale sulla rideterminazione del costo di acquisto è quella di agevolare la libera circolazione delle partecipazioni, nel presupposto implicito che chi subentra nella titolarità della società o di una parte di essa lo faccia per un interesse imprenditoriale, e dunque per portarne avanti l’attività e mantenerla produttiva.
Secondo quanto previsto dall’art. 7, comma 2, del decreto legge n. 70 del 2011 – che ha modificato l’art. 2 del decreto legge n. 282 del 2002), una persona fisica che deteneva, al di fuori dell’attività d’impresa, alla data del 1° luglio 2011, una partecipazione non negoziata in mercati regolamentati, poteva rideterminarne il costo o valore di acquisto, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 448 del 2001, con il versamento di un’imposta sostitutiva nella misura del 2 per cento, per le partecipazioni non qualificate, o del 4 per cento, per quelle qualificate, parametrata al valore risultante da un’apposita perizia giurata di stima redatta da professionisti abilitati, effettuando i relativi adempimenti entro il 30 giugno 2012.
Il valore della partecipazione, come risultante dalla perizia, sostituisce il costo di acquisto unicamente ai fini della determinazione della plusvalenza emergente nella cessione a titolo oneroso delle quote di partecipazione societarie, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettere c) e c-bis) del d.P.R. n. 917 del 1986 (Tuir) e non assume, invece, rilevanza ai fini della determinazione dei redditi di capitale.
La fattispecie e i quesiti sottoposti
L’Istante insieme ad altri tre soci (i “Promittenti Venditori”) detengono il 79,92% (ciascuno pro quota per il 19,98%) del capitale sociale di una società fiscalmente residente in Italia (la “Società”), pari ad Euro 100.000,00.
I Promittenti Venditori hanno dato avvio con quattro acquirenti (i “Promissari Acquirenti“), in passato già dipendenti della Società e allo stato, membri del consiglio di amministrazione, ad una trattativa volta a conseguire come risultato il progressivo ingresso degli stessi nella compagine sociale della Società, al fine di garantire alla medesima continuità aziendale e concrete prospettive di conservazione e crescita attraverso un maggior coinvolgimento nella dinamica imprenditoriale.
In base alla bozza di accordo relativo alla compravendita delle azioni della Società (“Accordo”):
(a) i Promittenti Venditori si sono dichiarati disponibili a cedere una parte delle rispettive partecipazioni, nella misura complessiva del 40% del capitale sociale della Società e i Promissari Acquirenti si sono dichiarati disponibili ad acquistare in proporzioni fra essi uguali (rispettivamente il 10% ciascuno) le quote;
(b) il prezzo complessivo della cessione del 40% del capitale della società è stato quantificato in complessivi Euro 3.200.000,00 (il “Prezzo”);
(c) in merito alle modalità di pagamento le Parti hanno stabilito che il Prezzo sarà pagato ratealmente nell’arco di un periodo di tempo di dieci anni e che l’importo sarà pari alla somma dei “dividendi netti” che matureranno sulla quota di partecipazione ceduta al netto della ritenuta sui dividendi applicabile ai sensi dell’art. 27, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973;
(d) viene altresì stabilito che con riferimento all’esercizio in cui avverrà la cessione, sarà considerato quale parametro per la determinazione della relativa quota un importo pro quota di “dividendi netti” per l’esercizio medesimo individuato per dodicesimi, e quindi corrispondente alle mensilità successive a quelle della data di cessione;
(e) al fine di assicurare il pagamento del corrispettivo, i Promissari Acquirenti si impegnano a sottoscrivere un accordo con la Società con il quale conferiranno alla stessa un mandato irrevocabile al pagamento dei “dividendi netti” a ciascuno dei Promittenti Venditori, dai quali hanno acquistato la partecipazione, fino a tutta la durata dell’Accordo
(f) i Promissari Acquirenti si impegnano a sottoscrivere, a semplice richiesta anche di uno dei Promittenti Venditori, un accordo che impegni i primi, tra l’altro, a non votare a favore della costituzione di riserve diverse da quella legale a meno che non si verifichino circostanze straordinarie tali da rendere necessaria la loro costituzione e a non votare a favore di delibere che non prevedano che l’utile d’esercizio sia interamente destinato a dividendi fra i soci;
(g) laddove, al termine dei 10 (dieci) anni solari successivi alla data di esecuzione dell’Accordo, l’importo come sopra formatosi non abbia raggiunto il Prezzo, null’altro sarà dovuto dai Promissari Acquirenti e il corrispettivo sino a quel momento pagato – anche se inferiore – sarà comunque satisfattivo del diritto di credito dei Promittenti Venditori.
L’Istante, nel periodo di imposta 2012, ha rideterminato ai sensi dell’art. 7, comma 2, del decreto legge n. 70 del 2011 il costo della partecipazione detenuta alla data del 1° luglio 2011. Il costo è stato rideterminato per il controvalore proporzionalmente corrispondente alla propria quota di partecipazione sulla base di un’apposita perizia giurata redatta in data 19 giugno 2012. Ai fini della rideterminazione, l’Istante ha versato l’imposta sostitutiva nella misura del 2 per cento prevista dalla norma
Il quesito sottoposto dai contribuenti muove dalla considerazione dei seguenti elementi:
(i) le particolari modalità di formazione e di pagamento del corrispettivo delle cessioni delle partecipazioni, a valere su utili futuri della Società;
(ii) la possibilità che il “Corrispettivo Aggiustato” possa risultare inferiore rispetto a quello originariamente pattuito nel caso in cui i “dividendi netti” distribuiti fossero inferiori al corrispettivo complessivo;
(iii) il fatto che i Promittenti Venditori, dopo la cessione e fino al termine del periodo di esecuzione dell’Accordo, continueranno a conservare un diritto di veto su talune specifiche materie e che nell’Accordo sia prevista la possibilità di istituire una speciale categoria di azioni riservate ai Promittenti Venditori che consentirà a questi ultimi di impedire che l’Assemblea dei soci deliberi la costituzione di riserve diverse da quella legale;
(iv) la circostanza che l’Istante abbia rideterminato il valore della partecipazione detenuta alla data del 1° luglio 2011.
Alla luce degli elementi così delineati, i contribuenti chiedono se:
(a) con riferimento al comparto delle imposte dirette, l’operazione di cessione essere considerata abusiva e la corretta quantificazione del “costo fiscale” della partecipazione ai sensi dell’art. 68 del Tuir e, in particolare, se l’utilizzo del valore rideterminato sia legittimo o possa essere considerato un abuso del diritto secondo la definizione di cui all’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000;
(b) per quanto attiene al comparto delle imposte indirette e, in particolare, l’imposta sulle donazioni e successioni, se l’operazione prospettata, nell’ipotesi in cui il “Corrispettivo Aggiustato” dovesse essere significativamente inferiore al corrispettivo originariamente pattuito, possa essere riqualificata come “negozio misto con donazione”.
Risposta dell’Agenzia delle Entrate
Con riferimento alla presenza di eventuali profili di abuso del diritto ai sensi dell’art. 10-bis della Legge n. 212 del 2000, l’Agenzia ritiene che l’operazione prospettata non configuri ai fini delle imposte dirette alcun indebito vantaggio conseguito attraverso la rideterminazione utilizzata dall’Istante e che, ai fini della determinazione della plusvalenza derivante dalla cessione, potrà essere quindi legittimamente utilizzare il costo rideterminato della partecipazione ceduta.
In merito ai profili connessi alla eventuale rilevanza ai fini dell’imposta sulle donazioni e successioni di cui al D.Lgs. n. 346 del 1990, l’Agenzia conclude nel senso dell’assenza dei presupposti per una riqualificazione dell’operazione come “negozio misto con donazione” anche nell’ipotesi in cui il “Corrispettivo aggiustato” dovesse essere significativamente inferiore al Corrispettivo originariamente pattuito.
Commento alle considerazioni svolte nella risposta
Affinché un’operazione possa essere considerata abusiva, devono sussistere congiuntamente, ai sensi del comma 1 dell’art. 10-bis della Legge n. 212 del 2000, tre presupposti costitutivi:
(a) la realizzazione di un vantaggio fiscale “indebito”, costituito da “benefici”, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario;
(b) l’assenza di “sostanza economica” dell’operazione o delle operazioni poste in essere consistenti in fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali;
(c) l’essenzialità del conseguimento di un “vantaggio fiscale”.
L’assenza di anche uno solo dei tre presupposti costitutivi dell’abuso del diritto determina un giudizio di assenza di abusività.
La norma prevede espressamente, al comma 3, che non possono considerarsi abusive quelle operazioni che, pur presentando i tre elementi sopra indicati, siano giustificate da valide ragioni extrafiscali di carattere non marginale, anche in ordine organizzativo o gestionale che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale.
Con riferimento alla presenza di possibili profili di abuso riguardanti tutta l’operazione descritta e sull’eventuale utilizzo illegittimo da parte dei venditori del valore rideterminato in sede di cessione della quota di partecipazione, l’Agenzia evidenzia che: (i) i futuri acquirenti delle quote sono soggetti estranei alla compagine sociale della Società e non sussistono quindi caratteri di “circolarità” dell’operazione; e che (ii) lo scopo principale dell’operazione, come dichiarato dall’Istante, risiede nella volontà dei vecchi soci di garantire un graduale avvicendamento tra generazioni di professionisti in vista di un loro futuro ritiro, nell’ottica di una continuità aziendale e di future prospettive di crescita attraverso un maggior coinvolgimento dei nuovi acquirenti nella dinamica imprenditoriale.
La particolare modalità di pagamento del corrispettivo – dilazionato nel corso degli anni e pari alla somma dei “dividendi netti” deliberati per ciascun esercizio riferibili alla quota di partecipazione ceduta – insieme al meccanismo del “Corrispettivo Aggiustato” potrebbe generare dubbi legati all’esatta qualificazione giuridica del negozio che le parti intendono porre in essere per due ordini di motivi: (aa) il corrispettivo finale sarà determinato con certezza solo alla fine del decimo anno, rendendo quindi impossibile prima di tale periodo l’esatta quantificazione della eventuale plusvalenza realizzata e (bb) è prevista la possibilità di un corrispettivo anche inferiore rispetto a quello pattuito contrattualmente, indicativo dell’assenza di idonee garanzie a favore dei venditori consapevoli del fatto che il buon fine di tutta l’operazione è legato all’andamento economico della società nel tempo. L’elemento che viene identificato come da valutare è rappresentato dal fatto che, nella sostanza, gli stessi non si libererebbero del rischio di impresa e non lo trasferirebbero ai nuovi acquirenti.
L’Agenzia osserva tuttavia che i dividendi utilizzati dai Promissari Acquirenti per pagare il corrispettivo saranno assoggettati a ritenuta alla fonte ai sensi dell’art. 27, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 e che il meccanismo di “automatica” spettanza della somma netta dei dividendi a favore dei Promittenti Venditori (la Società, sulla base del mandato, effettuerà le ritenute sui dividendi contestualmente alla contabilizzazione del debito verso i Promittenti Venditori) non comporta alcuna differenza in termini di trattamento fiscale dei dividendi rispetto all’ipotesi in cui i dividendi fossero pagati ai Promissari Acquirenti e poi il relativo importo venisse utilizzato da questi ultimi per estinguere il debito (parziale) nei confronti dei Promittenti Venditori. Sulla base di queste considerazioni, l’Agenzia ritiene che l’operazione prospettata non configuri ai fini delle imposte dirette alcun indebito vantaggio conseguito attraverso la rideterminazione utilizzata dall’Istante e che, ai fini della determinazione della plusvalenza derivante dalla cessione, potrà essere quindi legittimamente utilizzare il costo rideterminato della partecipazione ceduta.
La valutazione inerente all’esistenza o meno di una fattispecie di abuso del diritto deve superare un vaglio di “non marginalità” delle ragioni extra fiscali o, in altri termini, la circostanza che operazioni considerate non sarebbero state realizzate in assenza di tali ragioni.
Al riguardo, è importante osservare che l’Agenzia valorizza il fatto che l’operazione sia finalizzata “ad aprire la compagine sociale a soci nuovi al fine di un graduale avvicendamento tra generazioni di professionisti in vista di un loro futuro ritiro, di monetizzare il valore della società da loro stessi creato negli anni passati, di garantire la continuità aziendale nonché concrete prospettive di conservazione e di crescita attraverso il coinvolgimento dei nuovi acquirenti”. In tale finalità, viene riconosciuta la sussistenza di valide “ragioni extra fiscali non marginali”, anche in ordine organizzativo e gestionale, che giustifichino l’operazione prospettata e la escludono dalla censura in termini di abuso del diritto, ai sensi del comma 3 dell’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000.
Circa la rilevanza delle parti coinvolte nell’operazione al fine del sindacato in punto di abuso, può valere la pena ricordare che, secondo l’Agenzia delle Entrate, l’operazione in cui i soci persone fisiche di una società (target) rivalutano le partecipazioni ai fini fiscali e le cedono a un’altra società (veicolo) partecipata da uno dei quattro soci cedenti e dai suoi due figli (soci di maggioranza) e che successivamente viene incorporata dalla target (c.d. merger leveraged cash out), consente di ottenere un vantaggio fiscale indebito consistente nell’azzeramento della tassazione dell’incasso diretto (cioè in assenza di rivalutazione e cessione delle partecipazioni) degli utili da parte dei soggetti cedenti (Principio di diritto n. 20 del 2019). In tale fattispecie, il vantaggio fiscale conseguito è stato considerato indebito e le operazioni realizzate prive di sostanza economica ed essenzialmente finalizzate al conseguimento del vantaggio fiscale limitatamente a uno dei genitori cedenti che conserva particolari poteri nella società target quali partecipazione nella conduzione della società target, potere di veto in caso di disaccordo tra i figli, possibilità di riacquisire il controllo della società target in presenza di inefficienze tali che, a giudizio del collegio sindacale, possano mettere in pericolo la governance e/o la solidità patrimoniale e/o la solidità finanziaria e/o economica della società target. In queste circostanze, il vantaggio fiscale conseguito si pone in contrasto con la ratio delle disposizioni normative che disciplinano la rivalutazione ai fini fiscali delle partecipazioni consistente nel favorire la circolazione delle stesse e consiste nella possibilità di incassare gli utili della società target nonostante non si attui un effettivo disinvestimento delle partecipazioni detenute. Il suddetto vantaggio fiscale indebito non risulterebbe, comunque, effettivamente conseguito fintanto che non siano incassati i relativi pagamenti da parte del genitore cedenti. Analogamente, configurerebbe abuso del diritto l’operazione di cessione di partecipazioni, previamente rivalutate, da parte dei soci intenzionati a uscire dalla compagine sociale della società ceduta a un veicolo societario partecipato unicamente dai soci intenzionati a restare e la susseguente incorporazione del veicolo, dopo l’acquisito delle predette partecipazioni, da parte della stessa società ceduta (Risposta a interpello n. 341 del 2019). Nel caso, il vantaggio fiscale è stato considerato indebito in quanto conseguito in aggiramento delle disposizioni tributarie in materia di recesso tipico direttamente applicabili per le quali non assume alcuna rilevanza la rivalutazione ai fini fiscali delle quote di partecipazioni possedute. L’operazione veniva considerata priva di sostanza economica, in quanto inidonea a produrre effetti significativi diversi dai descritti vantaggi fiscali, e non caratterizzata da valide “ragioni extrafiscali non marginali”, anche di ordine organizzativo o gestionale, che giustifichino l’insieme dei negozi giuridici prospettati, ai sensi del comma 3 dell’art. 10-bis della Legge n. 212 del 2000.
Sempre con riferimento alla rilevanza delle parti coinvolte, vale osservare che, in taluni arresti giurisprudenziali, è stato per contro ritenuto non sussistessero profili di abuso anche nel caso di operazioni di rivalutazione di partecipazioni e successiva cessione alla medesima società nell’ambito di una operazione di acquisto di azioni proprie in quanto “nel caso di specie, tanto la rivalutazione delle partecipazioni quanto l’acquisto di azioni proprie sono state attuate ricorrendo a strumenti ordinari, espressamente contemplati dal sistema ed utilizzati nel pieno rispetto delle finalità e delle motivazioni poste dal legislatore” (Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza, Sentenza n. 627/1/2018 del 5 dicembre 2018 poi confermata da Commissione Tributaria regionale del Veneto, Sentenza n. 30 del 4 gennaio 2021).
La fattispecie sottoposta al vaglio dell’Agenzia delle Entrate nell’interpello in oggetto è peculiare nella misura in cui le risorse necessarie al pagamento del corrispettivo della cessione derivano, in effetti, da risorse della stessa società partecipata oggetto della cessione ma, al riguardo, assumono rilievo sia l’ingresso di soci terzi estranei alla compagine sociale esistente e il fatto che le risorse finanziarie utilizzate sono future ed eventuali rispetto al momento nel quale si configura la cessione delle partecipazioni.
In termini più generali, le operazioni realizzate con soggetti estranei alla compagine societaria della società oggetto di rivalutazione nel contesto delle quali una società di nuova costituzione realizza l’acquisizione (eventualmente nel contesto di una operazione di genuino leverage buy out) e successivamente realizza una fusione con la società acquisita non dovrebbero ritenersi censurabili posto che le stesse risponderebbero alla ratio della norma consistente nella agevolazione della circolazione delle partecipazioni mediante ingresso di nuovi soci nel capitale della società e potrebbero, in ipotesi fisiologiche, ben essere caratterizzate da sostanza economica e ragioni extrafiscali tali da far decadere i presupposti di applicazione della disciplina dell’abuso del diritto.
In merito ai profili connessi alla eventuale rilevanza ai fini dell’imposta sulle donazioni e successioni di cui al D.Lgs. n. 346 del 1990, l’Agenzia conclude nel senso dell’assenza dei presupposti per una riqualificazione dell’operazione come “negozio misto con donazione” anche nell’ipotesi in cui il “Corrispettivo aggiustato” dovesse essere significativamente inferiore al Corrispettivo originariamente pattuito.
L’Agenzia ricorda che, secondo l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, “col negozio mixtum cum donatione le parti addivengono ad una donazione indiretta valendosi del negozio che esse dichiarano di porre in essere, e che effettivamente stipulano, per ottenere uno scopo che diverge dalla causa o funzione tipica del negozio medesimo” (Cassazione civile, sez. II, sentenza 30 ottobre 2020, n. 24040). La stessa Corte ha altresì affermato che “nel negozio misto con donazione la causa del contratto ha natura onerosa ma il negozio commutativo stipulato tra i contraenti ha lo scopo di raggiungere per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità ulteriore e diversa da quella dello scambio, consistente nell’arricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello tra i contraenti che riceve la prestazione di maggior valore realizzandosi così una donazione indiretta. Tuttavia va qui precisato che la vendita di un bene ad un prezzo inferiore a quello effettivo non realizza, di per sé, un “negotium mixtum cum donatione”, occorrendo non solo una sproporzione tra le prestazioni di entità significativa, ma anche la consapevolezza, da parte dell’alienante, dell’insufficienza del corrispettivo ricevuto rispetto al valore del bene ceduto, sì da porre in essere un trasferimento volutamente funzionale all’arricchimento della controparte acquirente della differenza tra il valore reale del bene e la minore entità del corrispettivo ricevuto” (Cassazione n. 10614 del 23 maggio 2016).
Anche nel negozio misto con donazione e in generale nelle donazioni indirette, è necessaria la contestuale presenza (a) dell’elemento soggettivo, cioè dell’animus donandi consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti e (b) dell’elemento oggettivo, costituito dall’incremento del patrimonio altrui e dal depauperamento di chi ha disposto del diritto o assunto l’obbligazione.
Nel caso in esame, non sono ravvisabili gli elementi tipici della donazione posto che l’eventuale vantaggio patrimoniale che i Promissari Acquirenti otterrebbero con il “Corrispettivo Aggiustato” – che sarebbe considerato satisfattivo dei diritti di credito dei Promittenti Venditori anche se inferiore al corrispettivo pattuito – è indipendente dalla volontà delle parti e, in particolare, dalla volontà dei Promittenti Venditori. Assume quindi rilevanza la constatazione che questo vantaggio è meramente eventuale ed è condizionato dall’andamento del mercato e dal fatto che al temine dei dieci anni l’importo corrispondente alla somma dei “dividendi netti” riferibili alla partecipazione, deliberati in sede di assemblea al netto delle imposte, non abbia in effetti raggiunto la quota stabilita. È solo con riferimento a tale eventualità che i Promittenti Venditori hanno convenuto l’assunzione di un prefigurato rischio futuro rispetto al quale non è rinvenibile alcun intento di liberalità.