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Attualità

Cessione di crediti in garanzia e clausola del beneficiario effettivo: un recente (e discutibile) orientamento dell’Agenzia delle Entrate

11 Novembre 2019

Avv. Francesca Staffieri, Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

La cessione del credito con causa di garanzia – istituto di diritto civile complesso, al centro di un diffuso dibattito dottrinario e giurisprudenziale volto a definirne effetti e limiti di compatibilità con il diritto positivo – è oggetto del chiarimento reso dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 88/E del 18 ottobre 2019 (la “Risoluzione 88/E”).

Con il citato documento di prassi, l’Agenzia analizza, in particolare, il rapporto tra (quelli che sono definiti) gli effetti “giuridici” di un contratto di cessione di crediti in garanzia, stipulato nell’ambito di un’operazione di MLBO, e la clausola del beneficiario effettivo, contenuta nell’articolo 26-quater del d.P.R. n. 600/73, e conclude nel senso di escludere la beneficial ownership in capo al cedente in considerazione dell’effetto “immediatamente traslativo” del contratto stesso.

Dalla lettura del documento non è dato sapere se vi fossero questioni fattuali specifiche che possano corroborare la conclusione cui è giunta l’Agenzia delle Entrate (ad esempio relative alla sostanza economica della società percipiente, ovvero ad una possibile elusività dell’operazione concretamente posta in essere).

Limitandosi ai principi di diritto espressi nella Risoluzione 88/E, il ragionamento seguito dall’Agenzia delle Entrate solleva, però, qualche perplessità. Lungi dal voler effettuare una disamina completa delle tematiche affrontate nella Risoluzione, si vuole, quindi, fornire qualche spunto di riflessione.

1. Il requisito del beneficiario effettivo ai fini della Direttiva Interessi e Royalties

Come noto, l’articolo 26-quater del d.P.R. n. 600/73, in deroga all’articolo 26 dello stesso d.P.R. n. 600/73, dispone (a determinate condizioni) un’esenzione da imposta per i pagamenti di interessi effettuati da una società italiana ad una società consociata, o ad una sua stabile organizzazione, situate in altri Stati membri dell’Unione Europea. Tale disciplina, emanata in esecuzione della Direttiva 2003/49/CE del Consiglio del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (c.d. Direttiva Interessi e Royalties), è finalizzata ad eliminare fenomeni di doppia imposizione nell’ambito dello stesso gruppo societario, così che i pagamenti di interessi siano assoggettati ad imposizione fiscale una sola volta in uno Stato membro.

Oltre ai requisiti (oggettivi e soggettivi) specificamente previsti per poter beneficiare dell’esenzione in parola, l’art. 26-quater richiede, in linea con la Direttiva da cui promana, che il soggetto non residente, percettore dei flussi, ne sia il “beneficiario effettivo”. A questi fini, ai sensi dell’art. 26-quater, co. 4, lett. c) del d.P.R. n. 600/1973, si considerano beneficiarie effettive le società che ricevono i pagamenti in qualità di beneficiario finale e non di intermediario (i.e. agente, delegato o fiduciario di un’altra persona).

Non è questa la sede per effettuare un’analisi approfondita del concetto di beneficiario effettivo, il quale – anche in presenza di definizioni normative – continua ad essere soggetto a diverse interpretazioni, non sempre uniformi e spesso dipendenti dall’ambito applicativo delle norme di volta in volta in discussione. In linea generale, si può, tuttavia, affermare che la clausola risponde principalmente a ragioni di cautela fiscale, essendo volta ad evitare che tra il beneficiario effettivo ed il pagatore del reddito rilevante sia interposto un soggetto terzo al solo fine di beneficiare dell’esenzione prevista dalle norme agevolative (esenzione che non sarebbe, altrimenti, spettata).

Nei più recenti documenti di prassi pubblicati dall’Agenzia delle Entrate (inclusa la Risoluzione 88/E in commento) la mancanza di interposizione viene declinata sia nel senso di richiedere che la società percipiente “abbia la titolarità nonché la disponibilità del reddito percepito” e “tragga un proprio beneficio economico dall’operazione di finanziamento posta in essere”, sia con la necessità di verificare un sufficiente livello di “sostanza economica” della stessa (valutata tramite alcuni “indicatori”, tra cui l’adeguatezza strutturale della società stessa – in termini di organizzazione, capitale e risorse – e le eventuali sovrapposizioni contrattuali tra flussi di reddito ricevuti e pagati ai propri creditori, i quali potrebbero indicare una “struttura finanziaria passante”).

Questo approccio interpretativo sembra (nella sostanza) confermato dalla più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea[1], la quale chiarisce che “l’esenzione da qualsiasi tassazione per gli interessi versati (…) è riservata ai soli beneficiari effettivi degli interessi medesimi, vale a dire alle entità che beneficiano effettivamente, sotto il profilo economico, degli interessi percepiti, e dispongano, pertanto, il potere di deciderne liberamente la destinazione[2].

2. La fattispecie oggetto di interpello

Svolta una breve ricognizione delle caratteristiche che un soggetto dovrebbe avere per essere considerato il beneficiario effettivo del reddito ai fini dell’articolo 26-quater del d.P.R. n. 600/73, l’Agenzia delle Entrate analizza le caratteristiche del contratto di cessione in garanzia oggetto della domanda di interpello.

Il contratto (si deduce dalla lettura della Risoluzione 88/E) è stipulato nell’ambito di una più complessa operazione di acquisizione con indebitamento (MLBO) di una società italiana da parte di un gruppo multinazionale. Assumiamo che la società acquirente (italiana), come da prassi in questo tipo di operazioni, reperisca le risorse finanziarie necessarie al pagamento del prezzo d’acquisto tramite una combinazione di equity e debito. Il debito, in particolare, viene contratto (i) in parte con la propria controllante non residente, ed (ii) in parte tramite accesso diretto al mercato (nel caso in esame, tramite un’emissione obbligazionaria).

A garanzia del credito derivante dalla sottoscrizione delle obbligazioni emesse dalla società italiana è stipulato (immaginiamo insieme ad altri contratti di garanzia) un contratto di cessione dei crediti derivanti dal prestito infra-gruppo concesso dalla controllante estera. Si tratta (stando a quanto si legge nella Risoluzione 88/E) di due operazioni finanziarie e di due flussi di reddito distinti. Nel caso di specie non sembra, pertanto, sussistere alcuna “struttura finanziaria passante”, né è revocato in dubbio l’effettivo svolgimento di un’attività economica da parte della controllante estera.

Il contratto di cessione dei crediti a titolo di garanzia esaminato dall’Agenzia delle Entrate prevede, peraltro, oltre alla la cessione dei crediti agli obbligazionisti al fine di garantire l’adempimento degli obblighi derivanti dal prestito obbligazionario, anche il conferimento da parte degli obbligazionisti alla controllante estera (titolare del credito ceduto) di un mandato, revocabile al verificarsi e in permanenza dello stato di inadempimento, a gestire e incassare i crediti, nonché i diritti e i pagamenti correlati agli stessi. Si prevede inoltre, come da standard di mercato, la riassegnazione al cedente dei crediti ceduti e dei diritti accessori alla data in cui tutti i crediti garantiti siano stati definitivamente estinti.

Esaminato il complesso assetto contrattuale posto alla sua attenzione, e muovendo da considerazioni relative all’effetto “immediatamente traslativo” del contratto in oggetto[3], l’Agenzia delle Entrate:

  1. esclude che il creditore cedente mantenga la titolarità dei crediti ceduti;
  2. qualifica quest’ultimo come mero mandatario all’incasso degli stessi, e pertanto
  3. esclude che lo stesso possa considerarsi il beneficiario effettivo degli interessi corrisposti.

Al contrario, secondo l’Agenzia delle Entrate, gli interessi “risultano nella disponibilità dei cessionari”.

3. Questioni controverse

Premesso quanto sopra, ci pare che la Risoluzione 88/E sollevi alcune perplessità (qui brevemente riassunte).

a. Sull’effettivo trasferimento della disponibilità effettiva dei crediti ceduti in garanzia

L’affermazione secondo cui la cessione dei crediti con causa di garanzia trasferisce ai finanziatori garantiti la titolarità del diritto di credito (ciò che fa assumere al contratto natura “traslativa”) è vera, in punto di diritto; il flusso reddituale atteso derivante dai crediti ceduti è così posto direttamente al servizio del debito e costituisce garanzia patrimoniale prestata dallo stesso debitore.

Tuttavia, la causa di garanzia che connota la cessione in esame limita, per sua natura, la definitività del trasferimento stesso; il credito, infatti, transita nella sfera giuridico-patrimoniale del cessionario solo in quanto possibile rimedio ad un eventuale inadempimento.

Come efficacemente affermato in dottrina[4], la cessione del credito con causa di garanzia “non è idonea a giustificare un acquisto definitivo e finale del diritto, perché, per sua stessa natura, determina un’investitura nella titolarità del diritto che è strumentale alla tutela del credito vantato dall’attributario, cui causalmente il contratto di trasferimento è riferito” e pertanto limitata.

La cessione in garanzia assume quindi carattere “interinale, precario e strumentale”, a protezione delle aspettative di riacquisto del bene dello stesso cedente. Ciò si traduce in una limitazione dei poteri e delle facoltà che il cessionario può esercitare sui diritti di credito acquistati (in primo luogo con riferimento agli atti di disposizione contrastanti con la causa del trasferimento stesso).

Salvo che le pattuizioni contrattuali specifiche dei singoli contratti di cessione non portino a ritenere il contrario, è quindi ragionevole concludere che il cessionario “in garanzia” non ha una disponibilità assoluta ed incondizionata del credito stesso, né giuridica, né economica, in quanto tale disponibilità è limitata e precaria. Al contrario, fino al momento in cui si realizza l’eventuale inadempimento da parte del cedente, con conseguente escussione della garanzia contrattuale, è il cedente che mantiene la disponibilità del credito (ovvero del denaro ricevuto in pagamento) e dei relativi frutti.

Alla luce di quanto sopra, ci sembra che l’approccio seguito dall’Agenzia delle Entrate sia formalistico e generico, rischiando di risultare incoerente con la stessa ricostruzione giuridica dell’istituto da cui prende le mosse.

b. Sugli effetti dell’attribuzione al cessionario (obbligazionista) della “piena titolarità” del credito

L’Agenzia delle Entrate sostiene che gli interessi “risultano nella disponibilità dei cessionari”. La logica conseguenza sarebbe quella di ritenere gli obbligazionisti beneficiari effettivi del credito stesso (benché l’Agenzia non si pronunci sul punto).

Tuttavia, questa conclusione porterebbe ad una situazione paradossale, in cui gli obbligazionisti sono titolari (e beneficiari effettivi) contemporaneamente di due flussi di reddito: il primo costituito dagli interessi pagati a valere sulle obbligazioni sottoscritte, ed il secondo (sempre portando alle estreme conseguenze l’iter argomentativo dell’Agenzia delle Entrate) costituito dagli interessi pagati dalla società controllata italiana alla sua controllante non residente, e da questa ceduti in garanzia.

E’ evidente che questa ricostruzione non trova alcun fondamento, né giuridico, né economico, né fattuale, salvo ove gli obbligazionisti siano anche finanziatori della società controllante estera, e la struttura dia prova di essere totalmente passante, ossia puramente artificiosa (circostanza che, nel caso di specie, non viene presa in considerazione – quantomeno nella ricostruzione operata dalla Risoluzione in commento).

4. Conclusioni

Alla luce di quanto sopra, e considerato l’impatto potenziale della Risoluzione 88/E qui commentata sulle strutture di finanziamento (esistenti e a venire), sarebbe auspicabile un intervento ulteriore da parte dell’Agenzia delle Entrate che, oltre a considerare il profilo formale legato al trasferimento di titolarità del credito, ne valorizzi adeguatamente le caratteristiche sostanziali, procedendo da una valutazione complessiva dell’operazione considerata e dalla causa di garanzia che sottende la conclusione del contratto stesso.



[1] Sentenza Corte di Giustizia UE del 26 febbraio 2019, sui c.d. casi danesi.

[2] Sebbene non direttamente applicabile alla fattispecie in esame, riteniamo opportuno riportare anche l’interpretazione resa in sede di Commentario OCSE al concetto di beneficiario effettivo. Nell’ultima versione del Commentario è stato chiarito, in particolare, che non può considerarsi beneficiario effettivo il soggetto il cui diritto di godere e di disporre (right to use and enjoy) dei flussi reddituali di volta in volta rilevanti sia limitato da un’obbligazione legale o contrattuale di trasferire specificamente i pagamenti ricevuti a soggetti terzi. Tuttavia, specifica il Commentario, tale limitazione non sussiste in presenza di obblighi negoziali o legali contratti dal percettore, purché siano svincolati dalla ricezione dello specifico pagamento, ovvero da obblighi contratti dal percettore in qualità di debitore, ovvero di parte, di un’operazione finanziaria complessa.

[3] A supporto di questa tesi l’Agenzia delle Entrate cita alcune pronunce della Corte di Cassazione; le citazioni, tuttavia, ci sembrano ben lungi dal poter esaurire il discorso sugli effetti giuridici del contratto stesso.

[4] Cfr. U. La Porta, ne “Il problema della causa del contratto, I. La causa ed il trasferimento dei diritti”, Giappichelli Editore, 2000, pag. 150 e ss..

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